De rerum natura
Tito Lucrezio Caro (va.98 – 55 a. C.),
DE RERUM NATURA, (Sulla natura delle cose), poema pubblicato postumo da Cicerone. Qui il Poeta ci trasmette il suo messaggio liberatorio e demistificante volto a spogliare il lettore da ogni falsa credenza e da ogni illusoria ambizione per porci di fronte allo spettacolo sublime e terribile della Natura. L’ Universo infinito nel suo pensiero, derivato dalla dottrina filosofica di Epicuro, Empedocle e Democrito, è retto dalle leggi di natura più che dal capriccio divino, dalla visione teologica di un mondo unico, immortale e divinamente ordinato. Sarebbe la paura della morte la madre psicologica di ogni superstizione religiosa…Torno a rileggere questo grande capolavoro, molto apprezzato nel Rinascimento e particolarmente durante l’Illuminismo, dopo quasi cinquant’anni. Il “materialista” (da materia/mater) Lucrezio per la sua morte prematura (la sua biografia ci è anche ignota) compose la sua opera oltre cent’anni prima che giungesse a Roma la buona novella del primo Cristianesimo con Pietro e Paolo e così non sappiamo quale sarebbe potuto essere il suo rapportarsi con la nuova religione giudaico-cristiana seppure in coerenza con il suo pensiero potremmo immaginarcelo. Conosciamo invece la dura condanna espressa contro di lui (adversus) quattro secoli dopo dall’illirico S. Girolamo segretario di papa Damaso I prima di ritirarsi a Betlemme per dedicarsi allo studio e alla Vulgata dal greco al latino della Bibbia («… nel tradurre i testi greci, … , dove anche l’ordine delle parole è un mistero, non rendo la parola con la parola, ma il senso con il senso“). Trovo che nell’inquietitudine dell’animo il messaggio filosofico e pedagogico di Lucrezio continui a rimanere ancora oggi più che mai inscindibilmente ancorato alla sua sublime veste letteraria. La peste di Atene ci ricorda inoltre quella in corso per il Covid 19. La morte orribile, gli affrettati funerali, la mancanza di assistenza, l’ammucchiarsi dei cadaveri insepolti, tutto il quadro sembra assurgere a potente metafora della vita umana, del suo disordine psichico, morale e sociale. L’immagine conclusiva è terribile, la folla si accalca disperatamente e combatte per assicurare ai suoi defunti una delle poche pire dove ardere le spoglie del proprio familiare. Sergio Andreatta
Nec superare queunt motus itaque exitiales / perpetuo neque in aeternum sepelire salutem // Nè valgono, i moti di morte, a prevalere per sempre, / nè a seppellire per l’eternità la spinta della vita (Lucrezio, D.R.N., 569-570). Ecco che sembra venire da lontano un insospettabile incentivo naturale a superare il Covid 19.