Si comincerà dal prossimo anno scolastico dalle sole classi prime. La Scuola Superiore italiana cristallizzata, per qualcuno anche sclerotizzatasi, nella riforma Gentile dal 1923 (con aggiunte nel 1929 allorché venne introdotto il Liceo scientifico e ulteriore qualificazione nel 1939 con la riforma del ministro Bottai cui va il merito di una significativa razionalizzazione della media inferiore) sembra ora destinata a voltare pagina. Ci avevano provato in tanti prima, ministri di buona volontà, senza mai riuscirci. Dagli anni cinquanta in poi le vere significative riforme sono state, a mio avviso di psicopedagogista e dirigente scolastico, quella della scuola media che con la sua unica offerta formativa del 1962 avrebbe permesso la risoluzione dello iato delle due culture (chiusura degli avviamenti) e ancora la L. n. 444 del 1968 che avrebbe provveduto ad istituire, cominciando poi a generalizzarla sul territorio, la scuola materna statale. Più di quanto non si creda quest’ultima legge, a parer mio, ha favorito l’autonomia lavorativa e l’indipendenza economica delle donne italiane che potevano così entrare per la prima volta in massa nelle fabbriche come operaie e negli uffici per gli impieghi. In pieno boom industriale con la L. 24.09.1971, n. 820 veniva istituito il tempo pieno nella scuola elementare, o meglio la scuola integrata a T.P. Un’operazione significativa anche dal punto di vista dell’assistenza familiare ma che soltanto con il combinarsi di alcune situazioni favorevoli – attenzioni devolute dalle Amministrazioni locali – poteva produrre eccellenti risultati. E questo detto per esperienza diretta da me, Sergio Andreatta, che sono stato insegnante nella S.I. a T.P. di Aprilia (II Circolo didattico), la prima della Provincia di Latina, su cui ho anche pubblicato (in ECONOMIA PONTINA) un saggio nel 1978. Nel 1990, infine la L. n. 148 riformava, non soltanto nei vecchi Programmi del 1955, la scuola elementare introducendo gli ambiti disciplinari e, al posto dell’insegnante unico, i moduli con tre insegnanti per due classi. Si apriva una grande stagione di qualità pedagogica e di ricerca-azione didattica che traguardava questo nostro ordine di scuola verso i primi posti delle classifica O.C.S.E…. La L. n.104/’92 razionalizzava la provvidenza del sostegno per gli alunni diversamente abili prevedendo come base di partenza l’acquisizione di una “diagnosi funzionale” rilasciata dalla ASL… Ora le novità riguarderanno, invece, i licei, e gli istituti tecnici e professionali, con una revisione dei quadri orari (meno ore settimanali ma tutte di 60′), un rafforzamento dell’insegnamento di matematica e scienze, la quasi scomparsa (purtroppo in un mondo che si va estendendo per tutti) della geografia e, soprattutto, un deciso sfoltimento degli indirizzi. E quest’ultimo punto mi sembra, francamente, un punto molto promettente e positivo a vantaggio dei core curricula. Nei decenni passati tutto un pullulare di sperimentazioni (razionalizzate un pò, ma non troppo, dall’art. 278 del D.Lvo n. 297/’94), anche a casaccio pur di lusingare l’aumento delle iscrizioni nel proprio istituto, aveva finito col creare confusione nei genitori al momento delle scelte, causando poi in retroazione infinite amarezze negli studenti per le molte aspettative disattese. Questa riforma prevede ora il necessario sfoltimento degli indirizzi di studio: i licei diventeranno 6, passando dagli attuali 450 indirizzi tra sperimentazioni e progetti assistiti; gli istituti tecnici da 10 con 39 indirizzi si ridurranno a 2 con 11 indirizzi e lo stesso gli istituti professionali che da 5 corsi e 27 indirizzi passeranno a 2 corsi e 6 indirizzi. Una decisa volontà di semplificazione, quindi, che dovrebbe andare a tutto vantaggio, speriamo, della robustezza dei nuovi piani di studio. Non è creando infinite e inverificate possibilità di scelta, infatti, che si disegna necessariamente una scuola migliore. Troppe (cosiddette) sperimentazioni, troppi progetti mai controllati e mai monitorati, mai obiettivamente valutati per il loro effettivo valore sono stati causa di verticali cadute della qualità del Piano dell’Offerta Formativa (P.O.F.). Per una legge fisica il semplice è più trasparente e verificabile del complesso. Brocca si è speso bene per i suoi tempi ma se alla lunga non si è andati poi a verificare e non si è dato seguito a indipendenti e attendibili procedure di valutazione sulle ipotesi programmate, si è finito col minare la credibilità stessa della scuola e col gettare al vento anche notevoli risorse che potevano essere sicuramente meglio indirizzate e che, invece, sono state dirottate unicamente all’ampliamento quantitativo dei posti necessari alla copertura delle nuove artificiali esigenze pure andando a provocare, come conseguenza, sacche di ulteriore precariato. Certo