Tornano i giorni della malinconia, del vuoto dentro quando ogni persona di buon senso si sente più fragile e piccola.
Il 2 novembre 1957 io avevo 10 anni e mio padre era morto qualche mese prima per un incidente motociclistico sulla via del Consiglio Comunale. Il giorno di vacanza non era venuto così ad addolcire la profonda tristezza della commemorazione. Subito dopo pranzo ero pronto a inforcare la mia bici. In strada Piano Rosso c’era il podere dei nonni materni, quasi sempre dovevo attraversare il fango scivolato giù dalla collinetta per le piogge. Le foglie giallo-rosse dei platani tappezzavano le sponde. Dovevo star attento a non far slittare le ruote, poi sul ponticello della Femmina Morta mi fermavo per vedere se sul greto ci fosse veramente quel corpo abbandonato. Tutti asserivano che c’era, ma io non l’avrei mai visto ed ero pure contento di non vederlo. Mi specchiavo nella poca acqua che il torrentello, se non aveva piovuto, tributava al vicino corso dell’Astura e ripartivo. Ecco l’antico arco di Conca e proseguendo arrivavo subito al poggio del campo santo cinturato da un alto muro di tufo. Con me non portavo mai ne’ fiori ne’ candele. Mi fermavo davanti ad ogni lapide per parlare con le foto quasi sempre sorridenti dei morti, una preghiera breve per ognuno e via. Nonna Luigia, affondata in una poltrona di legno resa comoda da tanti cuscini, aspettava il mio ritorno per incominciare la recita del Rosario cui nessuno della famiglia poteva mancare se non i primi influenzati della stagione. Il profumo delle caldarroste anticipava la fine del rosario. Nei bicchieri fumava già il vin brulè. La serata trascorreva nel ricordo dei morti, se ne evocava il profilo e questo era, per noi piccoli, l’unica occasione di conoscerli meglio. Sergio Andreatta