27th Mag, 2009

Quando eravamo noi ad emigrare. C’era una volta l’emigrazione degli Italiani in America

                   

C’era una volta l’emigrazione degli Italiani in America.

di Sergio Andreatta                                        wpit88x31

L’integrazione degli stranieri è tanto più difficile quanto più debole è l’identità culturale della nazione che li ospita. E l’identità della nazione italiana non è solo debole, ma rischia di indebolirsi ancora di più se la scuola non svolge il suo compito, che nei confronti degli alunni stranieri è quello di “farli partecipi della nostra lingua, della nostra storia, della nostra cultura: principalmente nella scuola, che di tutto ciò deve, o meglio dovrebbe essere, simbolo operante”.

ny-ellis-island.jpgQuesta è la tesi, neanche tanto rara, di Ernesto Galli della Loggia espressa in un editoriale della settimana scorsa su Il Corriere della Sera (“L’integrazione non si fa così” con riferimento alle “mitologie internazional-mondialiste” di una scuola romana, la “Carlo Pisacane” rea di voler cambiare la propria denominazione con quella del pedagogista giapponese Tsunesaburo Makiguchi). Un sintomo, ha sostenuto Galli, del progressivo cedimento culturale del nostro Paese “… a scapito del consolidamento dell’identità nazionale”. Tema interessante e non nuovo. Già Oriana Fallaci, per qualche verso, lo aveva esposto in un suo manifesto contro l’avanzante e “rischiosa” islamizzazione dell’Italia e dell’Europa.

Frontiere aperte, frontiere chiuse: pregi e difetti di una società italiana in movimento, aperta e multiculturale tra flussi e riflussi di pensiero e un concetto di accoglienza sostenibile che viene, però, oggi più di ieri in nome di una diversità (“l’altro è il mio inferno” aveva già scritto per altri versi J.P. Sârtre ne “L’ être et le neant”) giornalmente messo in discussione.

Non si vuole offrire qui una rassegna dei vari corni della problematica e complessa questione per come si viene ultimamente manifestando  in Italia, piuttosto una pagina di storia sugli emigranti d’Italia in USA a fine ottocento e ai primi del ‘900*.

1900, da Paderno a N.Y. – Cinque Andreatta in cerca di avventura. 

Al fascino e alla necessità dell’emigrazione in America partecipò anche mio nonno paterno, Ambrogio Andreatta, allora ventiquattrenne, che emigrando dal Veneto, esattamente dalla latouraine16.jpgpedemontana del Grappa, era transitato per Ellis Island dopo essere sbarcato a N.Y. il 5 novembre del 1900 dal transatlantico francese “La Touraine” (Manifest Line Number 0021) partendo da Le Havre (American Family Immigration History Center at Ellis Island / Passenger Record).  La Touraine era una grande nave con motori a carbone di 12.000 cavalli di potenza, capace di percorrere 900 Km. al giorno e di coprire la rotta Le Havre – New York in meno di 7 giorni. Era in grado di imbarcare fino a 1250 passeggeri e aveva a bordo 320 tra ufficiali, sottufficiali, marinai, cuochi e inservienti. Ma in quel viaggio (0021) approdato a N.Y. il 5 novembre del 1900 trasportava soltanto 521 passeggeri di varie nazionalità, escluso il personale di bordo. la-touraine-3-su-cui-viaggia-ambrogio-andreatta.jpgTra questi 521 c’erano 6 uomini di Paderno, tra cui mio nonno ventiquattrenne e un ragazzo sedicenne di Crespano (Zardo Antonio). Tra i 6 di Paderno d’Asolo, poi dal 1919 Paderno del Grappa, c’erano 5 Andreatta, tra loro parenti: Ambrogio Andreatta di 24 anni (mio nonno), Armelao Andreatta di 37, Giovanni Andreatta di 31, Luigi Andreatta di 32 e Silvio Andreatta di 23. Al gruppo si era aggiunto un amico compaesano, Serena Luigi di 35 anni. Nella stessa pagina del Rapporto si riscontrano altri 3 Andreatta, non familiari, tutti partenti da Segonzano (TN): Fortuna di 22 anni, Luigi di 11 e Zerta di 2 anni e 9 mesi sicuramente richiamati negli States dal loro capofamiglia. Dieci anni dopo, paderno-del-grappa-chiesa-s-giacomo.jpgperò, Ambrogio Andreatta aveva  già fatto rientro al suo paese d’origine (Paderno, TV) con una fortuna sufficiente a poter impalmare la sua giovane sposa (una figlia di Costante Filippin già impiegato nei lavori di restauro del campanile della Chiesa, Luigia nata nel 1889 a Montevideo dove il padre era emigrato e poi rimpatriato), metter su casa e dar i natali (1911) al suo primogenito Vittore Andreatta che andava a rinnovare nel nome del nonno la catena dinastica (Cent’anni dopo il pronipote Flavio Andreatta di Vittorio > Aurelio > Ambrogio, dopo aver studiato all’Università di San Diego, ne sta ricalcando le orme)… Scrivono i Proverbi (17, 6) che: “I figli dei figli sono la corona dei vecchi, e i padri sono la gloria dei figli”. Questo, uno dei più antichi pensieri sulla sociologia della famiglia che si rintracci, è stato valido per millenni fino a poco tempo fa prima di subire lo smantellamento in nome dell’autonomia personale e del diritto a farsi ognuno la propria strada. Ma il relativo benessere di Ambrogio (el missiér dei “Formìn“) si sarebbe dissolto soltanto dopo pochi anni perchè il suo paese e la sua casa sarebbero stati coinvolti nel più importante e distruttivo teatro bellico (“Montegrappa, tu sei la mia patria,… sovra a te il nostro sole risplende,… o montagna per noi tu sei sacra…”****) della I guerra mondiale (1915-’18 e in cui Ambrogio dal ’17, per la sua conoscenza della topografia e della lingua, sarebbe stato cooptato per fornire contributi all’intelligence delle forze americane entrate in guerra da alleate al nostro fianco). Poi, tardando la ricostruzione civile e stentando ancora molto la ripresa economica in quella regione, nel 1933 si sarebbe prospettata la necessità di una nuova emigrazione, questa volta verso l’Agro Pontino