qualcosa di buono, tra lo sperimentale e l’innovativo, si poteva anche salvare. In un cahiers des doléances si potrebbero registrare molte critiche, anche nei confronti degli stessi sindacati spesso in patti spartitori con molti governi. Ma a testimoniare il declino della Scuola Superiore italiana basterebbe citare, per farla breve, la collocazione in graduatoria OCSE-PISA, costantemente penosa, della stessa: mai inclusa prima del 23° posto in classifica (dal 2008 al 36° con dimostrate lacune di apprendimento significativo in matematica e nella lingua madre). Quindi si avvia ora, quasi a chiudere le porte della stalla a buoi ormai fuggiti, un tentativo di semplificazione e di forte recupero della qualità. Ci si riuscirà? L’opposizione ha attaccato duramente il governo, con Bersani e Fioroni già fautore come ministro della pubblica istruzione di alcuni innovativi e significativi provvedimenti (innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni, ora riposizionato a 15, e nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo), imputandogli una politica di tagli più che di scelte strategiche coraggiose. Ma è nell’interesse di tutti che, senza pregiudiziali di parte, qualcosa si muova perché così non si poteva più realisticamente andare avanti. Staremo, comunque, a vedere perché altri nodi di sicuro potrebbero emergere, da quello della riduzione degli organici del personale docente e ATA, a quello sostanziale del taglio delle già precarie risorse destinate dal Governo alle istituzioni scolastiche. Povertà da tagli ben sperimentate, in questi giorni sulla loro pelle, da tutte le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado del Paese alle prese con la quadratura dei bilanci preventivi, dove dirigenti scolastici e direttori amministrativi non riescono ad elaborare e a far approvare dai Consigli, a livelli di minima autosufficienza economica, il loro Programma annuale finanziario 2010, tecnicamente anche a causa dell’avara ed oscura nota ministeriale 9537 del 14 dicembre scorso ma soprattutto per le critiche alla politica della lesina del Governo. Il presidente del Consiglio Berlusconi, al termine della riunione di Governo di giovedì, non ha tradito naturalmente la sua soddisfazione quando, dopo aver ricordato che ” la scuola attuale non sforna ragazzi con cognizioni adeguate alle richieste del mondo del lavoro” ha promesso che “con queste riforme dal prossimo anno scolastico avremo delle scuole che possono essere comparate a quelle degli altri paesi europei”. Tutti e di ogni parte politica concretamente se lo augurano, magari rinunciando anche un pò alla critica esasperata e diversamente potendosi impegnare ognuno nella costruzione (pars construens) del miglioramento. In questi decenni si sono realizzate nel sistema-scuola italiano pure tante cose buone, tante esperienze di ricerca-azione che sono potute diventare patrimonio condiviso. Specie in quelle scuole elementari e dell’infanzia che tutti nel mondo ci invidiano (un po’ meno ora col maestro unico o prevalente nella primaria imposto dalla L. 28.03.2003 n. 53 – la cosidetta riforma Moratti – e norme confermative seguenti).”La riforma dell’istruzione tecnica per la prima volta colloca questo segmento di istruzione non in serie B” ha per un verso sottolineato, dopo i generali toni trionfalistici (di “riforma epocale”) il giovane ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini. Ma non so se il solo riordino, la semplificazione, lo sfoltimento degli indirizzi basteranno di per sé a portare il miglioramento voluto. Sarebbero necessarie soprattutto nuove risorse e premialità consistenti per la valutazione dei meriti, al personale più appassionato, impegnato e competente. Diamo ai docenti migliori ciò che è migliore, uno stipendio più consono alle loro prestazioni, decretando la morte del non-senso, del principio di generalità. Diamo però anche agli studenti, in una società che non può che essere nelle sue multiculturalità inclusiva, un’effettiva condizione per l’esercizio delle pari opportunità, una buona chance contro la dispersione scolastica. Sulla valutazione del merito e la distinzione dei ruoli, invece, si sono commessi errori un po’ da tutte le parti. Penso ad es. alla L. 469 che nel 1978, sulla base del principio di “tutti marescialli” alias “tutte maestre anche le assistenti” voluto dai sindacati, andò ad abolire una figura essenziale per il buon funzionamento della scuola materna, quella di un’assistente ogni due sezioni. Pensate voi a quanto poteva essere utile questa aggiuntiva figura di collaboratrice subordinata per il migliore funzionamento di sezioni composte da 28 piccoli alunni e ora anche da bambini, a seguito degli anticipi, di soli 2 anni e mezzo di età. © – Sergio Andreatta, psicopedagogista e dirigente scolastico decano dell’USR per il Lazio.
