11th Apr, 2009

Sergio Andreatta, Un primo ricordo di Stanis Nievo

Un primo ricordo di Stanis Nievo

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L’atmosfera della Mostra “Storie di un Viaggiatore” che si tiene al Museo Cambellotti di Latina mi fa subito immaginare che Stanis avrebbe sicuramente apprezzato quest’idea di una cosa che ne ricordasse un’altra, che di lui si volesse ricordare trasversalmente l’opera letteraria, i Parchi, la documentaristica fotografica e filmica, le avventure di viaggio. Richiamare la sua vita come è stata, in tutte le sue pagine, in tutte le sue vicende esistenziali, in tutte le sue avventurose vicende senza trascurarne alcuna… Nel 1980, dopo una telefonata non intermediata cui risponde direttamente, vado per la prima volta a casa sua sulla Nomentana, per una richiesta di prefazione al libro di poesie “Eucalyptus”. L’appartamento è all’ultimo piano di una palazzina e il saluto mi viene subito offerto nel piccolo atrio di casa da alcuni feticci esotici, quasi numi tutelari, e da un tavolino tondo posto al centro e stracolmo di libri di viaggio, di foto e d’arte. Ed ecco

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l’emozione dello studio-libreria dentro cui vengo quasi tuffato, come per un test di valutazione sul mio rapporto coi libri. Ce ne sono tanti di libri, anche mal riposti per quella che mi sembra una continua consultazione. Ora la carezza della mano va alla macchina da scrivere come potrebbe un delizioso buffetto sulla guancia dell’amata. E anche qui nei ripiani sono visibili le tracce della sua cultura del viaggio, più che artistica, di valore etno-antropologico, soprattutto nella Papua Nuova Guinea dove era andato “affascinato” vent’anni prima e dove sarebbe ritornato anche in seguito (1985). Nel salotto, neanche grande, mi accoglie un divanetto antico e pure scomodo nella sua rigidità, appoggiato di spalle a una parete, su quella di sinistra un antico frammento di pietra, un bassorilievo con delle rotte figure classicheggianti, da quella di destra penetra, da una porta-finestra sul terrazzo, la luce tenue del nord. Uno squillo di telefono lo richiama presto nel suo studio-covo. Rimango così solo con le mie impressioni i miei timori e il sentore di una discreta, invisibile presenza femminile dietro la parete… Quel piccolo mondo di erbe tenere e fiori di maggio attraverso la cura personale che ci mette, penso, deve preservargli parte del cordone ombelicale verde con l’immensità forestale africana dei suoi tanti viaggi. “Però, abbiamo gli stessi interessi!”, mi dico rinfrancandomi nell’osservazione da dentro di quelle erbe, ma non è difficile pensarlo conoscendo il suo amore per la natura e il suo radicato interesse per le scienze naturali. Ho appena finito di leggere attratto dalle scoperte e rileggere “Aurora”. “Una chiamata  importante che aspettavo” dice Stanis come a volersi scusare. Politica, interessi culturali, lavoro e perché io voglia scrivere, lui vuole conoscermi tutto. Sapere con aria di scoperta, con l’insistenza di chi indaghi prima di cedere e facilmente acconsentire alla consegna del manoscritto che mi ero portato in tasca senza troppe, più che audaci, ripromissioni. Penso così che, più che mettersi in sintonia, voglia farsi un’idea se la mia storia personale meriti o no; se vale la pena spendere per me quel po’ di attenzione che, comunque, gli richiedo; un po’ del suo tempo così straordinariamente pieno di altri vasti, e per me in gran parte ancora sconosciuti, suoi orizzonti. Orizzonti che se li avessi conosciuti tutti prima mi sarebbe sicuramente venuto meno il coraggio di chiedergli qualcosa… Ma a un certo punto, quasi all’improvviso, percepisco un travaso di simpatia per me tanto che, per darmelo a vedere, proferisce ad un tratto di invidiare il mio mestiere di educatore. Gli sembra così importante il mio lavoro per i bambini. “Ed io il suo di viaggiatore e di scrittore di una scrittura mai banale” subito gli rispondo. “Suo?”- mi ribatte di rimbalzo – “Tuo!Dammi del Tu, Sergio. Abbiamo tratti in comune noi due: tu di un Borgo, io dell’altro”… Si riferiva a Bainsizza

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e Montello dove ognuno aveva trascorso gli anni della sua giovinezza. Aveva passato l’età della scuola elementare in un borgo (Montello – Conca) confinante con il mio (Bainsizza) dove al pod. 769 dell’O.N.C., già sede per un certo periodo del Comando Alleato dopo lo sbarco di Anzio, io avevo vissuto in campagna, tra le ondeggianti alte chiome degli eucalyptus, una felice infanzia fino alla tragica morte di mio padre. Il podere dei miei nonni materni al Piano Rosso, provenienti da Conegliano anche prossima alla sua Colloredo, borgo-montello-palazzo-fto-sergio-andreatta.JPGdistava invece poco più di un chilometro dalla sua casa al borgo antico, dalla Valle dell’Astura madre della civiltà pontina, dall’archeologia imponente di Satricum e della sua protettrice Mater Matuta… Ma il vero tratto in comune era, in realtà, un altro: l’ansia inappagata per la ricerca, che lui realizzava così bene nella metafisica del viaggio e della scrittura e in tutto quello dentro cui con audacia si avventurava ed io nel continuo tentativo di imboccare strade nuove per una ricerca-azione di pedagogia… © – Sergio Andreatta

La foto di Nievo nel suo studio è stata scansionata da pag. 36 del catalogo, Storie di un Viaggiatore, 2009, a cura della Fondazione Ippolito Nievo.

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