Adamo, dove sei?
Consumismo e droga sono le tentazioni più grandi e meno contrastate dell’uomo contemporaneo. Per una precoce educazione al pensiero divergente. Continua la riflessione filosofica sul fil rouge della tentazione del prof. Sergio Andreatta.
L’abbandono dei valori etici tradizionali caratterizza fortemente la nostra società contemporanea, perciò anche definita “secolarizzata”. In realtà l’affievolimento del senso religioso ed un senso di etero-teocrazia non bastano da soli a giustificare l’avvenuto indebolimento dei valori civili, la precarizzazione del senso delle regole nella comunità e l’infiacchimento dell’autogoverno etico personale. Continuando, in collegamento con i due precedenti articoli, a parlare di tentazioni oggi non è difficile individuarne alcune che, più di altre, contrassegnano le nostre condotte. Mi riferisco al consumismo, altrimenti definito dal secolo scorso “sciupio vistoso” da Thorstein Veblen, al diffuso uso e spaccio di droga (droghe nelle varie specie). Sono rare oggi le persone che dimostrano di saper resistere alla compulsione da compra di oggetti e strumenti classificati di “status symbol” per gli occhi dei vicini e degli amici, introdotti come vaglio e termine di paragone. L’acquisto, il possesso e successivamente il consumo e l’ostentazione di beni rendono visibile e invidiabile la nuova posizione sociale acquisita attraverso di essi. Come si fa a rinunciare ad un SUV, a un bel vestito firmato, a una vacanza in località di prestigio, a certi strumenti della tecnologia come l’ultimo telefonino GPS, l’ultimo noteboock… se non si è diretti da altre categorie di pensiero e di valore? Non pare di vivere, se non si taglia quel traguardo pur effimero, ci sentiamo “infelici“, poco più di una nullità. L’essenzialità dei modi di essere, di apparire e di esistere è andata ormai perduta, reminiscenza di un paradiso svanito, roba da eremiti. Lo sciupio vistoso tenta, così, e tormenta con le sue corruzioni cui non si sanno contrapporre resistenze culturali e spirituali giuste, forse per quel desiderio inconscio che ci portiamo dentro di noi, chissà, di recidere con qualche atavica precarietà. Evidente appare, soprattutto a quella minoranza che tenta di sottrarsi a questo meccanismo trascinante e corruttivo della personalità, la necessità di un’educazione di qualità da parte della famiglia e consensualmente delle istituzioni ad essa preposte, di un’educazione basata sulla costruzione del pensiero critico e divergente che faccia riconoscere la “cattiva tentazione” suggerita dagli “amici” e dissentire dalla loro influenza / condizionamento, cioè di una forte autoeducazione come bussola dei comportamenti individuali. In realtà ci nutriamo tutti più del dovuto, consumiamo più del necessario, ci circondiamo del superfluo e dell’effimero, spesso del kitsch più che del bello, per quella spinta irrefrenabile (compulsiva) che non sappiamo più contrastare e/o sublimare in nome di altri significativi ideali, di altri valori morali. Più che l’anima civile e “politica“, necessaria alla crescita del Paese, siamo impegnati ad alimentare i nostri più bassi istinti individuali di possesso / dimostrazione. Così perduto ogni freno inibitorio alla fame e al consumo, abbiamo perso per transfert anche il senso del limite e, di conseguenza, il passo successivo ci fa ritenere desiderabile di poter accedere a tutto, lecito di poter infrangere ogni regola. Certamente non esistono più “timori di dio”, tabù e inibizioni che trattengano. La curiosità ci ha fatto aprire il vaso di Pandora. Danaro e successo li abbiamo messi sull’altare, via via elevandoli a “idola tribus” (Francis Bacon), a nuove divinità da adorare. I nuovi culti si fondano (certe trasmissioni televisive li fondano, li perpetuano e li propagano pericolosamente di continuo) sull’esaltazione del successo e del denaro ad ogni costo, mentre non soltanto la povertà, ma anche tutto ciò che importa sacrificio e meritato progresso step by step (cioè lentamente graduale e non istantaneo) della propria condizione, viene concepito come potenza negativa se non una minaccia distruttrice del proprio io. Ed eccoci correre come dantesche “pecore matte” dietro al motto:”Tutto e subito!“, senza mediazioni. Eccoci ad esaltare gli studenti pontini per le poche bocciature conseguite agli ultimi esami di maturità, senza sapere che questo non è un popolo di eccellenti (seppure conosca delle belle eccezioni) ma soltanto di beneficiari di condotte e valutazioni lassiste dei loro inadeguati professori. Eccoci, più generalmente, ridiventati infedeli a Dio e a noi stessi come il popolo d’Israele, sedotto nel deserto dall’immagine di un vitello d’oro, adorato come Jahvé fra danze sfrenate proprio mentre Mosè si trovava sul monte per ricevere le Tavole della legge (Esodo: 32). Se evoco questa immagine biblica non è per una predica (lungi da me!) ma perchè essa si propone potente e molto attuale anche per un laico come chi scrive. Chi parla di regole e di educazione alla legalità oggi è poco compreso, fatto sentire separato, come un corpo estraneo, dal movimento generale, spossessato dei poteri educativi e ordinativi di imporsi che avevano i dettati di un Mosè. La penetrante tentazione del successo e del denaro, preparata da una campagna decennale di persuasione e suggestione più o meno occulta delle TV commerciali, ci ha ormai avvinghiato con le sue spire, ci sta stritolando prima di avvelenarci il sangue. Il serpente dell’Eden sembrerebbe ineluttabilmente destinato a vincere ancora una volta. E alla grande! Il maligno può attestare, intanto, la sua asfissiante vittoria attraverso la moda diffusa dell’uso e nella pratica dello spaccio delle droghe.
