13th Ago, 2005

Nel più piccolo villaggio del mondo alle fonti della luna

 

Alle Fonti della Luna

di Sergio Andreatta 

Gli manca solo un campanile per poterlo considerare un paese vero. Il più piccolo paese del mondo, composto di due famiglie e di quattro abitanti. Si trova nel Lazio, nella Val di Comino, sulla provinciale n. 112 che da Picinisco sale a Prati di Mezzo. Si chiama “Fontitune “, frazione alta di Picinisco. 

fontitune-agostino-crolla-fto-sergio-andreatta.bmpNon è facile comprendere l’etimologia di questo suo, oscuro, nome in dialetto né che cosa possa averlo mosso. Siamo in quella che fino al 1929 era un angolo forestale misconosciuto della provincia della ex Terra di Lavoro Alta. Fontitune o “Fonti di luna” secondo un tentativo di traduzione in lingua, forse arbitrario, messo in atto da qualche intellettuale del posto. Ipotesi non credibile ma, se così fosse, si aggiungerebbe soltanto un altro valore e una vena di vibrante romanticismo e di poesia in più ad un posto già ammaliante di per sé per la sua segreta e rusticana bellezza.

“Fonti di luna”, allora, perché nel più freddo inverno del Parco Nazionale, quando dalle Mainarde scende la neve su Picinisco, questa sua frazione più alta, appollaiata come un falco su uno sperone roccioso a più di mille metri di altezza in mezzo ai boschi, si copre tutta del candore vergineo della neve e se, come da lunario spunta anche la luna piena, si veste come la madonna della devozione popolare di cristalli dagli splendidi riverberi. Non è solo suggestione. Quando fischia il vento e urla la bufera, se c’è la neve e c’è la luna, lo spettacolo notturno si combina in una magia non solo per pastori e boscaioli della costa ma anche per chi, fortunato, avesse l’ardire di andarlo a scoprire. Incanto di biancoaurei riflessi su quello sgorgo d’acqua di fonte che non c’è più! Estasi per gli elfi, i nani e i tanti troll che discretamente lo abitano… Forse, anzi certo, questo più piccolo villaggio d’Italia, è abitato da sole due famiglie e da quattro abitanti: due più due e il censimento è subito fatto, senza spese! Questi quattro anziani sono, oltre che i custodi degli elfi, le sentinelle del borgo, gli interpellati saggi della comunità, i consegnatari della tradizione. E c’è anche un cognome di villaggio: Crolla, generazione forte e diramata, con l’unica eccezione di un Ventre. E in “Monte Crolla” si sarebbe anche voluto, cinque anni fa, trasformare il nome della località. Piccolissimo e quasi estinto mondo antico, eppure di matrice antropologico-culturale e di patrimonio immobiliare importante, a ben osservare la decina di case dai tetti rossi intorno alla piazzetta e alla fontana chiusa, anche ben restaurate dopo il terremoto del 1984. E, allora, chissà dove sono spariti, come i piccoli e ritrosi esseri dei boschi, e perché mai i suoi antichi pastori, zampognari a Natale,? E i boscaioli? Sono finiti, forse, nei nostri presepi?… No, per lo più sono finiti in Scozia, negli anni ’50 quando Fontitune contava, allora, 34 famiglie e 365 abitanti, come mi confessa Agostino Crolla, e la gente di Valleporcina saliva pure qui a fare spesa, al suo negozio di alimentari sull’erta principale in terra battuta che unica s’inerpicava fino ai 2242 m. del Monte Meta. Tutti in Scozia, cinquant’anni fa, a lavorare duro nelle farm, a fare i pastori dei lord, inizialmente. Poi, da imprenditori in proprio dell’unico mestiere che sapevano fare, occuparsi di suini e ovini, e poi di… “fish and chips” e “ice cream”, fino a cominciare a gestire i primi remunerativi banconi di cafè, snack bar, pizzerie e gelaterie sull’esempio del primo Crolla, Michele, partito da emigrante per Glasgow nel 1882 dove vendeva gelati con una carrioletta trainata a mano e la cui bella casa, ora, giace qui abbandonata. Anche un antenato di mia suocera, mi si dice, partito da Picinisco ancora prima aveva a Londra inizialmente il suo itinerante “Mancini ice cream”e poi, irrobustitosi, negozi a Portobello road. Nel mese che termina con il 20 d’agosto di ogni anno e che conclude i festeggiamenti piciniscani per la settecentenaria Madonna di Canneto cui si sentono atavicamente molto legati, chiudono gli esercizi commerciali, mandano il personale polacco in ferie e tornano a rianimare, come un formicaio, le smorte viuzze e le loro case nella loro pittoresca contrada per i restanti undici addormentata come una bella principessa. Portando la verde Scozia negli occhi e pensando già ai nuovi affari di settembre tornano a intasare il bar centrale sulla panoramica e suggestiva Piazzetta E. Capocci di Picinisco dove sorprendentemente viene fatta arrivare qualche testata giornalistica inglese! Non si può non accorgersene di loro, dalle coloratissime e fiammanti fuoriserie e dalle mercedes di alta cilindrata, contraddistinte dalla targa inglese rigorosamente personalizzata con il loro nome. Annualmente, in questi giorni, il loro modo di essere e di esistere si traduce nel più appariscente dei modi di apparire.

