Religiosità, un fotobook di Luigi Giannetti.
Quando il più profondo legame comunitario, il sentimento religioso di un paese, Picinisco, diventa un’opera d’arte.
L’importanza di una foto è tutta nell’immagine, nella cura dei dettagli, nella tensione della ricerca, nella grande passione spesa dall’autore. “Lo sa lei come la chiamano adesso le dignità professionale: immagine. E che cosa crede che sia l’immagine? [ … ] E’ un prodotto [ … ] e questo prodotto è più importante di chi lo produce”. Paradossalmente il significato di questa frase di Alberto Moravia, tratta da La donna leopardo, rispecchia il valore e l’importanza che si dà oggi all’immagine-apparenza, nel caso di una bella donna, importanza che per altri versi si può attribuire ad una foto che vale per quello che ha prodotto e saputo esprimere, o meglio sa promuovere, attraverso i filtri della senso-percezione, nel giudizio estetico e nell’interiorità di chi la osserva e la legge. Per un fotografo professionista, ma anche per uno “dilettante” appassionato, l’immagine costituisce veramente una sorta di “dignità professionale”. Una foto, a ben vederla, non si gode infatti soltanto epidermicamente o una volta per sempre per poi concludere, quasi a chiudere in fretta un sipario, con un “Oh, che bella!”. Una foto è specchio di un soggetto, di un oggetto, di un’azione… e quel che specchia va letto avendo sempre presente l’intento voluto della narrazione. Ecco perchè una fotografia non è mai da considerarsi un prodotto finito finché continua a dialogare con qualcuno come, per restare in tema, la statua di gesso che interagisce con la devota nella Chiesa di S. Lorenzo di Picinisco. Non lo è mai, prodotto finito, particolarmente un fotogramma digitale dal quale si possono ricavare molteplici alternative e variazioni. La fotografia, se non è casuale, è ideazione di un percorso che diventa progetto registico se prevede una sequenza di scatti, lungo le fil rouge tematico dell’autore, così in ogni libro di fotografia ed anche in questo. Un libro sulla religiosità poi è un libro sulla più intima essenza di una comunità e delle persone che la compongono, un tentativo – forse riuscito o forse no – di una rappresentazione metafisica attraverso la raccolta e la selezione di segni e di significanti che si ritiene meritevoli di esser colti e fissati estrapolandoli dalla caduta del tempo con uno scatto fotografico. Un tentativo effimero, forse, di “eternazione”. In “Religiosità‘ noi non troviamo tutti i segni e i significanti reperibili sul luogo in materia religiosa ma solo quelli che, facendo uno scarto, hanno semanticamente interessato l’autore. Impressioni ed espressioni scelte arbitrariamente, quindi, da Giannetti. E in questo contesto anche una fotografia che può sembrare brutta da sola può diventare, all’interno di una sequenza, una fotografia significativa, l’ineliminabile anello di una catena. Probabilmente la religiosità di Picinisco è anche altro da questo campionario esibito, se non altre liturgie nella loro ripetizione, altri momenti, altre persone, altri stati d’animo. La religiosità di Picinisco non è neanche unica, in quanto fenotipica di altri paesi dei dintorni, diversamente contaminata una volta l’anno, il 20 di agosto, da quella dei molti pellegrini diretti in torme al Santuario della Madonna del Canneto, ma è comunque una rappresentazione della memoria collettiva da salvare. Quanto è stato rappresentato in “Religiosità”, ma non tutto è sempre completamente rappresentabile, coglie bene il senso del legame religioso superstite nella comunità valligiana. Dico superstite perché una generazione fa Giannetti avrebbe sicuramente archiviato altro, e altro ancora potrebbe nella prossima per quell’erosione e rarefazione continua del sentimento religioso, per quel rimodellamento che risente meno delle nuove utopie pubblicitarie e più della crisi dei valori in atto. Questa diacronia fotografica, quasi un’evolutiva stratigrafia dell’essere religioso piciniscano, sarebbe di grande interesse antropologico culturale. Un vescovo amico mi chiese una volta che cosa io ritenessi utile a rivitalizzare l’adesione religiosa nella sua diocesi. E io gli risposi lapidariamente, forse troppo in fretta e senza approfondire per metterlo in riflessione:” Meno miti e riti e più partecipazione alle vicende della gente”, toccando però così senza volerlo l’essenza stessa di una religione:
