Emigrare
di Sergio Andreatta
C’è chi viaggia sapendo di ritornare, chi per ritornare di tanto in tanto, chi per non ritornare più. E questo viaggio si chiama “emigrare”…
Emigrare, dire addio con sentimenti dolorosi ma anche con nuove aspettative alle proprie radici, al “genius loci” natio, alla tradizione secolare che ha nutrito la propria cultura familiare del paese, del dialetto, della memoria dei padri consegnati prima alle braccia accoglienti della terra-madre. Dividersi fratelli dai fratelli, dire addio con dolore, mantenendo per sempre nel cuore gli impeti della nostalgia che ritorneranno spesso a fare l’esame di coscienza, a rimproverare di essere partiti e ritornare se si può, quando si può. Lo slancio di ogni partenza, e anche di una migrazione, è la vitale ricerca di un benessere nuovo, di quello che la propria terra immiserita, non perchè matrigna o avara, quasi dispiacendosi ha negato in un particolare momento della sua storia. Così lasciare la propria terra, i propri affetti, i propri averi e partire. Verso un posto lontano sconosciuto, verso mille sfide nuove con la speranza di trovare qualcosa di meglio. E oggi si parte dal Sud e dall’Est del mondo per venire nel nostro Paese ma, subito dopo l’Unità d’Italia, svanite le grandi idealità risorgimentali, che pur avevano saputo reggere in piedi gli animi anche nella miseria quotidiana, che cosa rimaneva più ai molti nuovi Italiani? Il confronto con la dura realtà di ogni giorno, con i problemi della sopravvivenza e del futuro della copiosa prole, che comunque la condivisa coscienza di maggiore libertà personale e di gruppo trasformava in motore di ricerca, in slancio a ricerca di nuove dignità. Tanti, nella seconda metà dell’Ottocento, erano spinti fuori dalle regioni del Sud come del Nord dell’Italia, orientandosi verso nuovi mondi non facendo, però, mai sbiadire i ricordi o recidere del tutto le radici dei vecchi… E come continuano ad amare la loro regione e il loro paese anche i discendenti pontini dei pionieri, come resistono alla corrosione delle tradizioni familiari! Nelle loro parole non si coglie la fatica per la quasi perduta radice, per il ricordo che si ostina contro ogni sbiadimento né s’intravede neppure lontanamente una qualche similitudine con il pensiero di Guillaume Apollinaire che pure aveva scritto: “Non possiamo portarci dietro dappertutto il cadavere di nostro padre”. I nostri giovani ancora oggi guardano ai loro padri, allora giovani seguaci del loro sogno di Icaro a volo radente sulle terre riscattate alle paludi. Ma pur attratti indietro dal fascino e dalla religione delle origini, i nostri giovani si sentono dentro la propulsione a un futuro che ormai potrebbe essere ovunque… © – Sergio Andreatta, Una Storia, un racconto (1992).
Brano di “Una Storia, un Racconto” letto in pubblico dallo stesso autore Sergio Andreatta, al Palacultura di Latina il 16.12.2008 (“90 anni di colore”, per Cinelli) e al Museo Cambellotti il 4.04.2009 (“Storie di un Viaggiatore”, per Stanis Nievo).