7th Nov, 2007

Classi di soli bocciati?

iti-g-galilei-latina-fto-sergio-andreatta.JPG Che senso ha in una scuola pubblica? Quale legittimità in tutto questo?

All’inizio dell’anno scolastico la preside  dell’istituto  tecnico  “Gastaldi”  di  Genova,  Elsa Cirlini, avrebbe  deciso  motu  proprio e  malgrado  la  dichiarata contrarietà del Collegio dei Docenti, di costituire una classe di soli bocciati. Pare che in una Media di Latina sia accaduto, invece, con alunni stranieri, extracomunitari e non. Coraggio o sprovvedutezza organizzativa? E si poteva farlo?

 

Le informazioni, scarse e precarie, non sembrerebbero sufficienti a legittimare la decisione presa né a favorire un approfondito commento e tuttavia una domanda sorge spontanea. Con quali motivazioni si adottano certi provvedimenti, se non con una giustificazione di interesse didattico verso l’omologazione di un’offerta, ritenuta e voluta in questo modo più semplice? Purtroppo l’istruzione, e ancor più l’educazione, agiscono sempre, e particolarmente nella società italiana contemporanea, in contesti complessi, cangianti e non sempre riducibili ad unum. In questo quadro l’integrazione deve intendersi, sempre e comunque, come risorsa in sè. Anche a me, direttore didattico di antico pelo, è stato richiesto da alcuni genitori, e neanche una sola volta debbo dire, di procedere alla formazione di una classe con i soli extracomunitari o neo-comunitari. A parte che la densità attuale non è tale da consentirlo alla primaria C.Goldoni di Latina ma, se lo fosse stato, cosa avrei fatto? E perché, poi, fermarsi a solo questo, una volta intrapresa la via della selezione, e non proseguire su altri fronti con gli handicappati, i disabili o diversamente abili che dir si voglia? Ho ritenuto, allora, di dover rispondere e tutt’ora lo ritengo legittimo, dopo quasi trent’anni di direzione scolastica (dal concorso ordinario nazionale del 1977), che non si potesse cedere facilmente a qualche istanza di genitore, magari nella paura che tutti avessero un briciolo di ragione nell’affermare i loro presunti “diritti”, né lo farei mai per inseguire una pubblicità sensazionale e di dubbia utilità. Ogni azione, specie nel nostro campo, va sempre soppesata prima della sua introduzione come fa con ogni mossa ogni buon giocatore di scacchi. “Istruire educando”, ribadiscono ancora le ultime “Indicazioni nazionali”, puntando a promuovere un apprendimento significativo, metacognitivo, cooperativo… Ogni classe selettiva va, invece, decisamente contro questo principio. Ecco perché io, Sergio Andreatta, non ho ceduto e non cederò facilmente alla sirena che mi vuol indurre in tentazione, se non altro per non avallare col mio incipit un condensato di prevedibili problemi. Tra le finalità della scuola di qualsiasi ordine e grado si rintraccia sempre, invece, quella di promuovere per prima l’integrazione sociale, di valorizzare la multiculturalità, di sviluppare l’interculturalità. Risulterebbe che altrove, in un’altra scuola media di Latina, si siano formate classi con i figli dei vip o se ne tentino altre per stratificazione socioculturale. Vaglio intollerabile e democraticamente scorretto! Se il mezzo è eminentemente il messaggio, in questo caso la scuola, non si può assolutamente legittimare questa sperequazione e questa svalutazione di qualcuno. Un dirigente scolastico è impegnato a trovare la ponderata soluzione ai problemi con attenzione a quello che comunica col suo linguaggio operativo, prima ancora che con quello verbale. Negozia le soluzioni, non le impone. Nel caso di Genova è stata trascurata, a mio avviso, l’integrazione come condizione di valore e di qualità dell’offerta di cui tutti devono beneficiare senza paratie e compartimenti-stagno. Prima ancora che tecnica la questione, adottata con soluzione rigida, preclusiva e senza ipotesi di arte e scienza della flessibilità