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i miti e i riti. E quella che poteva sembrare una bella risposta in realtà non lo era affatto perché non si può immaginare una partecipazione al sentimento religioso (religio = legame comunitario) senza una condivisione, a un qualche livello, di una mitologia delle origini (genesi) e la perpetuante pratica di un rito liturgico. Riti di continuazione spesso di altri pagani già preesistenti. Con la rievocazione fin alle sue origini (mito) di un percorso di salvezza e sulla ripetitiva perpetuazione, regolare e cadenzata, di una liturgia della promessa si mantiene e si rianima ogni culto. Il mito e il rito attraggono, sono come il vento (spirito) che alimenta il fuoco. Se si capisce questo si capisce anche perché una chiesa (particolarmente quella cattolica italiana rispetto a quella sudamericana della cosidetta “teologia della liberazione” ad esempio) non possa che essere nella sua autoreferenzialità, malgrado ogni dissimulazione in proposito, più conservatrice (“alla destra” per schemi di pensiero) che progressista (“alla sinistra”). Questo è nello stesso suo DNA costitutivo giacché ogni cambiamento (es. sulle questioni bioetiche) è visto con sospetto stravolgente, se non demonizzato. Quella di Giannetti, dunque, si presenta come il diario di un viaggio nella religiosità del suo paese. Sarebbe facile aggiungere diario interiore, metafisico, in realtà questo suo diario fotografico, di 70 scatti rigorosamente in bianco e nero (alcuni software consentono oggi una conversione controllata e il viraggio da colori al bianco e nero) e quindi dotati di maggiore presa come già nel precedente libro (Pastorizia), mi appare più fisico ed estetico fin nelle colte espressioni delle facce dei co-protagonisti. E dico coprotagonisti (personaggi in cerca di un autore, il Giannetti appunto) che si muovono intorno ad un soggetto, ad una trama, secondo una coralità quasi teatrale (conditio sine qua non in questo caso) che era assente nella precedente opera, “Pastorizia”, più inebriata dalla bellezza del paesaggio e più emblematica della condizione di lavoro un tempo più diffusa tra queste montagne. Pastorizia e Religiosità sono in fondo i due caratteri che meglio contraddistinguono sicuramente questa piccola, ma non chiusa, comunità della Val di Comino. Dalla commistione di queste due condizioni non è nata, ab ovo, come altrove ho scritto, la stessa pastorale cristiana? Oggi non è difficile “mettere in luce”, specie con la fotografia, qualche aspetto del modo di essere, di apparire e di esistere di una persona o di una comunità. Realizzare progetti fotografici innovativi oggi è alla portata, se non proprio di tutti, di una moltitudine di fotografi di varia bravura e competenza, anche promossi dalle nuove tecnologie avanzate messe a disposizione dal progresso ma la chiave del successo progettuale di Giannetti, della sua straordinarietà, sta nella conoscenza delle persone e nell’osservanza (non soltanto osservazione) dei loro sentimenti. Nella non invadenza dello scatto, nel delicato rispetto oggi così conclamato, coscientizzato perfino in un sensibile diritto, della privacy di ognuno. “Donne che osservano enormi crocefissi con naturalezza estrema – annota Gabriele La Porta direttore di RAI NOTTE – come se si trattasse di passanti. Bambini che esaminano le statue della processione come enormi e intoccabili giocattoli magici. Anziani che ripetono gesti e posture per l’ennesima volta, e lo fanno con attenzione, con affetto profondo. Donne velate, donne che preparano la processione, donne che discorrono beate sulle panche della chiesa, chierichetti con occhi fondi e arie incredibilmente sveglie…”. E’ questo il prevedibile campionario dei personaggi e degli interpreti del copione. Diego Mòrmorio, critico e storico della fotografia dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli, che nella presentazione avvenuta nella Chiesa di San Rocco di Picinisco sabato 1 agosto 2009 davanti ad un folto pubblico ha parlato a lungo della fisica della luce come mezzo di scrittura fotografica, nella presentazione tenta anche, peraltro in modo insufficiente ed inesaustivo, un’interpretazione antropologica del fenomeno religioso, ricordando la potenza del legame (inclusione) e il rischio dell’esclusione (scomunica o s-comunità io direi). Ancora una volta cita il noto episodio della morte di Socrate “colpevole di non riconoscere gli dei che la città