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Non voglio tentare qui un’analisi frettolosa sul perché certe persone, giovani o non più tali, ricorrano alla droga, ma non sarebbe difficile da farsi dal punto di vista socio-psicologico. La deriva dei continenti è una teoria geologica di Alfred Lothar Wegener (1920) secondo la quale i continenti si sposterebbero muovendosi e allontanandosi l’uno rispetto all’altro. Ad un’analoga ipotesi (nella sua formulazione organica del fenomeno e in una spiegazione coerente sulle cause del disvalore) riferibile all’allontanamento da certi depositi culturali e di valore della tradizione sociale italiana e al subentro di altri, potrebbe riferirsi un attualissimo studio di sociologia. Le cause del patito disagio sono molteplici ma ci leggo e ci vedo dietro sempre uno spasmodico desiderio di poter disporre di tanto danaro e di scalata veloce al successo (male inteso come unica affermazione personale) raggiungibile ad ogni costo e senza troppi rischi soltanto in questo modo compromettente, distorto e illecito. Ferisce il cuore delle persone oneste sapere di tanti, conosciuti e per altri versi anche apprezzati, che cadono nelle reti tese senza scrupoli delle organizzazioni di spacciatori, per poi diventarlo a loro volta. E l’educazione data, da chiunque fornita (genitori, scuole e chiese) ha le sue colpe per non aver saputo costituire nell’interiorità dell’educando (figlio o allievo) le giuste difese immunitarie mentali contro i condizionamenti e le deleterie omologazioni. Nel nostro hinterland pontino, più volte designato da alcune ricerche di Università come campione attendibile a livello nazionale, la droga circola in grandi quantità. Tante persone anche non più giovani la assumono, la spacciano. “Non sono dei santi!” per usare un frasario caro al presidente Berlusconi. No, non lo sono e non importa che lo siano ma ciò non giustifica il costume diffuso, l’ideologia culturale che lo supporta, il precoce voler male a se stessi (autolesionismo) talvolta tollerato da genitori sbagliati. Le periodiche analisi chimiche delle acque luride, da sole, testimonierebbero i preoccupanti tassi di assunzione di cocaina. Ma ci sono anche altri indicatori professionali che il sociologo e il poliziotto conoscono. La cocaina ha invaso le strade del capoluogo, ma anche dei borghi, e dispiace pensare che tanti giovani, fino all’altro ieri coraggiosi e resistenti, che potevano sognare e sperare in un futuro utile per se stessi e per la società latinense domani potranno essere liberati da questa schiavitù che li incatena soltanto venendo ristretti nelle patrie galere giacchè un ravvedimento spontaneo o una riabiltazione in comunità, se nessuno li impone con perentorietà, sembra proprio che nessuno li inizi. Patrie galere sicuramente da assicurare a chi sullo spaccio in rete delle droghe ha fondato il suo business piuttosto che a chi, ormai rovinato, ne faccia uso quotidiano per colmare il suo disagio clinico o per raggiungere il traguardo di un precario e immaginario benessere… A quest’ultimo, comunque, non dovrebbe essere risparmiata la coercizione dello Stato per una una terapia disintossicante e liberatoria. Sergio Andreatta