5th Set, 2010

Prima la fede o prima il lavoro?

Viene prima la ricerca della fede o la ricerca di un posto di lavoro?

Una singolare e forse equivoca competizione nelle parole del Papa dei giorni scorsi. Ma oggi a Carpineto Romano, ricordando il magistero sociale di Leone XIII, con riferimenti alla storia e alla situazione attuale dice: “serve dialogo e mediazione nei conflitti sociali”

wpit88x31 di Sergio Andreatta

La fede, sine qua non… cattolico, cristiano o…  “Io credo” titola il libretto che mi ha donato il bassianese mio amico mons. Francesco Lambiasi, ora vescovo di Rimini. Benissimo. Ma, in una società laica, secolarizzata, complessa, multiculturale e in continuo cambiamento come è diventata quella italiana, a chi non seguisse alcuna religione e praticasse la grazia della fede non si può pensare di attribuire, neanche solo in ipotesi e a parole, una qualche dignità minore. E la dignità di una persona non si fonda anche, seppure non unicamente, sulle sue autonome possibilità di sostentamento, sulle garanzie di non precarietà che quella cerca ogni giorno di assicurare all’esistenza propria e a quella della sua famiglia? La stessa Repubblica italiana e la sua democrazia non si dicono, all’art. 1 della Costituzione, fondate sul lavoro? Primum vivere, deinde philosophari: non di sola… aria vive l’uomo, pare ricordarci un famoso adagio di Hobbes il cui pensiero in origine si può far risalire alla Politica di Aristotele  e alla tradizione gnomica. La ricerca del lavoro, all’interno di una dimensione antropologica, non è, e non può essere, in concorrenza con altro ma è “carne e ossa” direbbe J.P. Sartre, questione viva, fisica prima ancora che metafisica. Questioni diverse su piani diversi, una sul piano dell’essenza l’altra su quello dell’esistenza, dilemma certamente improponibile. Le parole del Papa all’udienza generale di mercoledì scorso sono state, quindi, per certi versi sorprendenti seppure subito ricalibrate oggi a Carpineto Romano dove si è recato stamattina in ricorrenza del bicenetenario della nascita del lepino e nostro quasi conterraneo Leone XIII che con la sua Enciclica Rerum novarum per primo, il 15 maggio 1891, si occupò, dal suo versante, della questione sociale e lavorativa dei cristiani, dei diritti dei lavoratori del suo tempo. A questo Papa l’attuale riconosce la fondazione del “primo nucleo della dottrina sociale della Chiesa“. Nei confronti del capitalismo l’Enciclica leonina si pose esattamente a metà strada fra le posizioni degli imprenditori e i bisogni degli operai ma in essa si può rinvenire anche una condanna nei confronti del sindacalismo e una decisa contrarietà contro l’emancipazione femminile perchè “… certi lavori non si confanno alle donne, fatte per natura per i lavori domestici, i quali grandemente proteggono l’onestà del sesso debole”. Non bisogna, quindi, neanche dimenticarsi di alcuni apostoli laici come il socialista Andrea Costa e alcuni altri protosindacalisti. Perchè si suole storicamente ricordare solo ciò che fa piacere  in quanto collima con il proprio punto di vista. Così il sociologo (De Rita) ha potuto facilmente commentare nei giorni scorsi che, però, il clero (parroci e vescovi) non risulta proprio versare in stato di precarietà economica ma piuttosto essere mantenuto da uno stipendio dello Stato percepito con mensile regolarità. Ci potrebbe essere, quindi, anche la necessità di una questione dell’8/°°° da rivisitare e ridiscutere nella sua ampiezza ed interpretazione (originariamente non così prevista dal legislatore) per venire più cristianamente incontro ai bisogni primari di sostentamento di tanti disoccupati italiani, alcuni dei quali dopo la perdita del loro posto di lavoro si sono sentiti costretti al suicidio dalla vergogna, indotti da una sorta di irrefrenabile compulsione morale, dal percepito fallimento nei confronti della propria famiglia non più mantenibile. E sarebbe, magari, grande carità cristiana cercare nei fatti di venire loro incontro… La dignità e la giustizia in ex aequo meritano, quindi, sicuramente il primo posto in assoluto in una eventuale classifica degli attuali valori sociali. L’8/°°° andrebbe sicuramente rispettato e mantenuto, come bilateralmente previsto dal Concordato tra Stato e Chiesa, ma perchè le eccedenze attribuite da un giudice con una anomala sentenza interpretativa del 2003 non dovrebbero essere meglio riversate ad un Fondo comune di Solidarietà, magari sistematicamente bi-monitorato, per il sostegno dei disoccupati e, magari, anche per la soluzione di qualcuno dei tanti problemi da carenti risorse in cui versa la nostra scuola pubblica italiana? Che sono forse queste (quella dell’occupazione e quella dell’educazione dei giovani) questioni sociali minori e di cui non si può interessare concretamente anche la nostra Chiesa cattolica italiana di fronte al surplus (il triplo) che da alcuni anni essa (la CEI) incassa? O preferiamo continuare a fare i moralisti dai pulpiti, sfiorando l’ipocrisia, potendo beneficiare di impreviste condizioni di privilegio? Sergio Andreatta

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