Nella rosa di Jericho c’è l’immortalità
Da una stazione nel deserto.
di Sergio Andreatta
C’è un alone di mistero che circonda questa “pietra” portata in Europa da crociati e pellegrini. Alcune affascinanti leggende l’accompagnano. La più nota narra che Maria, sulla strada di Nazareth, si dissetasse con l’acqua racchiusa nel suo cuore e, per gratitudine, la rendesse immortale. Da secoli in tutta Europa si crede che curare in casa una rosa di Jericho introduca al suo interno felicità e benedizione.
Alcuni studi etnoantropologici riportano che, nella Terra Santa dove la rosa vive, le donne beduine ne bevono l’acqua per alleviare i dolori e abbreviare i processi di guarigione; fanno il bagno dove essa si apre a fiore e usano la sua acqua per fare impacchi, poiché da tramandata consuetudine hanno appreso che questa pianta ha effetti curativi. Alcune recenti ricerche avrebbero dimostrato questi effetti benefici.
Rosa di Jericho ossia un’occasione per me di grande stupore per la sua resilienza. Resilienza in psicologia è la capacità di far fronte in maniera resistente, con forza maggiore, agli eventi traumatici o comunque negativi e quindi di riorganizzare positivamente la propria vita di fronte alle difficoltà. Qualsiasi organismo biologico, e quindi anche botanico, ha un suo proprio grado di resilienza alle avversità climatiche ma il livello di spirito di sopravvivenza dimostrato dalla rosa di Jericho è per noi davvero sorprendente, fino a diventare il simbolo stesso della resilienza e, dicono poi, della resurrezione. Il deserto israeliano in questa straordinaria escursione sembra tutto a disposizione mia e dei pochi altri che mi accompagnano. Sono così emozionato, anche se non lo do a vedere, che riesco appena a stare fermo. Per la prima volta entro in un deserto! La sua distesa di sabbia, le sue rocce sono sfruttate dai miei occhi per la prima volta. Forse è questo il luogo calpestato da Gesù, dove almeno una volta all’anno egli si ritirava in digiuno e preghiera. Luogo totalmente metafisico quanti altri mai. Quanti amici prima sono tornati dalla Terra Santa portandomi una cartolina, un pezzetto di olivo benedetto del Getsemani o una boccetta d’acqua del Giordano, ma mai nessuno, come un crociato, un esemplare di rosa di Jericho. Inutile dire che, sfruttando il turismo religioso e il desiderio di un souvenir, si è sviluppato intorno un fiorente mercato. La sabbia non finissima presa in mano scorre tra le nostre dita lasciandovi grumi e pietruzze e, particolare non insignificante, sembra richiamare su di sé un’idea ispiratrice di sacralità. Una nostra proiezione, sicuramente, comunque buona ad accendere le strade della mia fantasia. Non so se oggi ho trovato qui quello che immaginavo, pochi compagni si pronunciano perché ognuno ha quasi paura di tradire con la parola la sua immaginazione cresciuta all’ascolto di decenni di lettura di brani evangelici. E i simboli, anche per come ci si rappresentano, non vanno mai traditi. Si sa. La mia attenzione si posa qualche passo più avanti su qualcosa poco più grande di un pugnetto marron-verde. E’ una pietra di origine desertica detta “rosa di Jerico”, o anche “pianta della resurrezione” con la caratteristica di chiudersi a riccio, di addormentarsi e di sverdire per sopravvivere quando qui, molto spesso, per fattori meteorologici manca l’acqua, ma poi si riapre e rinverdisce puntualmente, ci spiega la guida, quando torna a contatto con qualche goccia di pioggia. Il suo adattamento estremo alla sopravvivenza in ambienti aridi le consente di vivere così senz’acqua e anche senza terra per anni. La pianta sembra morire di continuo ma in realtà, a contrasto della morte e per attaccamento alla vita, si rifugia in uno stato acquiescente pronta a svegliarsi e a rivivere, in un seguente ciclo perpetuo di alternanze. Si secca e poi torna a rinvigorirsi, a rinverdirsi vellutandosi in varie tonalità di verde non appena si umidifica. E l’intensità del colore verde della pianta ripresasi dipende direttamente dal grado di umidità dell’aria. Più l’aria è umida, più la pianta si riprende e diventa florida. Questo misero mucchietto di foglie marroni, secche, che si presenta come un piccolo pugno chiuso e vuoto, apparentemente senza vita per far meglio fronte alla siccità del deserto, lo vedi aprirsi e rivivere cambiando rapidamente colore, riprendere il verde della vita, non appena è toccato dalla lacrima di una rara nuvola o viene lambito dall’umidità della notte o da quella portata dal vento delle stagioni di mezzo. La rosa di Jericho, una grande speranza nella sua resilienza che mi richiama quell’idea spirituale d’immortalità cui ogni uomo sembra aspirare. © 505 – Sergio Andreatta – Riproduzione vietata.