Hanno avuto successo, indubbiamente! E si vede dalle ville miliardarie che si costruiscono ovunque nella valle. Grande stupore e invidiata ammirazione riscuote, poi, tra i residenti e gli occasionali turisti il grandioso corteo matrimoniale di oggi, arricchito di paggi e damigelle in costume pastello lilla, celestino e verde, che sta uscendo dalla parrocchiale di S.Lorenzo martire dove una coppia di più o meno lontani discendenti è venuta ancora una volta al “paese delle origini” per incrociare, in una trama tra loro, i destini e i progetti di vita che saranno, per annodare tra loro le assi ereditarie con un maestoso rito matrimoniale, quasi patto tribale di consorzio. Il villaggio di Fontitune, (per me nell’ipotesi di senso e significato più attendibile di “Fonte dei tuoni” per i temporali estivi che si abbattono da lì con improvvisa imponenza alla fine dei festeggiamenti della Madonna, quasi a rompere la stagione in corso) secondo la mia guida “scozzese” Agostino Crolla ha poco più di due secoli di storia, anche se ruderi di povere magioni più antiche e decentrate si rintracciano a diaspora più vastamente tutt’intorno. Di fonti d’acqua ce n’erano ben due: una a monte chiamata, appunto, Fonte Luna per l’abbeveramento delle bestie e una a valle, Fonte Pisciarello con un’acqua più leggiera e copiosa dove alla mattina, prima del Consorzio degli Aurunci, si poteva vedere la fila dei muli che faceva teoria in attesa di poter riempire orci e barili. Ruderi sparsi qua e là, mi vien detto ora da Michele Andreucci di Valleporcina (*), già rifugio di malandrini associati in piccole bande ai tempi del famoso bandito Domenico Fuoco. E non sono ancora del tutto spente le tante dicerie passate su questi briganti da “O la borsa o la vita!”! Quante sibilate storie, tramandate per generazioni, di tesori nascosti e scovati al piede di poderosi alberi dal vicino improvvisamente fattosi ricco! Accadde, così, alle Tre Faggete dietro al Santuario del Canneto, proprio sotto Monte Paradiso. Questo era il luogo più ambito per radunare greggi e armenti … Accadde e fu un grande colpo! Ma nessuna guardia del re borbonico, e poi di quello sabaudo che continuò ad indagare dopo aver raccolto la voce, è mai riuscita a scoprire la verità su chi abbia realmente estratto da sotto l’albero più maestoso il magnifico tesoro nascosto.

Fu un giorno eccezionale quello in cui la zampa di un cane da tartufi o il dilavare della pioggia o, forse, più probabilmente una… soffiata, non di vento, portò alla grande scoperta. Nei lunghi inverni de Le Fontitune, quando c’era più tempo per confidarsi nei raduni caldi delle affumicate cucine dal cui soffitto sgocciolava il grasso dei salami, si continuava a favoleggiare sul misterioso tesoro. Era custodito in un grande recipiente di rame a forma di campana, proprio come quello che usavano i pastori per fare il formaggio, con una certa invidia ancora me lo giurano. Ma altri parlano di una grossa… grolla di legno, o “crolla” in dialetto, ricolma di oro fino e che fu all’origine, prima, di un soprannome dato e poi, di un cognome divenuto. Ma è solo pura fantasia,… credo! Certo un’oracolare anziana seduta sui gradini di casa avrebbe già sulla punta della lingua la sua verità, vorrebbe quasi svelarla…ma è trattenuta, poi, dall’occhiata custode di uno dei tanti familiari. A distanza di tempo, ancora oggi, molti perfino nei pub della ventosa Scozia continuano a domandarsi nelle mani di quale loro capostipite possa essere mai finito questo misterioso tesoro e se ce ne possa essere ancora una qualche porzione in giro. Altri si chiedono, invece, se sia, davvero, servito ad innalzare almeno di un po’ la sorte del casuale trovatore e dei suoi arricchiti tanti eredi. Ma altri continuano a pensare che nei dintorni di Picinisco sia ancora nascosta e da scoprire una parte della fortuna, giacché i bottini venivano sempre condivisi, e che basterebbe solo non smettere mai di cercarla.

Sergio Andreatta, scrittore, © Latina, Estate 2005

(*) NOTA: Nell’ambiguità di ogni etimologia, con altra fantasia, si può pensare che l’origine del nome Valleporcina possa essere legato o alla valle dove, dopo le piogge estive, si possono fare abbondantissime raccolte di funghi porcini o ad un’antica riserva ducale di caccia al cinghiale, anche porco selvatico. E pare che tra i più illustri ospiti e compagni di battuta del duca di Alvito vi fosse anche, quando gli affari di stato e il viaggio distante dalla capitale glielo permettevano, lo stesso re di Napoli. O chissà che… Comunque sia la realtà di questi nomi conserva tutto intero il fascino discreto della fantasia popolare che li ha originati.  © di: Sergio Andreatta

Lascia un Commento

Devi essere loggato per lasciare un Commento.

Categorie