didattica magari prevedibile con la formazione di un gruppo di recupero/potenziamento ad hoc soltanto temporaneo, mi sembrerebbe proprio di valenza “politica”. Una comunità di apprendimento non deve additare, neanche indirettamente, mai nessuno come negativo. Non è questione di ipocrisia… Un ispettore inviato dal ministro Fioroni, per il tramite del  direttore  scolastico  regionale della Liguria,  è andato anche ad accertare se siano state rispettate o violate le procedure previste dalla legge per attivare iniziative sperimentali. Secondo le norme vigenti (DPR 275/1999, Regolamento dell’autonomia) le istituzioni scolastiche “riconoscono e valorizzano le  diversita’,  e promuovono le potenzialita’ di ciascuno adottando tutte le  iniziative utili al raggiungimento del successo formativo” (art. 4, c.  1),  tra le quali “l’articolazione modulare di gruppi  di  alunni  provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso” (art. 4, c. 2, punto d). La norma scrive “riconoscono e valorizzano” e non “discriminano”, cui si aggiunge che possono adottare iniziative come la citata “articolazione modulare di gruppi”. Una classe di soli bocciati non ha in sè, però, strutturalmente nulla di modulare né di specifico del gruppo formato per il raggiungimento di un obiettivo potenzialmente nobile ma semplicemente avvia ad un “andamento” diverso dagli altri, probabilmente anche più lento, se non svalutativo, in questo caso. Tecnicamente potrebbe anche essere un provvedimento adottato nel rispetto della lettera ma non dello spirito di una scuola pubblica. Quale il reale intento, allora, della scuola genovese? E, comunque, per attivare un’iniziativa come quella  attuata  dal  “Gastaldi” (sia pure prevedente il recupero dell’anno  perduto  mediante  esame  di idoneita’  alla  fine dell’anno scolastico)  il  relativo  progetto  non avrebbe  dovuto  essere inserito necessariamente in quell’unico contenitore formale e sostanziale che è il P.O.F. o Piano dell’Offerta Formativa? E non compete al Collegio  dei  Docenti, piuttosto che al dirigente-manager, predisporre un progetto didattico, sulla  base  degli  indirizzi  generali definiti dal Consiglio di istituto? Ecco qui il chiaro vulnus giuridico, da quello che si può evincere dalla stampa, in cui è incorsa l’istituzione genovese. Certo che, se questi passaggi procedurali fossero stati  tutti rispettati  (e questo lo rivelerà soltanto l’esito dell’ispezione), l’esperimento genovese potrebbe anche avere una parvenza di legittimità rientrante in qualche modo nella sfera delle autonomia scolastica e nelle competenze degli organi dell’istituzione, ma personalmente, in nome di una presunta efficacia ed efficienza, non avrei mai promosso ciò che si prefigura da subito come un apparente, discutibile atto di discriminazione, seppure altri lo possano intendere come un’azione di coraggio, un’opportunità a forzare certi steccati funzionali ed organizzativi pure in qualche caso esistenti. Alla pro-vocazione Maria Montessori assegnava una valenza educativa ma in questo caso?           Sergio Andreatta

 

Con il titolo “Scuola, questione di classe“questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano La Provincia, pag.18, di lunedì 12 novembre 2007.
 

 

Commenti

Alcuni genitori fanno di tutto per chiedere quella maestra o quel professore. E guai se il loro iperprotetto fanciullo, all’atto della formazione della classe, non viene incluso dove pretendono. Si nota, in questo, una mala educazione diffusa… e spesso, ahimè, anche non adeguatamente contrastata da laschi dirigenti scolastici.

Non finiamo mai di soprenderci per come siamo capaci di invenzioni, di pianificare percorsi a nostra misura. Stare insieme è meglio che dividere, per un senso comunitario e spesso anche per il raggiungimento di un obiettivo didattico.

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