https://www.andreatta.it

LA TOURAINE: List of 521 passengers (Port of departure, Le Havre):

Associated passenger ANDREATTA AMBROGIO (page 1 of 21 – n. 8).

Date of arrival N.Y: 1900-11-05

N.Y.Ellis Island: Passenger Record ANDREATTA AMBROGIO:

0021, Gender: M, Age: 24y, Married: S, Ethnicity: Italian, Place of Residence: Paderno.

 

Per farci un’idea più precisa sul movimento migratorio in generale, oltre la Relazione che segue (che sembra risentire di una certa superiorità razzistica degli anglosassoni verso gli intrusi italiani), potremmo passare attraverso la Ellis Island della letteratura esistente e magari leggere, se già non l’avessimo fatto prima, ”Vita” il romanzo di Melania Mazzucco che descrive la partenza dei suoi antenati da Tufo in comune di Minturno, nella nostra (dopo l’emigrazione interna del 1933 del nucleo familiare da Treviso alla nuova Littoria) Provincia di Latina. L’importante sarebbe rifletterci sopra ed imparare ad essere tutti, non soltanto tra le pareti della nostra controllata aula scolastica ma anche tra quelle domestiche più autonome, un tantino più saggi e tolleranti. E, magari, anche con una maggiore cultura e professione della solidarietà internazionale. In fondo apparteniamo tutti ad una stessa specie (è biologicamente dimostrato)  e condividiamo la vita nello stesso comune pianeta senza doverci sentire l’uno più padrone dell’altro.  Sergio Andreatta

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RELAZIONE SUGLI IMMIGRATI ITALIANI **

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura***. Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane.

Si costruiscono baracche nelle periferie. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano in due e cercano una stanza ad uso cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Parlano lingue incomprensibili, forse antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina, spesso davanti alle chiese donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano sia perché sono poco attraenti e selvatici sia perché è voce diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro. I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali.”

NOTE:

*  Sarà aperto il prossimo autunno ( 2009) a Roma, nel Complesso del Vittoriano, Il Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana per iniziativa dei Ministeri degli Esteri e dei Beni Culturali con l’obiettivo di raccontare la storia dell’emigrazione italiana degli ultimi 150 anni attraverso l’esposizione di materiali di diversa tipologia: dalla letteratura alla cinematografia, dalla musica alle testimonianze dirette, dalle foto ai giornali, ad una significativa raccolta di documenti e di oggetti.

**  Ispettorato dell’Immigrazione del Congresso degli Stati Uniti d’America, ottobre 1912.

***  Sembrerebbe un evidente riferimento razzistico ai “cafoni” meridionali, peraltro ancora oggi, con indubbio discrimine razziale, chiamati “terroni” dai “leghisti” altitaliani. Non c’è da meravigliarsi, perciò, del tono di questa Relazione del 1912. Valutiamola per quello che storicamente rappresenta, e anche per il suo notevole pregiudizio sociale.

****  “La Canzone del Grappa” del cap. Antonio Meneghetti, agosto del ’18.

 

 

 

 

 

Commenti

“trasporto sulla mia bacheca (di Facebook). grazie”

Grazie, Dante. E’ un onore.

Grazie, dott. Fagioli. Argentina miraggio italiano di fine Ottocento e non solo: mio nonno materno (Lorenzo De Coppi di Tarzo (TV), pioniere della Bonifica Integrale Pontina – 1933) figlio di Maria Dall’Acqua (una suora costretta a lasciare il convento dai napoleonici che li avevano chiusi), aveva un fratello (Antonio, credo) emigrato a fine ottocento in Argentina (? Rosario) dove, completati gli studi, avrebbe esercitato il notariato. Corrispondeva per lettera, ancora fino agli anni sessanta, con mia madre Maria Fanny De Coppi. Di quel ramo familiare non ho, purtroppo, più alcuna notizia.

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