11th Nov, 2005

Latina. Il Seminatore trova casa

Il Seminatore trova casa.

La statua littoria ritornata in città è collocata al Palazzo dell’Agricoltura.

sergio-andreatta-il-seminatore.jpgGli operai, addetti al delicato trasporto, sembravano di tanto in tanto accarezzargli amorevolmente il viso, quasi a dirgli: “Stai calmo, gigante, non avere paura, perchè ora ci pensiamo noi a te”.

E’ stato emozionante vedere questo imponente monolito di marmo di Carrara così in alto, imbracato sul cassone di un camion in Via don Minzoni bloccata al traffico per l’occasione.

Due ditte specializzate si sono coadiuvate e alternate nel delicato compito del trasporto garantendone la sicurezza.

Alcuni di questi operai sembravano di tanto in tanto accarezzargli amorevolmente il viso, quasi a dirgli: “Stai calmo, gigante, non avere paura, ora ci pensiamo noi a te”.

E’ così perfettamente, nell’orario prestabilito delle 10,30, la monumentale statua de “Il Seminatore” (1938) dopo decenni di ignavo abbandono si è mossa lentamente verso il cielo e senza troppi dondolamenti ha potuto prender terra nel primo portico del Palazzo dell’Agricoltura.

Una collocazione provvisoria, questa.

La statua è stata concessa dal Comune di Latina in comodato d’uso provvisorio alla Coldiretti Provinciale, per il suo 60°, fino al 29 gennaio 2006, poi si troverà un’altra sistemazione.

Non si sa bene quale, ancora.

Il Sindaco Vincenzo Zaccheo, che ha presieduto alle operazioni di installazione, fra scolaresche, autorità convenute e pubblico non molto numeroso presente, ha lanciato, anzi, l’idea di un referendum cittadino per trovare un posizionamento più aperto alla fruizione cittadina.

Naturalmente Daniela Santori, presidente provinciale della Coldiretti, orgogliosa padrona di casa, non si è fatta sfuggire l’occasione e cogliendo, subito, la palla al balzo ha proposto il Palazzo dell’Agricoltura come sede naturale definitiva, magari nella parte alta del bel portico superiore.

Il Palazzo ben si presterebbe, in effetti, per l’architettura razionalista, portici, travertini, altri marmi propri della linearità stilistica dell’epoca, ormai rivalutata da tanti studiosi e critici d’arte.

La statua giacerebbe, quindi, ben visibile nel suo ambiente naturale.

Tesi abbracciata anche dall’on.le regionale Claudio Moscardelli e da altri autorevoli intervenuti, soprattutto di fronte ai rischi degli atti vandalici da cui ogni città deve imparare a difendersi, ormai, se non vuole vedere sottratti o demoliti i propri beni culturali.

E Latina ne ha, davvero, pochi.

Ma il Sindaco non sembra aver ancora deciso, anche se è quasi sicuro che almeno il calco in gesso dell’originale dovrebbe rimanere in questo Palazzo per sempre.

Più emozionato di tutti il Sig. Imo Galanti della famiglia dei noti imprenditori di sementi e concimi con sede in Via Piave dove per decenni, davanti ai suoi silos e capannoni, ha stazionato la statua dopo l’incivile abbattimento della Casa del Contadino del 1963 per il quale nessuno è mai stato chiamato a pagare.

Siamo grati al Sindaco per questo recupero di memoria artistica e storica locale.

Penso a cosa avrebbe provato e pensato mio padre, Giulio Andreatta, pioniere veneto, primo consigliere comunale dei Borghi, di vasta cultura agraria, che per questa città è morto il giorno del compimento dei suoi 44 anni.

Penso ai leoni medioevali di Priverno che hanno preso il volo in questi giorni, pur non essendo neanche alati, e a questo Seminatore che, invece, ritorna.

C’è così poca monumentalità nei nostri paesi e nelle nostre città pontine, antiche e, soprattutto, in quelle moderne che quel poco che esiste dobbiamo valorizzarlo e preservarlo.

La monumentalità non serve?

Non di solo pane vive l’uomo.

Serve anche la monumentalità, serve anche quando tutt’intorno c’è miseria.

Vedi il reclamo eritreo dell’obelisco di Axum.

La monumentalità fa parte, sempre, dell’identità del genius loci, dei suoi simbolismi la cui interpretazione sullo stesso manufatto può anche variare a seconda della cangiante attualità, della sensibilità personale e culturale, è il bisogno di quel vestito con cui ci facciamo fotografare per l’ufficialità di una carta d’identità.

Sulle pietre non ci dovrebbe mai esser bisogno di uno schieramento ideologico e di creare, necessariamente, posizioni contrapposte.

Anche se sappiamo non essere così nel mondo.

Senza condivisioni spurie, possiamo anche tentare di documentarci sullo spirito di quei tempi.

I nostri, del resto, hanno le loro dimensioni, le loro proiezioni ma anche quella necessità, perfino morale, di salvaguardare dall’oblio e dalla distruzione la propria memoria di tutti i giorni, dalla memoria della festa alla memoria dei giorni di lutto.

La statua vista così da vicino è davvero monumentale e fa il tris con le altre due poste davanti a Palazzo “M”.

Lo storico dell’arte Vincenzo Scorzarella ci ricorda le note vicissitudini subite per quella sorta di “damnatio memoriae” che, negli anni ’50 e ’60, infervorava gli amministratori di Latina più che di altre parti, con una dissennatezza che andava a colpire tutto ciò che era riferibile agli anni della fondazione, fino all’idea di voler radere al suolo Piazza del Popolo.

Certo il Seminatore, con la sua possente muscolatura retorica ci ricorda tutta la retorica della bonifica, della battaglia del grano, ma a me ricorda anche l’umiltà del sacrificio, del riscatto dei poderi, della “terra” come valore per il quale molti vivevano senz’altra speranza e anche morivano sui campi.

Non un’idea facile ma un’idea che si misurava ogni giorno con la fatica degli umili, seppure obbligati ad adunarsi in piazza il sabato per i riti d’uso del fascismo.

I coloni veneto-pontini e delle altre regioni contribuenti non avevano colpe.

Certo non più di tutti gli altri Italiani e, anzi, più di loro con l’inganno di una redenzione sperimentavano sulle proprie carni una durezza della vita ben lontana da ogni agio.

© Sergio Andreatta, Latina, 11.11.2005, Ricollocazione della Statua de “Il Seminatore”.

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