Ora è tutto chiaro, si andrà a votare per le elezioni politiche il 13 e 14 aprile prossimo.
Rimane in piedi l’ipotesi dell’election day, come vorrebbe il Presidente del Consiglio se non altro per un consistente risparmio per l’erario, con associazione alla stessa tornata anche delle elezioni amministrative.
Il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha dovuto prender atto della permanente indisposizione della CdL per un governo istituzionale “a tempo” di riforma elettorale e, richiamandosi agli artt. 88 e 61 della Costituzione, ha sciolto le Camere e indetto le elezioni.
Subito il Consiglio dei Ministri, che aveva già stabilito la data del referendum, ha provveduto a fissare per aprile quella delle elezioni per il rinnovo dei membri del Parlamento.
Silvio Berlusconi, convintissimo di vincere, dopo che era già riuscito ad attrarre a sé in qualche modo alcune ondivaghe forze minori, è stato sempre sulla posizione del “dialogo dopo”.
Walter Veltroni, d’altro canto, per rimanere soltanto ai due duellanti maggiori, non aveva rinunciato a priori ad una riforma elettorale parlando sempre di “occasione mancata” ma aggiungendo:”Possiamo farcela“…
E benché i pronostici non sembrino essere, ora, dalla sua parte con piena fiducia nei suoi mezzi afferma:“Yes we can. Possiamo farcela. Le ultime elezioni hanno sempre sfatato i pronostici. In quest’anno e mezzo abbiamo ben operato, raggiunto risultati importanti. … Il porcellum ci ha messo in crisi”.
Ecco, allora, arrivare le nuove elezioni, purtroppo, col sistema vigente che autorizza le segreterie nazionali alla presentazione del kit dei loro candidati, “a scatola chiusa”, spesso senza passare per una previa consultazione dei collegi.
Quanto poco rispetto, viene da pensare, per i cittadini e per il territorio, specie della periferia, del Paese!
Ecco i cittadini comuni, che avevano protestato in massa aderendo all’idea del referendum di Giovanni Guzzetta e Mario Segni, vedersi ancora una volta ingessati i loro diritti di partecipazione.
Elezione come rito inutile, sembrerebbe, senza scelta meritocratica e fiduciaria per i candidati e con riproposizione degli stessi rischi numerici e di frammentazione già registrati al Senato.
In quanto al novero dei partitini, i cosiddetti cespugli, che all’occasione si riparano all’ombra dei grandi alberi per una coalizione meramente sincretica e di scopo, non abbiamo ancora finito, credo, di vederne le evoluzioni. Riuscirà la “cosa o rosa bianca” al centro? Riusciranno le molte istanze a sinistra ad unirsi nella “cosa rossa“? E a riflettere sul fallimento della legislatura? Cosa farà la “cosa nera” a destra?
Ma Walter Veltroni è alfiere di molte ragioni quando dice: “Il PD deve correre da solo”. Di almeno due di fondo, secondo me, oltre l’innovazione e la semplificazione del quadro politico che si imporrà di per sè.
La prima ragione punta a rafforzare, senza altre contaminazione, l’identità di movimento e di partito del PD con tutte le novità che include; la seconda vuole far chiarezza dei tanti alleati piccoli, tignosi e ingombranti della stessa sinistra, oltre l’inaffidabile centro di Dini e Mastella, che hanno condizionato, e pesantemente, i passi del governo Prodi portandolo al suo progressivo logoramento interno con conflitti mossi per ragion di egida, per “lo meo particulare” salvo dire di sostenerlo poi fedelmente verso la fine, per la sola incombente e unitaria paura di soccombere anzitempo a Silvio Berlusconi. Sforzo tardivo e vano! Avessero smussato, prima, le loro incomprensibili spigolosità certi personaggi in cerca d’autore, non avessero suonato sempre la fastidiosa monocorda della differenza litigiosa, mascherata e giustificata da pluralismo democratico, bombardato per ricerca di una superiore visibilità la linea di governo di cui pure il PDCI era parte sostanziale, anche nel mosaico e con quella risicata maggioranza al Senato il centrosinistra avrebbe potuto continuare a governare e a fare il bene dell’Italia fino alla scadenza naturale della legislatura. E invece…Ora Fausto Bertinotti, provando a rilanciarsi in qualche modo sullo slogan significativo di Obama, già ripreso e fatto proprio da Veltroni, prova anche lui a dire: “Yes we can“. Possiamo farcela! Non è mai troppo tardi, s’intende, ma se tale indicativo segnale l’avesse colto qualche mese addietro, uniformandosi nella pratica oltre che ora nella parola, le cose di governo avrebbero potuto prendere una piega ben diversa.
Bravo, quindi, W.Valter con la sua scelta “chiara e univoca“, seppure non lascerà nulla d’intentato per guardarsi intono: meglio un’onorevole e onesta sconfitta se dovesse arrivare, ma io spero non sia così, che una vittoria di Pirro che lo vedrebbe come Romano Prodi, ostaggio di qualche protervo alleato e logorato dalla gestione dei conflitti. In quanto a S.Berlusconi, di fronte a tanto eterogenei e chiassosi alleati, non sarà anche lui tentato dal presentare coraggiosamente una sua lista unitaria? Se ciò accadesse sarebbe accaduto una cosa, davvero, molto importante nel panorama politico italiano. Sergio Andreatta