3rd Nov, 2007

Paulo Coelho:“Anch’io ho voluto entrare”

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Non più rinchiusi in noi stessi, aperti alla compagnia, più capaci di amare…

Sono i primi giorni di novembre in cui ci sentiamo tutti più uniti in familiarità con i nostri cari che non ci sono più.

“Anch’io ho voluto entrare” scrive Paulo Coelho:

“Non ero più capace di pregare, ma il silenzio delle chiese tranquillizza sempre”.

Non più rinchiusi in noi stessi, aperti alla compagnia, più capaci di amare…

Sono i giorni in cui ci sentiamo tutti più uniti in familiarità con i nostri cari che non ci sono più.

E se vedo ogni anno un crescendo di assenze sempre più notevole nelle chiese e nei cimiteri, penso che siano i parrocchiani che sono andati a fare il week-end, magari al proprio paese dove c’è il cimitero delle origini da visitare.

Oppure si saranno inventati altre modalità, laiche, per ricordare…

Latina è così, si sa, città nuova senza mura, senza radici proprie se non quelle avventizie più recenti, città di immigrazioni ad ondate successive per cui c’è sempre un paese per tutti, ancora, alle spalle.

Tutti abbiamo dei morti, tutti li vogliamo evocare secondo i nostri pensieri, i nostri ricordi e le nostre usanze non del tutto calpestate: una preghiera e un crisantemo…

Eppure… Ci sono genitori che non vogliono si tocchi l’argomento-tabù in famiglia: porterebbe male, dicono, al futuro dei loro figli!

Porta male condurli al cimitero per una visita alla tomba dei nonni? Li traumatizzerebbe, poverini? Porterebbe male e per esorcizzare la loro ingiustificata e irrazionale paura i genitori diventano così lassisti e gli fanno fare tutto quello che vogliono, o diventano iperprotettivi rinunciando ad educarli all’autonomia per trovarseli, purtroppo, da più grandi, morti in casa…

Come sono diversi da noi, nelle loro percezioni, questi delicati bambini di oggi!

Eppure in alcune case si spolverano vecchi album di famiglia, si vedono insieme fotografie e vecchi filmini, magari per contarsi.

Più gente va, comunque, in chiesa per unirsi ai canti e alle preghiere, sentendo di pregare, questa volta, per una ragione affettiva e familiare più convincente.

“Anch’io ho voluto entrare” scrive Paulo Coelho.

“Non ero più capace di pregare, ma il silenzio delle chiese tranquillizza sempre” scrive.

E viene in mente il padre, la madre, qualche volta anche un figlio prematuramente ghermito dalla strada, dalla droga, da un brutto male. Il mio ghermito che non sapeva parlare, ancora all’alba…

E’ d’obbligo ricordare per sentirsi bene.

E la loro commemorazione comincia nelle chiese già il giorno dei Santi, nel pomeriggio dopo i Vespri o, dopo la trasformazione del due novembre in giorno feriale e lavorativo come tutti gli altri, ancora il giorno prima.

In queste ore i sacri templi sono più pieni del solito.

La Chiesa ricorda la “Comunione dei Santi” cioè l’unione di tutte le anime, per cui il bene di ognuno diventa il bene di tutti, e il bene di tutti diventa il bene di ognuno…

Questa “comunicazione spirituale con loro ci rende più sereni e tranquilli in tutte le nostre cose…” ha scritto Giovanni XXIII in una sua lettera.

E’ proprio così anche per chi è laico o non crede ma è, comunque, riconoscente a chi lo ha generato a questa vita.

I cimiteri sono pieni di donne anziane, ma anche giovani, che puliscono solerti le lapidi dei familiari e portano fiori, magari non più i bellissimi crisantemi che caratterizzavano il due novembre di una volta ma tutti i tipi di fiori, recisi, in vaso, anche liofilizzati, in seta, di… plastica.

Quel fiore e il lumino, divenuti ogni anno sempre più costosi, rappresentano l’urgente icona della nostra presenza, del nostro inconscio bisogno di esserci per non dimenticare e della irrefrenabile riconoscenza.

Dovunque nei vialetti di solito deserti del cimitero sono tante le persone che rimangono in piedi davanti alle tombe dei loro cari, raccolte davanti alle lapidi.

Poi, quando hanno stimato di esserci rimaste il tempo sufficiente, si segnano e vanno via, non senza aver scambiato qualche saluto con qualche vecchia conoscenza che non vedevano dall’anno prima, nella stessa circostanza.

Anch’io davanti alla pietra mi sono fermato e ho pianto. Davanti alla tomba di Valentin Timofte, l’amico pittore rumeno, ho sostato e lasciato un rametto di orchidea. Quante volte mi hai confessato nelle difficoltà esistenziali che ti travolgevano, Valentin, come fosse più difficile per te vivere che morire. Non so se la morte, quasi invocata, ti sia sopraggiunta per questo in anticipo.

Un’antica tradizione popolare celtica voleva che nella notte tra il 1° e il 2 novembre i morti ritornassero sulla terra (la festa dei morti viventi), ciascuno alla propria casa.

A Palermo in quella notte porterebbero giocattoli e dolci ai bambini a sottolineare con dolcezza il perpetuarsi ciclico della vita e della speranza.

Altrove arriverebbero stanchi del viaggio per cui bisogna alzarsi prestissimo per lasciare loro il letto con un lume acceso a fianco, un po’ d’acqua nel lavandino e un po’ di cibo sul tavolo.

Fino ad una generazione fa, in alcuni paesi, c’era, pure l’usanza del cibo di rito, così le fave già dal tempo dei romani e dei primi cristiani tenevano il primo posto nei conviti funebri insieme ai ceci lessi.

Ormai le fave dei morti si sono trasformate in alcune tradizioni, da un bel po’ di generazioni, in dolci…

Nel calendario celtico l’anno cominciava il primo novembre con la notte di Halloween, su cui pure ho scritto, in precedenza, un articolo- intervista.

Si può comprendere, allora, come sia stato necessario per

la Chiesa accostare le due feste di Ognissanti e dei Morti, la prima istituita da Papa Gregorio II, nell’VIII secolo al posto di una precedente e resistente festa pagana, la seconda nel 998 da Odilo abate di Cluny.

Anch’io, come tutti, mi sono mosso, in questi giorni,  per il mio tour tra i cimiteri per una doverosa visita ai miei cari cominciando da quello piccolo, da me citato in più poesie e descritto anche da Stanislao Nievo in “Aurora”, di Borgo Montello dove riposano, non molto lontano dalle ossa di Luigi Goretti padre di S. Maria, le spoglie dei miei genitori.

E poi, domani, ponte tra due sponde mi ritroverò a Latina davanti alla pietra del mio piccolo Flavio.   

© Sergio Andreatta

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