15th Dic, 2010

Sergio Andreatta, Attualità pedagogica del presepe

509. L’attualità pedagogica del presepe

L’importanza per un buono sviluppo della personalità della quinta emotiva e dell’atmosfera calda. Il Natale, in cui il senso sociologico sembra ormai prevalere su quello  teologico, è l’ occasione più propizia per lo sviluppo delle competenze socio-emotive di un bambino (SEL).

 di  Sergio Andreatta

C’è un mito che, aggredito dai media, va scolorando anno dopo anno, è quello del Natale percepito non più tanto come fenomeno religioso quanto come evento sociologico. Si è perso rapidamente un pò di senso teologico. L’icona della madre con il figlioletto in braccio ha messo al centro della scena la dignità della donna e del bambino. Di qualunque donna, di qualunque bambino. Eppure il Bambino di Betlem per i ragazzi delle nostre scuole primarie e dell’infanzia non ha ancora perso niente del suo fascino.  Nelle aule di questi tempi c’è un gran lavorio di bambini, c’è più tensione a manipolare, a realizzare creativamente, se non artisticamente, sotto la sapiente regia dell’insegnante. Più attività e partecipazione nell’allestimento – in tantissime varianti – del presepio qui, in questi laboratori del fare, che non intorno alle stesse parrocchie. Più frequenza nei canti corali, più attenzione alle rappresentazioni teatrali, chiamate troppo sbrigativamente “recite”. Ma da un po’ di tempo la proposta didattica del presepe, cioè se allestirlo o non allestirlo in classe, è stata trasformata da qualcuno in un problema finto-culturale. Da un lato ci sono le varie, e spesso tra loro diverse, posizioni della rivendicazione laicista, atea, contestataria, alternativa o addirittura negazionista perché oppositiva al cristianesimo, dall’altro la voce della secolare tradizione italiana. Le prime poggiano, per le loro fondamenta migliori, su una condizione sociale di multingpot etnico, sul pluralismo culturale e religioso dell’ Italia attuale e principalmente sull’art. 3 della Costituzione repubblicana che proclama per tutti la pari “dignità sociale… senza distinzione di sesso, di razza, di lingua e di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. La seconda, senza negare valenza ad alcune delle prime, sul sentire religioso prevalente e maggiormente condiviso e in più su un’antica tradizione di costume religioso e artistico tipicamente italiana che non confligge e non minimalizza affatto l’articolo 3 della nostra Costituzione. La questione non è da poco e con essa si deve, volente o nolente, necessariamente confrontare la pedagogia della scuola italiana. E del resto la condizione antropologica-culturale di un paese, di cui  l’istituzione-scuola è parte ignificativa, non è immune da tutte queste molteplici influenze. Nel presepe, in realtà direbbe uno psicologo, l’attenzione o anche ogni semplice sguardo del bambino rapito si concentrerebbe soprattutto più che sulla semplice scenografia, nelle sue variabili e suggestive elaborazioni, sulla famiglia e sulla sua condizione esistenziale di ieri come di oggi. Le statuine diventano protagoniste dell’autoproiezione di un film naturale, dello psicodramma del bambino che guarda e partecipa diventando a sua volta protagonista, per condivisione, della stessa storia del divin bambino. Le emozioni sono ben presenti sul viso degli alunni delle scuole dell’infanzia e della primaria che, sostenuti dalla regia delle loro insegnanti e di qualche mamma rappresentante di classe, si indaffarano a preparare il plastico e la quinta di sfondo, posizionano con cura, dopo aver scelto dove, le statuine di dass o di pongo colorato fatte da loro stessi. Così le esperienze e via via le competenze sociali ed emotive accompagnano i bambini nella maturazione della loro personalità. Il presepe parla all’intelligenza emotiva del bambino, potrebbe dire Daniel Coleman (Intelligenza emotiva, 1995) perchè lo aiuta a comprendere le sue emozioni, a gestire i sentimenti, a riconoscere le emozioni sul volto degli altri, a strutturare relazioni