Caso Sodexo e Stampa Pontina, qualche necessaria puntualizzazione.
Archiviazione del procedimento per totale insussistenza dei fatti. Il dirigente dell’istituzione scolastica pontina dott. prof. Sergio Andreatta e il cons. comunale, ora provinciale, del PD Mauro Visari, definitivamente scagionati dal gup di Latina da ogni infondata ipotesi accusatoria formulata dalla potente multinazionale. Il caso indirettamente favorito dalla commistione tra gestione e controllo delle mense scolastiche comunali.
Unicuique suum!
Il giudice (GUP del Tribunale di Latina, 15.05.2010), contrariamente a quanto temerariamente sostenuto dalla Sodexho nella sua querela, non ha riconosciuto la diffamazione né conseguentemente alcuna responsabilità personale a carico del dirigente scolastico prof. Sergio Andreatta (né del cons. comunale Mauro Visari), né ravvisato dolo o colpa grave nei suoi comportamenti professionali. E questo in base sia alla più scrupolosa valutazione dei fatti, accaduti nella ristorazione scolastica di tre mense scolastiche dell’infanzia del capoluogo pontino il 6.02.2009, sia alla costante giurisprudenza in merito.
Nella vicenda, appena conclusa da un’ordinanza di archiviazione del gip del tribunale di Latina, che ha visto me, Sergio Andreatta (avv. Erasmo Cinquanta), e il consigliere comunale Mauro Visari (avv. Giorgio Granato), querelati dalla Sodexo per presunta diffamazione a mezzo stampa, si impongono alcune puntualizzazioni. Esattamente, per quel che mi riguarda, su tre articoli apparsi nei quotidiani pontini Il Nuovo Territorio (1) e Il Tempo (2).
IL NUOVO TERRITORIO
Il Nuovo Territorio a pag. 4 dell’8 aprile 2009, in un esteso articolo a firma di Sergio Corsetti, dava per primo notizia della querela della multinazionale Sodexo. Venivano riportati tra virgolette alcuni passi originali della querela che mi sarebbe stata notifica soltanto tre mesi dopo. Sarebbe falso se non ammettessi ora che, quella mattina, nell’aprire quella pagina non mi sia sentito in qualche modo leso perché altri, che non erano i diretti interessati, disponevano arbitrariamente e usavano e pubblicavano un documento giudiziario a me riservato di cui non avevo fino ad allora nessuna cognizione né l’avrei avuta fino al luglio successivo.
In premessa ad una puntuale analisi sui contenuti di tale articolo, che rifletteva però simmetricamente la querela****, non si può non focalizzare l’attenzione sulla singolarità di una notizia che sarebbe dovuta rimanere (almeno “pro tempore”) protetta a tutela della privacy e che, al contrario, veniva “sparata” in anteprima, con il seguente titolo a caratteri cubitali:
“LA SODEXO DENUNCIA VISARI E ANDREATTA”
La notizia sarebbe stata, peraltro, puntualmente confermata in seguito dai NAS di Latina il giorno 1.07.2009 nel corso di un invito a comparire per la notifica dell’atto. Sul fatto (il clamoroso, e per certi versi scandaloso, articolo) lo scrivente non può facilmente sorvolare (seppure non procederà a denunce per un qualche rispetto per il lavoro (pur essenziale) dei giornalisti (già troppo attaccati proprio in questi giorni da minacciose leggi-bavaglio), per la palese e inaccettabile violazione delle leggi e delle norme procedurali in vigore, compresa la violazione della tutela della privacy (L. n. 675/’96, D.L.vo n. 196/2003, ecc…), che si è concretata nel caso in questione con l’intenzionata fuga di notizie. Violazione, questa, da catalogare come tra quelle più usuali e impunite nel costume giudiziario italiano. Nell’immediatezza mi sembrava fosse stato prodotto un grave “fumus” sulla mia persona denigrata nel suo ambiente di vita e di lavoro al IV Circolo didattico di Latina, l’istituzione scolastica statale di cui sono dirigente da 18 anni, quasi un vulnus alla mia dignità personale e professionale. Non riuscirò mai a comprendere abbastanza, a giustificare nel fatto e tanto meno ancora nel diritto, come il deposito di una querela di parte, per quanto presuntamente fondata, ma di cui all’epoca io non avevo alcuna consapevole contezza, abbia potuto essere divulgato “in anteprima” e soprattutto con quell’assoluto risalto di cronaca e il corredo di molteplici, peraltro rivelatisi puntuali, virgolettati. Ma non sono in discussione qui i contenuti rappresentati da una parte (la Sodexo) che si riteneva lesa ma la pubblicazione sulla stampa e i suoi effetti.