riconosce e di introdurre altre nuove divinità”. Benedetto Croce, nativo di Pescasseroli e con forti legami parentali da queste parti (Alvito), com’è noto insisteva sul concetto del “perché non possiamo non dirci cristiani”. Parola di un liberale laico. “… anche quando a livello della coscienza ci sentiamo lontani dai culti religiosi del luogo in cui siamo cresciuti, a livello inconscio ne veniamo attratti più o meno nella stessa forma in cui si manifesta l’attrazione di Luigi Giannetti, che giustamente parla di “una Picinisco interiore”: di “un luogo dell’anima, luminoso ed oscuro, odiato e amato al tempo stesso”. Io, senza valicare il delicato limite, mi fermerei soltanto alla Picinisco religiosa dove la differenza tra “religioso” ed “interiore” potrebbe essere, secondo me (Sergio Andreatta), sostanzialmente tutta nella metafora di una mela dove l’interiorità è rappresentata dalla polpa infotografabile (se non ricorrendo ad uno spaccato) e la religiosità dalla buccia. La Picinisco del folklore popolare più che quella della vera religiosità non misurabile che con un termometro invisibile. Questo dà anche il limite della fotografia, più che della fede in sè rispetto alla sua manifestazione. Nicola Giuseppe Smerilli, docente di scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Roma, è di poche parole tanto da sembrare reticente, confessa di essere rimasto sorpreso dall’accoglienza della comunità piciniscana in attesa sotto l’ombra del grande albero, l’enorme platano amico e guardiano della piazza migliaia di volte, vestito nella sua curata divisa verde o spogliato, fotografato da Giannetti, da me e da tutti coloro che salgono a Picinisco accompagnati da una fotocamera qualsiasi, fosse pure solo quella del cellulare. Ma la reticente essenzialità di Smerilli ha un significato preciso che troviamo estenuato nella sua presentazione (Pensare la fotografia): “E’ facile parlare e scrivere di buona composizione, – scrive il prof. Smerilli – di equilibrio formale, di grana, di toni, di regole… che se pure importanti sono la grammatica, la base indispensabile su cui ogni fotografo costruisce un proprio percorso di ricerca. Difficile è invece parlare e scrivere del senso più profondo della fotografia, di quello che quanti operano in questo campo intendono trasmettere con il loro lavoro… Raccontare la fotografia per chi come me la fotografia la fa credo sia un atto di grande arbitrarietà… La fotografia… non ha bisogno di conferme, è lì che aspetta solo di essere guardata, per recuperare il senso di ciò che l’autore ha deciso di cogliere nell’istante dello scatto, lasciando che ciò che ha dentro si materializzi in quella specifica immagine”. Gli onori di casa sono stati fatti doverosamente dal sindaco di Picinisco, ing. Giancarlo Ferrera, da sempre un grande appassionato dei valori di questo territorio e delle sue notevoli risorse naturalistiche (P.N.A.L.M.). Un sindaco perfino “campanilista” in senso buono – così si dichiara – che non trascura occasione per dare smalto a queste bellezze e a queste tradizioni secolari, peraltro, non bastevoli da sole a frenare l’emorragia migratoria verso la Scozia e il Canada. Ma il sindaco non è l’unico grande estimatore delle opere fotografiche di Luigi Giannetti testimone privilegiato e custode di tutto ciò che di saliente accade nella ormai depauperata comunità piciniscana. © – Sergio Andreatta
Luigi Giannetti (Photos e Progetto grafico), Religiosità, Picinisco, 2009, Editing: Grafiche del Liri (Isola Liri – FR).
Con il patrocinio della Regione Lazio (Assessorato Sviluppo Economico, Ricerca, innovazione e Turismo), del Comune di Picinisco, della Pro Loco di Picinisco. Con il sostegno economico di Ilaria Scala.
All’inizio saluto aperitivo di Lorenzo Pelosi.
Video a cura di Marco Schirinzi, nel sottofondo musicale un contributo compositivo (Amore e Psiche) di Giacomo Ferrera.
In conclusione Concerto d’archi con musiche barocche e moderne di un noto quartetto pugliese.
Tra le numerose Autorità presenti quelle religiose: mons. Dionigi Antonelli, pubblicista, apprezzato storico locale e già rettore del Canneto; don Antonio Molle attuale rettore del Santuario della Madonna del Canneto e abate della Collegiata di S.Lorenzo in Picinisco; il benedettino archivista dell’Abbazia di Montecassino; il monaco bibliotecario dell’Abbazia di Casamari.
Con un riconoscente omaggio l’Autore dedica l’opera al prof. Erino Rendina.