Al Laghetto de La Selva nei pressi di Cardito
Un seducente angolo di natura ancora poco conosciuto.
di Sergio Andreatta
La strada regionale della Vandra, tanto bella per il paesaggio verso cui ci introduce quanto insidiosa e malagevole per la sua strettezza e per le curve e controcurve che propone ogni 50 metri, all’improvviso tra le cime degli alberi al km. 40,5 ci offre un piccolo invaso d’acqua: è il lago artificiale de La Selva. Siamo ormai a circa 900 metri di quota, al confine con il Parco Nazionale d’Abruzzo (o meglio P.N.A.L.M.), in territorio di Vallerotonda nei pressi di Cardito e del bivio per il Sacrario dei Martiri di Collelungo (m. 1471) su cui ho ampiamente scritto in un precedente articolo.
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Scendiamo nella magnifica conca circondata da verdissimi boschi per dirigerci verso un ristorante posto in bella ed elevata posizione su una costa panoramica al confine dell’area protetta del Parco Nazionale. Il laghetto che si allunga intorno a ferro di cavallo sembra lavargli i piedi. Siamo sui contrafforti occidentali delle Mainarde ove si raccolgono parte delle acque provenienti dal trittico dei monti Forcellone, Cavallo e Mare, cime di poco oltre i 2000 metri. Siamo anche ai piedi della Costa S. Pietro dai fianchi sassosi ma orlata in alto da un bordo di cedui.
Il lago, dagli abitanti della zona conosciuto con il nome di “lago di Cardito” per il piccolo paese che ne circonda in parte la riva, sulle carte è ormai stabilmente indicato con il nome “La Selva”. Questo bacino artificiale è stato progettato e costruito verso gli anni ’60 per scopi idroelettrici e di regimentazione delle acque con lo sbarramento del Rio Schiavonara.
In realtà sono diversi i piccoli immissari, se ne contano più di 10, che contribuiscono alla sua costituzione. Sembra che questo rio derivi il suo nome dagli schiavi, cioè da quei Saraceni qui deportati (S.Biagio Saracinisco) dopo la loro espulsione dalla colonia musulmana di Minturno in seguito alla sconfitta contro la Lega Cristiana. La battaglia navale decisiva si combattè alla foce del fiume Garigliano nel 915 e grazie ad essa fu definitivamente arrestata l’espansione islamica nel Lazio e in Campania. Non è raro rilevare ancora oggi come molti abitanti (“marrocco”) del luogo conservino, dopo 11 secoli di storia e una cinquantina di generazioni intercorse, il loro profilo genetico reso manifesto dalla persistenza degli originari tratti somatici nordafricani.
La prima volta giunti in questo ristorantino eravamo stati colti all’improvviso da un furibondo temporale estivo, da un cielo e da un lago che si erano corrucciati e che ci avevano costretto all’abbandono frettoloso della terrazza, soltanto pochi minuti prima nello splendore del sole. Per il pranzo non vogliamo questa volta sorprese e ci accomodiamo direttamente nella sala interna dove ci attendono i piatti della più tipica cucina locale. Dalla sottostante riva sale l’animazione di chi pratica una qualche attività sportiva. Quest’estate il lago ha mantenuto un buon livello d’acqua, di poco inferiore a quello primaverile del periodo dello scioglimento delle nevi, grazie alle numerose piogge della stagione.
Sulla cornice verde, parallelo alla riva, scorre un comodo stradello cementato che cintura il lago e così, per metabolizzare meglio, ci incamminiamo per quello in compagnia di altri commensali. S’incontra prima sulla sinistra uno spettacolare boschetto di alti pioppi, poi un bel ponte in legno, si arriva alla diga e si prosegue per un sentiero sovrastato da verdi prati su cui sono piantate delle tende e sono pigramente distesi alcuni francesi intenti a prendere il sole, o meglio franco-ciociari emigrati all’estero negli anni cinquanta e che ogni anno tornano fedelmente alle loro radici per le ferie estive. Per loro è come tornar a nuotare nel liquido amniotico. Ora i vacanzieri ci devono aver scambiato, evidentemente, per qualcuno che conoscono e scendono ad incontrarci. E capiamo subito che nella loro ricerca di fortuna per le vie del mondo sono stati baciati dalla dea bendata meno generosamente di tanti piciniscani che sono, contemporaneamente o ancor prima come i nostri parenti a Londra fin dal 1880, emigrati in Inghilterra e in Scozia dove hanno potuto accumulare grandi e ostentate fortune ma è molto bello lo stesso fermarsi ad ascoltarli con rispetto e sentirli raccontare di sé e delle loro alterne vicende. Bello. © – Sergio Andreatta – Riproduzione riservata