31st Dic, 2010

Latina, un Museo per modo di dire.

Latina, un Museo per modo di dire.

Il Cambellotti mal gestito e spesso chiuso.

(517) di Sergio Andreatta

E’ stato scritto che l’apertura del Museo dedicato all’opera di Duilio Cambellotti (Roma, 14 maggio 1876Roma, 30 gennaio 1960) in Piazza S. Marco rappresentava, per la città di Latina, l’evento culturale più significativo dell’ultimo decennio. L’inaugurazione era giunta a conclusione di un lungo e meticoloso lavoro di restauro dell’edificio, progettato da Oriolo Frezzotti e destinato in origine ad ospitare l’Opera Nazionale Balilla, e del progetto dell’allestimento la cui impostazione si è voluta rifare a modelli e temi ricorrenti nella produzione dell’Artista, avendo cura di combinare l’esigenza espositiva al richiamo dei sui più noti stilemi. L’apertura di due anni fa era stata anche preceduta da alcune iniziative culturali, promosse per il Comune di Latina dall’ass. alla cultura arch. Patrizia Fanti. Un po’ di movimento, insomma, per attrarre l’attenzione sul territorio pontino al tempo della bonifica e alla fondazione. Città nuova, di fondazione, senza mura con la consapevolezza di poter aspirare ad una nuova collocazione nello scenario culturale nazionale con la valorizzazione di un fondo documentale esistente, era stato questo il motivo della realizzazione del Museo dedicato all’opera di Duilio Cambellotti nel territorio pontino. Cambellotti aveva ritrovato nelle radici contadine la genuinità di un mondo che già la civiltà sua contemporanea andava dimenticando, ma allo stesso tempo egli era anche cosciente dell’arretratezza, delle fatiche, della miseria che troppo spesso caratterizzavano il mondo dei guitti di palude. Così come animato da un sacro fuoco, condiviso da Alessandro Marcucci, Giovanni Cena, Giacomo Balla, la scrittrice Sibilla Aleramo ed altri intellettuali romani, diede con loro inizio alle sue redentive battaglie socio-politiche e si votò alla riqualificazione dell’agro Romano e delle paludi Pontine, fondando nel 1905 le prime scuole per i contadini proprio ai margini delle millenarie paludi laziali e poi andando ad affrescare quella di Casal delle Palme, lungo la Via Appia, voluta da Giovanni Cena. Con il mondo contadino strinse subito forti legami e i temi d’origine rurale (come la famosa spiga di grano) divennero ricorrenti in tutto il suo percorso artistico. Già in occasione dell’Esposizione Internazionale del 1911, aveva organizzato la Mostra delle Scuole dell’Agro Romano (l’aspetto etnografico era curato da Cena). Ora con questa apertura museale il Comune di Latina disegnava una riappropriazione della storia ed insieme l’aspirazione della città pontina a candidarsi a polo di riferimento nazionale per l’arte moderna e contemporanea, magari suscitando l’interesse degli studiosi che intendevano approfondire l’eclettica e multiforme opera del Cambellotti pittore, incisore, scenografo, architetto, decoratore, arredatore, designer, cartellonista pubblicitario, scultore, ceramista e illustratore italiano, protagonista dell’arte della prima metà del ‘900. La collezione artistica del Museo si riconnetteva, ovviamente, alle grandi opere che il maestro aveva lasciato nei principali palazzi della città come il ciclo pittorico al Palazzo del Governo in Piazza della Libertà (anche recentemente foto-riprodotto in copertina di “Canale Mussolini” da Antonio Pennacchi) e le sculture del Palazzo di Giustizia sino all’ideale percorso di alcune opere in altre città nuove della provincia. L’apertura del Museo, nelle iniziali intenzioni operazione prestigiosa per Latina, era stata possibile grazie alla disponibilità dei figli e dei nipoti dell’Artista e all’impegno dell’ex sindaco sen. Ajmone Finestra e del sindaco on. le Vincenzo Zaccheo. Purtroppo a quelle autoreferenziali note, consentibili solo nel momento dell’enfasi per il taglio del nastro, sono seguite trascuratezze di ogni genere e precarietà nell’attenzione amministrativa e carenza di risorse per cui anche quest’opera sembra diventata oggi, dopo solo due anni, più che altro un contenitore culturale generico o un Museo morto, più che frequentemente solo chiuso. © – Sergio AndreattaRiproduzione riservata: segue II

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