Quando un governo comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle.
Una profezia di Piero Calamandrei (11 febbraio 1950).
Quello che sta accadendo in questi giorni nelle piazze e nelle scuole occupate, le proteste dei genitori, degli studenti delle Università che temono tagli profondi alla ricerca e trasformazione in fondazioni private delle stesse, delle maestre elementari che non vogliono ritornare a sentirsi “uniche” e che temono lo stravolgimento di una scuola primaria che finalmente funziona e che si è guadagnata uno spazio di ammirazione e di invidia nel mondo, dei dirigenti scolastici che pure meno si espongono temendo ritorsioni e alla fine legheranno “l’asino dove il padrone vuole“, di tante persone che pure non si riconoscono necessariamente nell’opposizione così tanto temuta dal “leader maximo” Silvio Berlusconi che pure continua a disporre, a suo dire, del 70% del consenso procuratogli dal tam-tam incessante dei servi sciocchi delle sue televisioni e dei sondaggi (commissionati ad arte per esiti su misura di chi può disporre degli ingenti mezzi economici necessari per farli collimare con i suoi “desiderata”), tutto questo aveva previsto in anticipo un Piero Calamandrei durante il Congresso dell’Associazione a difesa della Scuola Nazionale. Siamo a Roma l’11 febbraio 1950. I movimenti estesi e i malesseri civici pullulanti in tutto il Paese e tra tutte le categorie sociali contro alcuni aspetti della L. n. 133 sono la migliore “Associazione a difesa della Scuola pubblica italiana”, almeno di quella parte che funziona (infanzia e primaria) pur senza voler negare l’esigenza di un miglioramento e di una ottimizzazione sempre sostenibile se si va a toccare quella parte del sistema-istruzione che, invece, non funziona e declassa il paese nelle graduatorie dell’OCSE e cioè, segnatamente, la scuola superiore e, in parte, la stessa università proliferata in mille sedi anche di villaggio (es. Scienze motorie a Ponte Melfa che è una frazione di Atina), dispersa in mille corsi anche inutili se non nocivi e destabilizzanti per il futuro occupazionale che non possono offrire e mantenere nella promessa. E qui, cara Mariastella Gelmini, siamo d’accordo che il bisturi potrebbe anche servire. Ma perché, caro Giulio Tremonti, piccarsi a tagliare sulla scuola primaria non conoscendone neanche i meccanismi interni di funzionamento?… Che cosa aveva, dunque, profetizzato Calamandrei nel 1950? Eccola, la sua tesi ieri riportata a pag. 11 del quotidiano La Repubblica: “Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? (…) Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private”. Ma non sembrerebbe esattamente quello che sta accadendo? In realtà dalla comparazione dei due contesti storici, per gli aspetti sociali e politici, appare una notevole differenza da far ritenere una forzatura, anche filologicamente non corretta, ogni sovrapposta interpretazione. Sergio Andreatta
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