Ed ecco in sintesi quello che prevede la riforma Gelmini:
LICEI
Da quasi 450 indirizzi (tra sperimentali e progetti assistiti) si passa a sei licei: classico, scientifico, linguistico, artistico (articolato in sei indirizzi per facilitare la confluenza degli attuali istituti d’arte e garantire continuità ad alcuni percorsi di eccellenza), musicale e delle scienze umane (questi due ultimi licei sono vere new entry). Nel classico verrà introdotto l’insegnamento di una lingua straniera per l’intero quinquennio, potenziando anche l’area scientifica e matematica. Nello scientifico tradizionale è aumentato il peso della matematica e delle discipline scientifiche; è prevista una nuova opzione delle “scienze applicate” che raccoglie l’eredità della sperimentazione scientifico-tecnologica. Il linguistico prevede sin dal primo anno l’insegnamento di tre lingue straniere, dal terzo anno una materia sarà impartita in lingua straniera (dal quarto anno le discipline insegnate in lingua straniera diventeranno due). Nel liceo musicale saranno istituite 40 sezioni musicali e 10 coreutiche; potranno essere attivate in convenzione con conservatori e accademie di danza. Il liceo delle scienze umane sostituisce il liceo sociopsicopedagogico ed è prevista la possibilità di attivare una sezione economico-sociale. Tra le altre novità introdotte per i licei, oltre a un incremento orario della matematica, della fisica e delle scienze, c’é la presenza obbligatoria dell’insegnamento di una lingua straniera nei cinque anni con almeno 99 ore annuali ed eventualmente di una seconda lingua straniera usando la quota di autonomia, la presenza delle discipline giuridiche ed economiche nel liceo delle scienze umane, nell’opzione economico-sociale e negli altri licei attraverso la quota di autonomia (20% nel primo biennio e nell’ultimo anno e del 30% nel secondo biennio), insegnamento nel quinto anno di una materia in lingua straniera, latino obbligatorio nei licei classico, scientifico, linguistico e delle scienze umane e negli altri previsto come opzione. Tutti i licei prevederanno 27 ore settimanali nel primo biennio e 30 negli anni successivi con alcune eccezioni (nel liceo classico negli ultimi 3 anni sono previste 31 ore per rafforzare la lingua straniera; nell’artistico fino a 35 ore e nel musicale fino a 32 ore).
ISTITUTI TECNICI
Da 10 settori e 39 indirizzi si passa a 2 settori – economico e tecnologico – e 11 indirizzi. Tutti gli attuali corsi e le relative sperimentazioni confluiranno gradualmente nel nuovo ordinamento. L’orario settimanale sarà di 32 ore di 60 minuti (ora sono 36 ore di 50 minuti). Sono previsti più laboratori: negli indirizzi del settore tecnologico 264 ore nel biennio e 891 nel triennio. Ulteriori risorse di personale saranno assegnate alle scuole per potenziare le attività didattiche di laboratorio. I nuovi istituti sono caratterizzati da un’area di istruzione generale comune ai due percorsi e in distinte aree di indirizzo legate al mondo del lavoro e al territorio. Avranno, inoltre, a disposizione ampi spazi di flessibilità (30% nel secondo biennio e 35% nel quinto anno) in aggiunta alla quota del 20% di autonomia di cui già godono le scuole per valorizzare settori produttivi strategici (cartario, costruzioni aeronautiche, ecc..). Sono state incrementate le ore di inglese (con la possibilità di studiare altre lingue) e favorita la diffusione di stage, tirocini e l’alternanza scuola-lavoro.
ISTITUTI PROFESSIONALI
Da cinque settori e 27 indirizzi si passa a 2 macro-settori – servizi e industria/artigianato – e 6 indirizzi. I professionali avranno un orario settimanale corrispondente a 32 ore di lezione (ora 36). Avranno maggiore flessibilità rispetto agli istituti tecnici (25% in prima e seconda classe, 35% in terza e quarta, 40% in quinta, in aggiunta al già previsto 20% di autonomia). Il percorso è articolato in due bienni e un quinto anno. Gli istituti professionali potranno utilizzare le quote di flessibilità per organizzare percorsi per il conseguimento di qualifiche di durata triennale e di diplomi professionali di durata quadriennale. Anche in questo comparto di istruzione sono previsti più laboratori, stage, tirocini e alternanza scuola-lavoro per apprendere, soprattutto nel secondo biennio e nel quinto anno, attraverso l’esperienza diretta.