di un provvedimento
La rinuncia dello Stato patrigno al know-how dei dirigenti. Per la L. 133/2008 in pensione coatta chi ha le migliori esperienze professionali.
Con il decreto Gelmini non si tenta solo di ridefinire il modello per le elementari ma, con le altre disposizione correlate, si propone una terapia d’urto per vari aspetti dell’organizzazione scolastica e della vita pubblica e lavorativa delle persone. Viene meno, tra l’altro, il diritto potestativo dei lavoratori a cui si sostituisce l’autorità forte e decisionale dell’Amministrazione.
L’art. 72, c.11, del decreto legge sulla finanza pubblica, n.112 del 2008, appena convertito nella legge n.1108/2008, contiene una norma che rimette all’assoluta discrezionalità dei vertici delle pubbliche amministrazioni il mantenimento in servizio o il pensionamento coatto dei dipendenti e dei dirigenti statali con almeno quarant’anni di contributi versati.
“E’ peggio dello spoil system, – hanno commentato alcune Associazioni di categoria – perché oltre la metà dei dirigenti resteranno in servizio sotto la spada di Damocle del licenziamento e, perciò, esposti ad ogni possibile pressione e ricatto da parte degli organi politici”… L’articolo rimette all’assoluta discrezionalità delle Amministrazioni il mantenimento in servizio o il pensionamento coatto dei dipendenti con almeno quarant’anni di contributi versati, a prescindere dall’età anagrafica. Ecco come viene affrontata la riforma previdenziale del pubblico impiego con questo provvedimento la cui finalità è la riduzione del personale in servizio presso le pubbliche amministrazioni. Viene affrontata limitando la permanenza in servizio a coloro che, come il sottoscritto dirigente scolastico, compiono i 40 anni d’anzianità contributiva indipendentemente dall’età. Io e quelli come me rappresentiamo una generazione che ha conosciuto il lavoro presto, in età scolare, che si è però potuta permettere il lusso di fare l’Università, magari da studente-lavoratore, che mantiene malgrado gli anni un particolare senso del lavoro e del dovere. La maggior parte siamo persone di circa 60 anni d’età, di particolari esperienze professionali, persone ancora efficienti che potrebbero essere, se non incentivate a rimanere in servizio, almeno mantenute prevedendo un sistema flessibile di uscite su base volontaria. E si deve ripetere, per essere più credibili, che quest’operazione di recupero avrebbe delle positive e sostanziali ricadute per l’economia del Paese e sull’andamento della spesa pensionistica che continua invece inesorabilmente a crescere? La questione dello snellimento della pubblica amministrazione con la forzata uscita del personale al compimento dei 40 anni di servizio, prevista dalla L.1108/2008 non si applica, però, stranamente ai magistrati ed ai professori universitari (senza contare i “politici “molti dei quali lo sono di professione… e per ordini di scuderia (cioè per… raccomandazione) in assenza del voto di preferenza). Rimangono sconosciute ai più le motivazioni di questa illogica disparità giuridica che, di fatto, configura entro il settore pubblico, un valore diverso, dopo 40 anni di contribuzione, tra la vita delle persone sulla base della tipologia dell’attività svolta. E viene così sbilanciato a favore della decisione amministrativa il preesistente diritto potestativo dei lavoratori… In Italia l’età effettiva in cui ci si mette a riposo continua a restare la più bassa di tutta l’Unione Europea: poco più di 58 anni per gli uomini e circa 57 anni per le donne. Ancora alcuni giorni fa il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in una sua relazione ha fatto presente che “solo il 19% degli italiani con età compresa tra i 60 e 64 anni svolge un’attività lavorativa, contro il 33% degli spagnoli, il 45% dei britannici ed il 60% degli svedesi”. Ma sembra che anche il suo valoroso appello al governo per evitare l’uscita dal mondo del lavoro degli over 60 sia destinata al fallimento. Non so se la mobilitazione, peraltro blanda, in corso produrrà (vista anche la Circ.n.10 del 24.10.2008 del Dipartimento della Funzione Pubblica) una qualche frenata su questa che rappresenta una sostanziale violazione del diritto di ciascuno all’esercizio della funzione ed alla conseguente retribuzione fino al raggiungimento dei limiti di età finora previsti dalla legge ordinaria (limite dei 65 anni) e dai contratti collettivi.
Sergio Andreatta, autore della tesi di laurea e del saggio “Vecchia e Società“ (La Sapienza, 1976, ppgg.347 – Economia Pontina, 1978).
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