Secco secco allampanato l’abete montanaro scrutò verso la cupola signora della piazza…
… e con invidia nel cuore nel suo dialetto si lasciò sfuggire: – Io non sarò mai così grande, così alto! Così tondo e panciuto… come un cardinale. Così nobiliare.
Potessi almeno continuare – proseguì dopo un fremito perché si sentiva nel frattempo ammirato e accarezzato da alcuni bambini che passavano ai suoi piedi – continuare a vivere, a respirare la mia libertà!-
– Unicuique suum, a ciascuno il suo!… A ognuno la sua altezza, bella cima! A ognuno la sua carriera! – lo rincalzò cortigiana la trascendente cupola signora della piazza del mondo – A me la mia, ma sapessi tu quante schifezze vedo io da quassù! A te la tua, …pino!… –
– Già, … unicuique suum! – replicò mortificato l’abete nella sua immanenza, anche un po’ scocciato per l’improprio declassamento silvestre subito.
– Sic transit gloria mundi! … – ammonì, allora, facendo spallucce l’aristocratica cupola.
– Sic!… Ma mo’, ‘ntanto, perchè nun “tranzi” tu la tua…, o bella? – ferì con ostentata indifferenza l’abete.