Al Museo Cambellotti di Latina, dal 4 al 7 aprile 2009: Mostra fotografica dei viaggi.
Riproposizione di un’intervista RAI. Omaggio dei poeti pontini.
© – di Sergio Andreatta
Inaugurata oggi, presso il Museo Cambellotti di Latina, una Retrospettiva fotografica dei viaggi di Stanislao Nievo, sessanta scatti per le vie del mondo. Presenti l’assessore alla cultura Bruno Creo, la moglie dell’autore Consuelo Artelli Nievo, presidente della Fondazione Ippolito Nievo, e Francesco Maria Proietti giovane responsabile nazionale dell’organizzazione e dei servizi della stessa. In una riproposta intervista per Rai Educational del 1993 si vede lo scrittore “friulano” dare senso al suo viaggio esistenziale, interpretarlo: viaggio antropologico, più che fisico, per il mondo delle diversità multiculturali e multietniche da cui trarrà le sue numerose corrispondenze giornalistiche o il film “Mal d’Africa” (1966); viaggio nell’amicizia, quella vera che resiste alle contrarietà e alle tante superficialità, di cui ho potuto beneficiarne anch’io; viaggio nella profondità del dolore e nella tragedia di un mare o di un deserto tra un Ippolito e l’altro di Casa Nievo. L’attore e regista Maurizio Tartaglione, trovando spalla nello stesso Roberto Perticaroli direttore de “I Parchi Letterari ® Omero”, si esibisce con maestria nella presentazione di alcune impressionanti pagine naturalistiche tratte da “Aurora”. Giovanni Persi, vice-questore aggiunto del Corpo Forestale dello Stato, parla del rapporto speciale che legava Stanis con la natura pontina, con la superstite foresta planizaria scampata grazie all’istituzione nel 1934 del Parco Nazionale del Circeo all’alacre bonifica delle paludi, zona umida “africana” come “grande madre” nobilitata e anche impreziosita dalle stupefacenti mitologie antiche della letteratura greca e latina. E brillano i rapporti intrattenuti dallo scrittore con i due direttori del Parco Nazionale del Circeo Enrico Ortese e Alfonso Alessandrini. A queste parole mi ritornano in mente altri passi e passaggi del romanzo “Aurora” del 1979, ambientato in Agro Pontino. Qui lui trascorse l’età della scuola elementare in un borgo (Montello – Conca) confinante con il mio (Bainsizza) dove al pod.769 dell’O.N.C., già sede per un certo periodo del Comando Alleato dopo lo sbarco di Anzio, io vissi la mia infanzia. Il podere dei miei nonni materni al Piano Rosso, provenienti da Conegliano anche prossima alla sua Colloredo, distava poco più di un chilometro dalla sua casa al borgo antico, dalla Valle dell’Astura madre della civiltà pontina, dall’archeologia imponente di Satricum e della sua protettrice Mater Matuta… Viene aperto, quindi, uno spazio a: “L’ispirazione letteraria in terra pontina attraverso un ricordo, un pensiero… un verso”. Sono presenti i poeti Sergio Andreatta, Rodolfo Carelli, Bruno Creo, Leone D’Ambrosio, Ettore Scaini e Adriana Vitali Veronese che rendono omaggio a Stanis leggendo alcune loro brevi composizioni. Apre il veneto-pontino Sergio Andreatta che alterna brevi frammenti di prose (dal suo “Una storia, un racconto”) a poesie tratte da “Eucalyptus” (1980) che ha avuto la prefazione di Nievo, ad alcune nuove e inedite produzioni come il componimento “Prigionieri dell’amore” proposto in anteprima, ispirato da una visione in Sabaudia, che impressiona per la sua intensità l’ormai folto uditorio. L’empatia doveva raggiungere, però, il suo acmè con la declamazione del novantaquattrenne Ettore Scaini, “vivaista-poeta” cisternese, costante amico di Stanis fin dai suoi 14 anni. L’incontro culturale è proseguito con gli iscritti all’”Accademia permanente degli studi e delle arti di Latina e Provincia” presieduta dal prof. Antonio Polselli. Un laboratorio che opera all’interno del Centro Sociale di Via V.Veneto. Per gli anziani un’avventura di grande significato umano, per noi un vero piacere sentirli leggere, con passione e dote di buona interpretazione, alcune pagine scelte di “Barca Solare”.
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Ma che cos’è un viaggio se non, più di una metafora, la vita stessa? Vivere, viaggiare, scrivere è stato un tutt’uno, come per tanti altri, anche per Stanislao Nievo. Tutti i grandi scrittori hanno amato e amano viaggiare, anche tutti i grandi non scrittori e forse, come noi, anche tutti i non-grandi per qualcosa. Ma uno scrittore viaggia sempre diversamente da tutti gli altri, viaggia con gli occhi della mente e talvolta del cuore. Nei suggestivi locali dell’antica “Locanda Martorelli” al numero 4 di Piazza Corte ad Ariccia, tra fine settecento e gli inizi dell’ottocento, sostavano gli artisti che facevano per moda il “Grand Tour”. Un rito per i sacerdoti della cultura europea da cui nessuno osava sottrarsi se non correndo il rischio di sminuire in caratura la propria cifra artistica personale. Superfluo ricordare, allora, Johann Wolfgang von Goethe nel suo “Viaggio in Italia” (titolo mutuato nel 1956 da un libro di Guido Piovene che passando per Paderno del Grappa, il mio paese d’origine, incontra e scrive anche alcune pagine su un mio familiare). E chi non viaggiava fisicamente, potendosi appagare e liberarsi in altre direzioni dalle sue solite, sostando, deviando magari improvvisamente, sospendendosi dai tanti affanni della quotidianità, lo faceva viaggiando sulle ali della fantasia, come un Jules Verne e un Salgari, sedotti dalle incostrittibili avventure della mente umana. L’unico viaggio che Emilio Salgari fece veramente è stato per tre mesi su e giù lungo l’Adriatico a bordo dell’”Italia Una”. E, tuttavia, questa noiosa spola marittima è stata sufficiente ad alimentare una delle più fertili e suggestive fantasie della letteratura mondiale. “Il viaggio più affascinante è un ritorno, un’odissea, e i luoghi del percorso… sono una sfida ulissiaca” mi disse una volta, in “Casa Lawrence” a Picinisco, il conterraneo di Stanis Claudio Magris prendendo spunto dal suo premiato “L’infinito viaggiare”. La letterastura di viaggio è sterminata e perfino catalogabile in filoni precisi. Alcuni autori hanno anche tentato un’interessante autoanalisi del proprio mettersi in moto per le vie del mondo. Ma Stanislao Nievo, prima ancora del giornalista e dello scrittore, sentiva dentro di sé il prepotente bisogno di muoversi dell’esploratore di originali realtà “altre”, del fotografo e del documentarista che era in lui, lo attirava il “richiamo di luoghi isolati, senza troppa civiltà – come scrive Consuelo Artelli Nievo nel Catalogo- e lo attiravano il rischio e la scoperta, l’andare sempre “oltre” verso cose nuove e sconosciute”. Quasi il pretesto a una sfida permanente con se stesso.
© – Sergio Andreatta, Latina, Museo Cambellotti, 4.04.2009.