18.12.1932/2007
Lettera alla Città in occasione del Suo 75° anniversario
i Tuoi primi settantacinque anni sono in fondo poca cosa per la storia, anche se non per la cronaca.
Io Sergio Andreatta, nato qui fra le Tue braccia, mi son sentito subito parte di questa terra da poco riscattata dalle Paludi. Allora Tu, giovane Madre, avevi appena quindici anni, di cui tredici passati col nome battesimale di Littoria.
Cinque autunni fa qualcuno, lo scrittore Fosco Maraini, aveva osato definirTi “brutta e sfasciabile” con un aggettivo, quest’ultimo, che giocava con una provocazione nominalistica, a contrapporsi alla Tua, comunque rispettabile, origine di pòlis.
“De gustibus non est disputandum“: è inutile discutere… all’infinito sulle libere opinioni e su categorie estetiche e parametri culturali soggettivi e sulla bellezza come idea, “percepita con i propri sensi”, cioè come esperienza dell’interpretazione personale.
Inutile sulla bellezza come risposta ad un interrogativo a chi, guardandola, se ne fa ricettore…
Il sindaco Vincenzo Zaccheo nell’occasione si era sentito molto offeso, perché toccato direttamente nelle corde della sua sensibilità di primo cittadino e nelle responsabilità di amministratore, fino a dichiararsi con la sua tipica veemenza leso, anche a nome della intera comunità pontina. Ma c’è un noto proverbio popolare che dice: “Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace“. Potrei sostenere che Roma è brutta e non per questo mi sentirei di dover render conto, e meno che mai in sede penale, al sindaco Walter Veltroni o a Massimo Cacciari per Venezia. Sull’abbrutimento urbanistico generale che avanza di più ogni giorno ognuno la pensi come vuole, anche se a pensar male a volte si indovina. E, tuttavia, il nucleo storico di fondazione della città di Littoria-Latina, quello contrassegnato dall’uso diffuso dei bianchi travertini, qualche merito lo deve pur avere.
E come pensare, altrimenti, che l’architettura di Littoria, anche senza la più recente etichetta di “metafisica costruita” sia soltanto un puro gioco, privo di significati conoscitivi ed estetici, visto che i suoi aspetti e le sue forme “razionali” non si sono dati e non si danno a noi fuori delle forme di uno spazio e di un tempo storico, nella diacronia di una nascita e di un’infanzia littoria ma anche nella evolutiva discontinuità della sua diversa adolescenza.
Così anche per me, figlio di veneti pionieri della bonifica integrale e con mio padre primo consigliere comunale espresso dai Borghi di Latina, il cuore architettonico di Oriolo Frezzotti, la sua pianta radiale, l’esprit de geometrie più che de finesse, seppur non benissimo conservato, è l’unico a dirmi ancora qualcosa rispetto ai successivi agglomerati, sincretismi, espansioni ed espressioni disarmoniche a volte senza senso se non quello ricercato, nell’urgenza dell’incremento demografico continuo, di assicurare un tetto qualunque alla gente neo-inurbata.
Si poteva fare di più, certamente, si poteva fare meglio nella conservazione dei “monumenti” senza la iconoclastica “damnatio memoriae” di certi miopi politici democristiani del dopoguerra, senza la dissacrante pratica di certi architetti, quando non anarchici, asserviti come schiavi ai committenti.
La questione della profanazione del territorio da parte di malaugurati geometri e architetti è straordinariamente balzata in primo piano nel Paese proprio in questi giorni tanto da essere gli stessi indicati nel dibattito, non so se a torto o a ragione, come i veri guastatori dell’ambiente naturale, del paesaggio e, quindi, di quel patrimonio artistico che non hanno saputo tutelare. Naturalmente in solido con i politici di mezza tacca. Ma questa moderna e preponderante rottura urbanistica, successiva al progetto radiale della fondazione pontina e della prima età, non potrebbe essere interpretata dalla sociologia contemporanea anche come il senso della caduta dei tempi, di un’esistenza che si dissolve nella complessità, nei contrasti, negli squilibri di una quotidianità senza prospettive?
E oltre l’estetica “a priori” dell’apparenza, di un’armonica simmetria che si vuole far leggere nelle linee dei primi muri cittadini e nella retorica delle sue intenzioni, non ci sarebbe da vedere, forse se c’è, la bellezza viva dell’essenza non murale e non cementiera dei suoi cittadini? Non c’è da considerare la loro anima? I servizi, gli impegni civili, le condizioni di vivibilità… il sangue della solidarietà che scorre dentro le loro vene?
E se non c’è ancora la bellezza di certe grandi eredità intellettuali, imprenditoriali, spirituali … c’è la bellezza di un più grande futuro che già avanza. Anche se ci metterà ancora molto tempo ad affermarsi, magari a dispetto delle stesse temporanee incrostazioni politiche oggi esistenti.
Sì, io sento aleggiare per le vie e sulle piazze questo desiderio di città “scritta” e “da scrivere”, storie di persone che si sono impegnate e che si impegnano senza retorica nell’autorealizzazione di sé a favore degli altri.
La medaglia d’argento al valor civile conferita dal Presidente della Repubblica C. A. Ciampi brilla dal 2005 nel Tuo gonfalone, Latina, portando, appunto, scritta questa motivazione:” Per onorare tutti coloro che con appassionato impegno, immani sofferenze e spesso col sacrificio della vita parteciparono alla bonifica dell’Agro pontino e contribuirono a formare una comunità di genti provenienti da varie regioni d’Italia”(1930-1939).
Non è una nuova retorica questa, è un passaggio obbligato dalle ideologie caduche, come le foglie dell’acero spoglio davanti alla mia direzione didattica, all’uomo riconosciuto “in carne e ossa“come unico valore, alla sua esistenza personale quotidiana, alla sua convivenza civile.
Anche questo è bello e …”fa bello”. Soprattutto!
Nella cultura contemporanea l’estetica, influenzata dalla critica, tende a dissolvere e a segnare in qualche modo di nuovi significati il destino del pensiero sul bello. Anche in urbanistica, come in altre scienze, quindi.
Non esiste più un’idea di bello omologata e omologabile per tutti, ne esistono varie declinazioni, la pluralità in ogni senso. Un pò come quell’idea di “uomo” che, secondo un mio illustre professore di filosofia, … abbracciava da sempre in sé e a sé anche l’idea di donna.
Bello, allora, e tollerabile e civile è anche che qualcuno possa aver detto e possa continuare a dire in futuro:” Mia Cara, come sei diventata … brutta!”.
E’ il bello sostanziale della democrazia!
Ciò non toglie che a noi, incoraggiati da vari spunti proposti per il Tuo 75° anniversario o semplicemente perché ci sale dentro, venga la voglia di rivisitarTi e di riscoprirTi soltanto come madre, Cara nostra Littoria-Latina. E come tale Ti accettiamo, così come sei. © – Sergio Andreatta
Scritto da : Sergio Andreatta
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