Passi nella faggeta
Si può amare qualcosa più del bosco? In ogni stagione possiamo immergerci in un quadro naturale diverso ma sempre suggestivo. Il bosco di montagna poi sembra ispirarmi anche qualcosa in più. Quando l’inverno si avvicina gli uccelli, che non sono partiti a stormi per le terre del sole, qui sembrano sparire, come fossero andati a nascondersi da qualche parte. Che silenzio in queste estese faggete sopra Prati di Mezzo dove l’unico rumore è quello dei nostri piedi che si trascinano a fatica sullo spesso tappeto di foglie accartocciate! La quiete regna sovrana. Ecco, ora sosto in devozione davanti ad un patriarca, a un faggio tanto antico che ci vorranno le braccia di sei uomini per circondarlo dell’affetto di un abbraccio. Ma lui neanche lo pretende. Poche foglie sottili, allungate restano ancora sui suoi rami ormai, foglie che, confortate dal sorriso di qualche raggio di sole, tentano invano di resistere ai colpi del vento autunnale. Straccetti gialli, marroni e rossi che penzolano, che vibrano non senza un sentimento di pena condivisa per loro. Il silenzio è rotto dal grido di un rapace, un compagno vola via veloce verso un picco roccioso dopo aver catturato la sua ultima preda. Ci viene incontro una nebbiolina leggera, poco più densa del velo di una sposa. Camminiamo per il canalone sotto rami drizzati come braccia imploranti: “Un po’ di calore. – sembrano implorare – Dateci un po’ di calore!”. Dove il tappeto di foglie è più liso spuntano ancora le foglie arrugginite delle fragolette di montagna. E alle radici del patriarca punteggia il bianco di qualche fungo. Scendiamo a Picinisco che la terra è umida e già un po’ fredda nella sera. Negli occhi conserviamo ancora quel quadro-capolavoro di “muschio, erbe, rupe e pianta” come scrive il poeta svedese A. Gellerstedt (Nel bosco). “L’Artista? E nol conosci ? / E’ il Sol che va pei boschi…!”. © – Sergio Andreatta, Picinisco 13.11.2010 Sergio Andreatta, Il faggio-patriarca (nov. 2010) Riproduzione vietata.
(503° articolo di www.andreatta.it ).