Le famiglie ANDREATTA sono innumerevoli, quasi infinite, storicamente provenienti da varie parti del nord-est d’Italia. In realtà Andreatta radicati al di sopra e al di sotto delle “differenze” i vecchi confini di stato tra Impero Asburgico e Serenissima Repubblica di Venezia. I due poli demografici più numerosi di Andreatta ancora oggi si rintracciano principalmente a PERGINE VALSUGANA e dintorni per i ceppi trentini e da nove secoli a FIETTA/PADERNO del GRAPPA e dintorni (oggi, 2019, Pieve del Grappa dopo la recente unione con Crespano) per i ceppi veneti. L’asse geografico che li unisce la Valsugana da Pergine a Bassano e, straordinariamente, da un mio studio semiologico si dimostrerebbe curiosamente anche il padroneggiamento della la stessa lingua, un veneto ulteriore, montano. Non c’è, nè ci potrebbe essere, però, una storia comune che leghi i tanti ceppi ma tante storie differenti, afferente ognuna ad una singola famiglia attorno alla sua radice, al suo genealogico capostipite, a quel primo Andrea da cui al via l’archetipo di Andreatta, figlio di Andrea. Con l’unità d’Italia molte di queste famiglie conoscono la mobilità sociale interna ed estera. La migrazione come per tante altre dipana nuovi destini dispiegati in nuove patrie ma rimangono le radici avite. C‘è, comunque, chi non è mai emigrato e chi invece è emigrato qua e là per il mondo, all’interno dell’Italia (come noi Andreatta-Filippin da Paderno del Grappa
a Littoria/Latina poco a sud di Roma nel 1933 per collaborare con l’O.N.C. alla redenzione delle Paludi Pontine, ora fertile Agro Pontino), chi in vari paesi dell’Europa (Svizzera, Germania, Francia, GB), del sud America (Brasile, Argentina, Venezuela,…) o del nord in USA (dove già si era diretto mio nonno Ambrogio nel 1900 o, attualmente, vive un procugino) e Canada, chi in Oceania (Australia,…). Ma ci sono anche degli Andreatta, partiti anzitempo dal Trentino sotto l’Impero Asburgico con destinazione Bosnia Erzegovina dove avrebbero fondato un paese che da loro ha preso nome o più recentemente in Ecuador (è il caso di mia sorella Bertilla, Madre Camilla che opera da quasi cinquant’anni nella missione comboniana di Esmeraldas).
Non sarebbe metodologicamente corretto, quindi, pensare di risalire ad un’unica, monogenetica storia (se non provata da uno stesso DNA magari anche solo antropologico-culturale) nè pensare di poterla condividere come comune fra tutti. L’unico tratto comune, comun denominatore, si riscontra invece per chi è emigrato negli amari tratti della vicenda migratoria, nel rammarico per lo strappo dai cari paesi d’origine dovuta alla precarietà economica, se non pure alla miseria. Partire con emozione sempre nuova, in cerca di fortuna e senza la sicurezza di un ritorno diventava così un’idea fissa molto diffusa, non solo una chimera. Il tentativo di scrivere oggi (hic ex tunc) una storia familiare comune a tutti gli Andreatta, se non andando alla fonte di tante censite e catalogate storie diverse, mi sembrerebbe quindi solo una pretesa meramente velleitaria. Sergio Andreatta