L’ipocrisia corrente…
All’alba del 30.12.2006 l’ex raìs iracheno, dopo la lettura del dispositivo di condanna alla presenza di sette testimoni, è stato impiccato.
Parafrasando il detto di Albert Camus: “C’è sempre qualche ragione per l’uccisione di un uomo” si può dire che c’è sempre una qualche ragione per la sua condanna a morte.
E’ così, al di là delle modalità, anche per Saddam Hussein; mentre sempre per lo stesso autore francese de “La Caduta”: “E’ invece impossibile giustificare che viva”.
Uno può essere anche personalmente contrario alla pena di morte, come la gran parte degli italiani e degli europei nella loro avanzata sensibilità civile affermano di esserlo, ma non occorre essere necessariamente giustizialisti per ammettere che se tale condanna trova previsione nella cultura, nella sensibilità anche religiosa, nella civiltà giuridica e nel codice penale di un popolo e di uno Stato può sembrare giusto a qualcuno che essa possa essere comminata, come è giusto forse che chi, nella sua contrarietà umanistica, si dice contrario possa dirlo e farlo senza intromettersi negli altrui ordinamenti.
Ma è, davvero, da barbari asserire elementarmente: “Diamo a Cesare quel che è di Cesare, a Mastro Titta (il boia vaticano fino al 1870) quello che è di Mastro Titta?”(*)
E, davvero, Caino non può essere toccato da un’etica di stato?
Processo con tutte le garanzie, naturalmente (ed è questo probabilmente il vero problema di fondo).
Come nel diverso recente caso della pseudo-eutanasia di P.G. Welby anche in questo mi sembra di ravvisare moltissima ipocrisia, una palla che corre tra una buca e l’altra sul tavolo verde del bigliardo sociale e politico delle variegate convinzioni personali e delle varie tribù politico-religiose ad una delle quali ognuno di noi trova rassicurante appartenere.
E’ proibito uccidere, si dice. E’ proibito condannare a pena capitale e giustiziare un dittatore sanguinario (sarebbe stato più giusto, si trova, ucciderlo a caldo, al momento della sua cattura), poi però nel pianeta si scatenano e si giustificano politicamente ogni giorno le guerre, sante o meno.
Come a dire con Voltaire, Dizionario filosofico, che è proibito uccidere finché non si uccide “in numerose compagnie e al suono delle trombe”, oppure, se preferite con Jean Rostand, Pensieri di un biologo, che scrive:”Se uno uccide un uomo è un assassino; se ne uccide un milione, è un conquistatore; se li uccide tutti, è un dio”.
Paradossi, naturalmente.
Che sia stata questa, comunque, una scelta essenzialmente politica è indubitabile.
Un tentativo, forse inutile, di voltare pagina, come dice ancora qualcuno, in quel fosco teatro di guerra, mentre chissà quante generazioni dovranno passare, pensiamo noi, prima che l’Iraq ed altri consimili paesi possano… veramente professarsi come democratici. “Veramente”…, cioè nel modo in cui s’intende la “democrazia”, qui e ora, nel nostro mondo occidentale.
(*) La pena di morte è stata abolita in Vaticano soltanto nel 1967 con Paolo VI.
(**)Il filosofo ed economista milanese Cesare Beccaria (1738-1794) che, dopo aver compiuto gli studi di giurisprudenza presso l’università di Pavia, si era accostato alle opere degli illuministi francesi e in particolare alle “Lettere persiane” (1721) di Charles-Louis Montesquieu, viene ricordato soprattutto per “Dei delitti e delle pene”. In quest’opera, pubblicata a Livorno nel 1764 e da allora tradotta in tutte le lingue europee, in tempi in cui era ancora viva e praticata la tortura, denunciò la durezza e gli eccessi del diritto penale, in particolare della pena di morte invocando la necessità di proporzionare la pena al delitto. Appunto.
Le sue idee ebbero un’importante funzione di stimolo e guida per la riforma dei codici penali di molti Paesi, soprattutto europei.
Il concetto di dignità e inviolabilità della persona umana è un concetto giuridico guadagnato soltanto di recente nell’evoluzione dei percorsi della nostra società e neanche, ancora, da tutti. Culture e sottoculture diverse nel mondo non si sono, poi, ancora tutte… omologate su quello che può sembrare un sacrosanto principio universale.
Romano Prodi a capo dell’esecutivo del nostro Paese, ora “membro non permanente” dell’ONU, ha deciso di investire della questione l’Assemblea Generale dell’Organizzazione chiedendo significativamente una moratoria della condanna a morte. Le adesioni, soprattutto europee sono state numerose, ma U.S.A. e Cina, membri permanenti “con diritto di veto”, e altri (paesi arabi) non ne sembrano tanto favorevoli. Staremo a vedere …