di Sergio Andreatta (730)
UN RAGAZZO di 17 anni
si dondola sulla sedia, cade, sbatte la testa e MUORE. Già qualche giorno prima si era dondolato in aula fino a cadere. Pare fosse sua abitudine dondolarsi. Poi la disgrazia tremenda: povero ragazzo, povera famiglia!
Ma, oltre la precaria SICUREZZA DI ARREDI E STRUTTURE pubbliche, sempre da verificare e comunque sempre difficilmente a norma, ben oltre… si capisce quanto e perché sia DIVENTATO PERICOLOSO FARE L’INSEGNANTE o il dirigente scolastico oggi.
La sicurezza, certo, prima di tutto…e la responsabilità in capo a qualcuno da individuare chiaramente, ma qui (come al Convitto de L’Aquila crollato per il terremoto) sembrerebbe solo teorica quella della scuola, effettiva al contrario quella dell’ENTE PROVINCIA cui di norma per gli istituti superiori spetta la fornitura di arredi idonei e provvedere sulla certificazione delle strutture.
Eppure la responsabilità, vista la prima ipotesi di reato (omicidio colposo), è stata scaricata tutta sulla scuola che gestisce il servizio e in primis sul dirigente scolastico qualificato “datore di lavoro” e che pure spesso, oltre alla semplice segnalazione all’Ente, non ha alcuna possibilità concreta d’intervenire. Potrebbe essere stata ravvisata, in prima istanza, la CULPA IN VIGILANDO? E che cosa avrebbe potuto fare il professore dalla cattedra per prevenire o reprimere l’accaduto? Volare? Richiamare l’alunno? L’avrà pure fatto, immagino. Legarlo?… Qualora si ravvisasse in aggiunta la CULPA IN EDUCANDO anche sui genitori potrebbe ricadere una qualche responsabilità. Spetta a loro infatti l’educazione e la formazione all’auto-responsabilità di figli minorenni e che pure, all’età dello studente di Roccaraso, già guidano moto o automobiline insicure con cui vanno a schiantarsi, fanno sesso non protetto, compiono atti di bullismo e qualcuno sbanda in preda alla suggestione delle droghe. Non possiamo che essere tutti colpiti dalla tragedia, naturalmente tutti addolorati per l’accaduto ma sul fatto luttuoso una riflessione più ampia e approfondita s’imporrebbe e necessariamente su un binario di corresponsabilità tra SCUOLA e FAMIGLIA.
II – Continuando a leggere si scopre ancora che questi era un adolescente un po’ inquieto, di un paio di anni indietro nel suo percorso di studi, che la scuola non gli interessava granché, che la mattina stessa dell’incidente non voleva neanche andarci preferendo la cerca dei tartufi finché i genitori non l’hanno obbligato, che sul suo profilo Facebook, tempo indietro avesse predittivamente postato: “E’ triste sapere che non mancherai a nessuno. Che potresti sparire e nessuno se ne accorgerebbe”. Un segnale preciso e preoccupante in queste sue parole. Eccola, infatti, di natura psicologica l’origine del suo malessere: la precarietà affettiva, lo stato emotivo frustrante/frustrato il suo vero problema. E questo forse poteva (doveva?) essere intercettato da qualcuno in famiglia o a scuola. Quando un bambino o un ragazzo ha fame e sete di attenzione, ha fame e sete di affetto qualcuno dovrebbe capire il suo bisogno e gratificarlo per colmare la sua lacuna.In ogni istituzione scolastica dovrebbe esserci un counseling. Nella mia funzionava uno Sportello Psicologico gratuito per l’osservazione sistematica delle problematiche emergenti negli alunni, l’assistenza dei docenti, il consulto dei genitori. Purtroppo un professore di Istituto Alberghiero – ed questo mi appare come un limite evidente nella preparazione – non ha nessuna conoscenza della psicologia dello sviluppo, o dell’età evolutiva come si diceva un tempo, perché non rientrando nel Piano non è stata oggetto dei suoi studi universitari. Quindi in lui potremmo solo ricercare la competenza che gli deriva dalla pratica. In quanto alla sedia, forse omologata o forse no, pare che non si sia rotta nella caduta e anche che sia stata presa dallo stesso studente di sua iniziativa. Certo bisognava impedirglielo. Di quel tipo non ce ne sarebbero altre in aula. Ma non credo sia della sedia la colpa dell’accaduto, piuttosto di una certa aria di sfida che il ragazzo portava in sé, di una sua provocazione latente e preponderatamente della fatalità conseguente alla condotta imprudente. Una condotta che, per l’età e per il processo di maturità, lui doveva benissimo essere in grado di evitare. Un adolescente che cercava un gancio con qualcuno mettendosi in mostra, di interessare in qualche modo gli altri e l’incontrollata ricerca di affermazione personale di Christian potrebbe aver influito, alla fine, sulla decisione dei professori di metterlo o lasciarlo all’ultimo posto della classe magari perché disturbava. Non saprei. Ma tant’è in ogni classe c’è sempre un ultimo studente e nessuno di questi decide, per fortuna, di mettere a repentaglio la propria vita pur di richiamare l’attenzione con una caduta fragorosa che vorrebbe significare: “Io qui ci sono!”. © – Sergio Andreatta