positive, a sviluppare meglio la sua auto-motivazione e la sua capacità di prendere decisioni responsabili. Insomma il presepe è una preziosa occasione per far camminare insieme in un percorso di scoperta il pensiero e le emozioni, per farli operare in utile connessione tra loro. E così un po’ alla volta ecco che il tutto, secondo i vari stili e le varie tecniche seguite, si compone aggiungendo il suo ultimo tassello ad una tradizione che risale al lontano 1223. Il presepe è pronto. Ma sacre rappresentazioni sulla natività da proporre a fini pedagogici al popolo cristiano non alfabetizzato si tenevano intorno alle chiese e sulle piazze delle città italiane fin dal IX secolo. E proprio a questa tradizione liturgica antica sembra abbia voluto ispirarsi S. Francesco d’Assisi quando, a Greccio oggi in provincia di Rieti, la notte del 24 dicembre del 1223, volle ricreare lo stesso clima caldo di partecipazione per il popolo di quella valle “santa”. San Bonaventura ci fornisce una descrizione dell’episodio nella Legenda Maior: Francesco aveva ordinato di portare in una grotta del fieno insieme con un bue ed un asino. La notte di quella vigilia tutta la popolazione  reatina accorse incuriosita ed emozionata nella caverna insieme con i frati, mentre tutto il bosco risuonava di voci  che si muovevano e luceva del richiamo di tante torce che tremolavano nell’oscurità. E in quella grotta alcuni paesani rappresentavano il classico quadro evangelico mentre davanti e intorno già risuonavano laudi e preghiere. S. Francesco viene descritto “…davanti alla mangiatoia ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia”. Si può rivivere questo episodio nella Basilica Superiore di Assisi, appena restaurata dopo il terremoto del 1997, dove si può ammirare il noto affresco di Giotto “Presepio di Greccio” (1296 – 1300). Tanti altri grandissimi pittori e artisti di tutti i tempi si sono cimentati sul soggetto della natività. Lo stesso Giotto con un’altra “Natività” nella Cappella degli Scrovegni a Padova.  Quanti musicisti hanno composto, spesso traendo ispirazione dalla stessa tradizione popolare, celebri ninne-nanne e brani famosissimi. La tradizione del presepe, dopo quell’anteprima del Poverello raggiunse l’apice nella Napoli del ‘700 e si diffuse e permane ancora in tutta la Penisola tornando ogni anno a suscitare in molte case e anche in noi, che non siamo più bambini, i migliori sentimenti della nostra infanzia. Il bisogno di famiglia, di pace, di amore, di accoglienza del fragile e del diverso che il presepio trasmette non conosce  tramonti. E questo uso e costume tipicamente italiano non credo possa conoscere impedimenti e trovare ostacoli nel fatto antropo-sociologico di una eventuale famiglia allargata in cui un bambino potrebbe trovarsi a vivere  né limiti nella diversa percezione familiare, convinta o di moda, di qualcuno tra i tanti. Oggi a Greccio è possibile visitare la Mostra permanente dei Presepi spediti da tutto il mondo e perfino la Mostra dei “presepi virtuali”, pubblicati on-line, di cui rimane come traccia una fotografia. A questo che è diventato anche un concorso il IV Circolo didattico di Latina, da me diretto, ha voluto partecipare per due anni di seguito, con le Scuole primarie G. Mazzini di Borgo San Michele e C. Goldoni di Latina, riuscendo a vincere anche il premio. Ma sono spesso i grandi con passione e gli artisti che si impegnano in stupende realizzazioni presepiali. Così in un piccolo, ma non ultimo, villaggio del Parco Nazionale d’Abruzzo, a Picinisco sul versante laziale, che nella sua parte medioevale si presenta esso stesso al visitatore come un presepe, ho già assistito domenica scorsa all’esposizione dei presepi di Alessio Mancini da Sabaudia (originali le sue scenografie di sughero) e di quello classico “napoletano”, negli ex locali della Pro Loco, dell’apprezzata creativa (scenografa e costumista) arch. Maruccia De Simone. © – Sergio AndreattaRiproduzione riservata.

 

 

Greccio

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