Nella consapevolezza di avere sempre ben agito nell’interesse pubblico, e non meno in quella sfigata circostanza, sulle prime quel pezzo lo valutavo come un penetrante e partigiano, seppur temerario, “j’accuse” giornalistico, una vera stilettata (“stilus Novi” per parafrasare una famosa frase di Paolo Sarpi), più che un obiettivo articolo di informazione basato su un qualche rivendicabile concetto di libertà di espressione e di diritto di cronaca. Con la pubblicazione veniva assodato che la querela contro di me era in mano ad estranei che ne disponevano a mia insaputa. E in una dimensione effettivamente giuridica, diversi quesiti venivano ad affollare la mia mente non soltanto come legittimi ma anche meritevoli di un giusta valutazione a tutela della privacy, dei dati personali e di altri diritti costituiti della persona, a parer mio, palesemente violati. Ma poi, sbollita la rabbia, incominciavo a pensare che quell’indiscrezione giornalistica, non ripresa da altri quotidiani, poteva tradursi per me in un vantaggio perché mi avrebbe permesso di studiare e approntare in anticipo una buona linea difensiva intorno ai quattro capi di accusa che mi sembravano così temerariamente eccitati dalla querela della Sodexo. E infatti costruivo una memoria difensiva di 20 pp.gg. (con allegati documenti e numerose inoppugnabili testimonianze) che affidavo al mio legale che ne traeva sinteticissimi ma efficaci spunti già in fase di udienza preliminare. Una difesa perfino superflua, in definitiva, perché la querela veniva ritenuta “inammissibile” da due magistrati, dal pm Giuseppe Miliano nella sua richiesta di archiviazione e, malgrado l’avanzata opposizione della Sodexo, dal gup Laura Matilde Campoli nella sua ordinanza definitiva.
IL TEMPO
Nella conferenza stampa del giovedì successivo ai fatti (12.02.2009) l’assessore alla P.I. del Comune di Latina Bruno Creo poteva smentire la presenza di insetti nei piatti di minestra dei bambini delle tre scuole dell’infanzia e, a precisa domanda de Il Messaggero (Domenico Sarrocco, pag.17 del 13.02.2010) attribuiva l’errore di tante persone che li avevano segnalati, e quindi anche il suo, alla pura, casuale… somiglianza e alla mancanza, comunque, di quelle analisi al microscopio che soltanto diversi giorni dopo avrebbero scientificamente dimostrato la qualità delle anomalie rilevate. Queste le sue testuali parole:“I pezzi di fagioli lavorati da un punto di vista visivo sembravano insetti cotti; il microscopio ne ha poi accertato la vera natura della composizione”. Quindi…! Ma se il Comune di Latina, con doverosa previdenza, senza lasciare tutto alla libera autonomia del gestore avesse provveduto ad inserire nell’appalto delle mense scolastiche quel necessario “soggetto terzo” per il controllo-qualità, anche da me rivendicato per il Circolo, sull’intera filiera alimentare fino al menù, neanche questo mero equivoco sarebbe potuto sorgere. E su quell’equivoco nessuno della scuola, e non certo io, aveva voluto giocare. Come dirigente scolastico venivo subito dopo contattato da un cronista de Il Tempo (cfr.: Vincenzo Arma, pag. 4 del 13 feb.). E malgrado le insistenze non gli rilasciavo alcuna dichiarazione, semplicemente potevo dirmi:“contento per i bambini… perché così si era dissolto finalmente un grave dubbio”. Nell’accompagnarlo alla porta, a mezza bocca e tra me e me, senza precisi nessi e connessi mi usciva poi una battuta: “L’acqua si tramuta in vino e il vino in acqua”. Nel mio pensiero essa era riferita a ciò che a volte si crede di vedere e che, invece, non si vede affatto. Un’istantanea auto-riflessione sulla conoscenza e sulla fallacità della percezione umana e sulla interferente confusione, sempre possibile, tra l’essere e l’apparire. Non dichiarazione, quindi, né commento ma la semplice evocazione di un concetto culturale antico, già espresso in filosofia da Senòfane (IV sec. a.C.) e in tempi più recenti ripreso da H.G. Gadamer (in “Verità e Metodo”, 1960). Una questione irrisolta della filosofia antica e di quella moderna sul problematico rapporto tra l’essere e l’apparire, sulla precarietà della conoscenza umana nella ricerca della verità a causa della fallace senso-percezione, grazie all’arbitraria interpretazione del cronista de IL TEMPO e alla sua