Epilogo di una tappa
All’Eremo di S.Egidio
Il nostro pellegrinare ci ha portati di nuovo qui, dove la radura, ormai vuota, non ci accoglie più. Dove tutte le nostre ancestrali certezze sono frantumate, ridotte a un buco vuoto, quello che prima ospitava i nostri alberi del Bene e del Male, gli alberi appunto.
Vuoto profondo, cupo. Sul bordo del Precipizio ormai privi di Speranza, Affaticati, sorpresi e sconsolati:
E’ il tempo di ripartire?
E’ il caso di cercare ancora risposte ?
Le vogliamo veramente?
Una voce ci sussurra che l’ albero, l’albero appunto, è tornato da dove in realtà era venuto, nel suo giardino, il giardino dell’Eden. E’ ora di partire, dargli un ultimo saluto per vederlo ancora, per non sentirci soli.
Eccolo lì, al centro del giardino.
Timorosi ci togliamo le scarpe per non calpestare il nuovo luogo sacro e ci avviciniamo con le nostre certezze e le nostre domande, pronti a ricevere risposte.
Prostrati riceviamo una sola domanda : “Adamo dove sei?”
Scalzi siamo ancora qui…
Prefatio
… senza aver capito se sono gli alberi ad essere tornati o noi! (SPES, Daniele e Canzio)
Eremo di S.Egidio (Frosolone – IS):
11-12.07.2009, con padre Luciano Proietti
(Elogio della Vita solitaria, 2009).
Quando il metafisico e la sua ricerca si incontrano col fisico, in una stupenda cornice naturale come questa. Ma non è una novità. Nell’ospitalità e nella suggestione dell’antico eremo di pietra costruito nel ‘700 per ricordare un miracolo accaduto ad un contadino del luogo mentre arava il suo campo con i buoi, nella visone incantata dell’altipiano molisano verso il Colle dell’Orso increstato dalla candida Morgia Quadra caratterizzata dalle singolari forme delle sue rocce carboniche, ha avuto luogo “la due giorni” del cammino in alta quota (m.1050 s.l.m.) del Gruppo SPES (in foto) di Latina (S. Chiara, S. Pio X e S. Matteo) guidato da un pastore, don Daniele Della Penna, cui sono mancate soltanto… le scarpe giuste. Ma quando queste si fossero rivelate insufficienti si sarebbero aggiunti i sandali francescani dell’eremita e sul tratturo interiore il passaggio delle pecore poteva avvenire senza passi vacillanti. O meglio “quanti” possono testimoniarlo soltanto i “dati-in-penitenza” scomodi banchi della chiesa. Eppure anche il nostro parroco ha un suo grande carisma, quello di attirare a sè i poveri di spirito. Così, durante le ore del “deserto” ognuno scavava, entrava nelle pagine della sua esistenza, meditava favorito dall’idea che Dio abitasse proprio qui, magari nella grotta di Padre Luciano o nei lunghi e cavernosi “rattafunn”, mentre come un velo trasparente le voci bianche e i giochi festanti dei ragazzi avvolgevano impreziosendole le bianche pietre secolari senza arrecare mai disturbo al ritiro dei grandi. Un paesaggio di prati e rocce, di muretti a secco, di rare costruzioni a capanno con sottili lastre di pietra colorata per tetto. Un paesaggio metafisico dove tentare di ritrovarsi. All’opposto il rischio sarebbe quello di perdersi nel vicino “Inghiottitoio del Diavolo”. Nello sbando: “Mane nobiscum, Domine”, “mane” perchè nell’avanzamento: “Non di solo pane vive l’uomo“. Più che di beni di consumo (le mele di plastica del giardino retrostante la piccola badia), abbiamo bisogno di una progressiva ricerca interiore di noi stessi, di un progetto di senso spirituale ma anche, per me, intellettuale che non preveda l’abbandono ma la coltivazione dell’albero della conoscenza. Perchè se c’è bisogno del cuore e della sua preghiera, oggi c’è forse più bisogno di recuperare al discorso la mente e la sua religiosità. Perchè l’albero del paradiso perduto si è trasformato con Abramo in albero della salvezza simbolizzato, nel suo più alto acmè, dall’albero salvatore della croce. Radicato nella terra ma con i rami rivolti al cielo l’albero è come noi uomini, un’immagine dell’ “essenza delle nostre due dimensioni” (ma anche di altre meno vistose) che non potranno continuare a combattersi risolutivamente tra loro ma solo fondersi, alla fine, nel nuovo umanesimo integrale cristiano. L’umanesimo del cuore e della mente dove anche il sapere e la ragione possono far posto a Dio. Se non tentassimo una risposta, di fronte alla pretesa della scienza o al suo opposto alla minaccia di un risorgente fondamentalismo, non ci sarebbe salvezza. E non ci sarà se non nella tolleranza, nel sentirci come l’abbè Pierre “feriti” nei patemi degli altri. Nei giorni sempre uguali, come i giri delle pale eoliche della vicina Centrale dell’Enel, la vita declina fisicamente nel suo tempo, a volte cade e si rialza, alla fine se ne va. E come se ne va? Raramente nell’impegno di chi si eleva arrampicandosi verso la meta come fanno i rocciatori della domenica mattina sulla Morgia Quadra che incombe sopra questo eremo. (Sergio Andreatta)
(Per motivi assolutamente indipendenti dalla loro volontà, più che dal desiderio di anonimato, nella foto ufficiale mancano un illustre cavaliere e la sua dama splendente. Forse svaniti… nella “stanza” di Pascal come fantasmi medioevali, chissà…)