enfasi era destinata a… tramutarsi nel quarto, e più insidioso punto, dell’accusa di diffamazione contro di me. Sennonché quel cronista de Il Tempo trovava, anche, il modo di introdursi nell’ufficio di un’assistente amministrativa che approcciava con queste esatte parole: “E’ lei la donna di campagna che ha visto gli insetti, vero? Lei se ne intende, no?” (L’avesse fatta a me questa domanda avrei risposto: “Sì, sono io l’uomo. Sono nato e vissuto in un podere di Borgo Bainsizza. E ho lavorato anche per quattro anni nel Consorzio Agrario a fianco di mio fratello che ne era il responsabile”). La stessa signora, già da me inviata alla “Giovanni Paolo II” per un sopralluogo, non rispondeva ma l’indomani nella pagina del giornale appariva che l’assistente avrebbe accennato a insetti che avevano anche… “le zampette”…
In un altro articolo di spalla in prima pagina su IL TEMPO di Latina del 14.02.2008 “Tanto rumore per niente” a firma dell’assessore alla Sanità Maurizio Galardo, veniva portato, poi, un duro attacco personale contro di me e usato quell’aggettivo di “irresponsabile” che ben andrebbe a sostegno di una querela… Specie ora che il giudice con la sentenza di non luogo a procedere mi ha, al contrario, giustificato e patentato nella qualità di “responsabile” e di agente a tutela della priorità dell’interesse pubblico. Ma ora la vicenda si è conclusa, addirittura in sede preliminare, per cui (“pro bono pacis”) non vale la pena ritornarci su con altre percorribili iniziative legali. E non vale neanche la pena di fare sforzi per sollevare, a rischio d’ernia, massi dove sotto si potrebbe annidare, pure, chissà quale… verminaio.
© – dott. prof. Sergio Andreatta, dirigente scolastico della Direzione Didattica di Latina IV Circolo (www.quartocircolo.it).
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**** La querela della Sodexo per presunta diffamazione a mezzo stampa era incentrata in quattro punti (quelli della pag. 4 dell’8 aprile 2009 de Il Nuovo Territorio: 1) “…nonostante (una prima ispezione visiva)… il dirigente scolastico, Andreatta, inviava un fax…”, quasi non fosse suo preciso dovere farlo (passibile del contrario) segnalando agli organi competenti qualsiasi anomalia rilevata. Se poi, per amore di verità, si deve anche aggiungere che nessun contraddittorio, nessun chiarimento era intercorso tra la Sodexo e il sottoscritto unico rappresentante legale dell’istituzione IV Circolo didattico di Latina… ; 2) “in particolare in un articolo (ndr: non citato) lasciava intendere come la società non fosse nuova ad inconvenienti…”. La risposta a questa osservazione si rintraccia nei fax inviati all’Ufficio-Mensa del Comune e depositati negli archivi della Direzione didattica, nelle testimonianze di telefonate dalla Segreteria e in un esposto con circa 200 firme dei genitori; 3) “In una nota al sindaco Zaccheo per la tutela delle sporzionatrici… si paventava una preventiva preoccupazione contro una ventilata ipotesi di atti ritorsivi”. Le sporzionatrici stesse avevano collaborato con le insegnanti nell’individuare e segnalare l’inconveniente nei piatti di minestra prima a Borgo Isonzo e poi nella scuola di Via Sezze. Quella mia era una lettera riservata, “sue proprie mani” al Sindaco, da leggere integralmente nel suo contesto e nel suo spirito e in quanto riservata non configura, comunque, in ogni caso diffamazione per mancanza di presupposti; 4) “… Andreatta ha insinuato eventuali interferenze della Sodexo sul lavoro dei laboratori analisi quando afferma: è un miracolo il vino si è trasformato in acqua e l’acqua si è trasformata in vino”. Interpretazione falsa e temeraria di una frase arbitrariamente calata in un contesto fantasioso e di pura inventiva. Concludeva la querela con queste parole “…la condotta di Visari e Andreatta appare condannabile per l’uso strumentale che si è fatto”. Per quanto mi riguarda non ho mai fatto alcun uso strumentale nè ho agito mai per secondi fini se non per quelli dell’interesse pubblico. Accuse “inammissibili” – scrive il giudice – senza alcun fondamento. Ma questo era noto, ed è ormai definitivamente certo, seppure sia da me ritenuto offensivo, non che se ne dubitasse ma, che se lo volesse, nientemeno, asseverare attraverso una querela, quella sì diffamante.