6th Mar, 2007

Valentin Timofte, la tomba del pittore rumeno

di Sergio Andreatta

L’arte pittorica del grande Valentin Timofte ha esordito in Italia nel dubbio ma è terminata con il mito che forse anch’io con i miei articoli e con le mie iniziative ho concorso a creare.
La persona, il pittore rumeno, grande esule politico della Bucarest di Ceaucescu, era molto umile, da sollecitare spontaneamente le tue cure, ma pure fortemente consapevole del suo genio creativo.
Di queste ondate di rumeni che approdavano al Rossi-Longhi, il Campo profughi di Latina degli anni ’80, si può dire tutto e il contrario di tutto.
Ma se ora, nel 2007, è la miseria e la ricerca di fortuna che spinge i rumeni, neo-comunitari europei, verso il nostro paese era, allora, di più un anelito di libertà, una rincorsa di slanci idealistici il vero motore.
Molti dei pensieri ricorrenti di Valentin Timofte li riscontro, così, ne “La caduta del tempo” il libro del filosofo, suo connazionale, Emile Cioran vissuto a lungo a Parigi e morto vecchio nel 1995, dieci anni prima di lui.
Si coglieva quasi sempre in Timofte un senso di lieve ebbrezza e di vertigine che ti accompagnava, dovunque tu fossi con lui, durante le sue riflessioni sulla pittura o ti avvolgeva col sottofondo della sua musica scelta e ispiratrice.
In lui c’era sempre una felice ed insanabile divaricazione tra la vita vissuta, tra la realtà di dover sbarcare il lunario e la fantasia creatrice, tra il limite dei giorni e i sogni della notte. “Perché vedi, Sergio, mi diceva…”.
Quella notte che coglieva i respiri di tutti i suoi fantasmi, di tutti gli dei bizantini.
Per Timofte questa notte dei sogni non era meno reale del giorno in cui, anche spietatamente a volte, si metteva di fronte a se stesso.
Elusivo lui non era mai se non nell’arte di fronte ad un allievo che non prometteva nulla di buono, ad un pittore che non valeva niente malgrado il successo effimero del mercato e la sua elusività era da interpretare unicamente come un segno di delicatezza, un benevolo gesto per non voler incidere con una graffiante critica, per non ferire la personalità dell’altro.
Ma con la sua arte pittorica e scultorea no, per essa c’era sempre l’approccio frontale con cui confrontarsi.
Come il Cioran che scrive:”Non siamo realmente noi se non quando, mettendoci di fronte a noi stessi, non coincidiamo con niente, nemmeno con la nostra singolarità”.
E la sua tela era uno specchio, uno sfrenato ghirigori tra labirinti da esplorare con l’unico filo di Arianna del colore nel gusto di un alba orientale, senza forzate coincidenze. Un annullarsi in una ricerca…
Mi è venuto di dirti questo ‘sta sera, ed era un po’ che non ci parlavamo, amico Valentin, prima del casuale incontro di oggi promosso dal volo radente di una colomba.
E’ vero la realtà riserva sempre sorprese più grandi di quanto possa far immaginare una nutrita fantasia…
Un pomeriggio, oggi, al Cimitero di Latina per il funerale di Leo, un forestale umile come te che ha lasciato in dono i suoi occhi ad un altro.
Sto sostando nelle vicinanze del piazzale della chiesa quando il rumore fendente e improvviso di un volo sul mio capo, mi fa sobbalzare.
Mi giro in cerca di una spiegazione.
La colomba grigia ha appena chiuso le sue ali e mi guarda fissa.
Il suo planare è terminato sopra una particolare croce di legno.
Io porto sempre in tasca una piccola digitale e l’impulso potente che mi è venuto è stato subito quello di fermare l’attimo, di fotografarlo con quel volatile prima che potesse volare via.
Ma quella colomba, no, non vuole scappare e lo zoom mi restituisce via via dall’indefinizione il nome, o meglio la firma, dell’ospite di quella povera tomba.
Sorprendentemente la firma di Valentin Timofte…
Oh, ritrovato amico!
Io che avevo disertato il tuo funerale, per la regia di una marcia su Latina contro l’installazione di un termoinceneritore in Valle d’Astura, io che dovevo parlare davanti a cinquemila persone dal palco installato in Piazza del Popolo, non avevo potuto assistere alle tue esequie ma ora inconsapevolmente ti ho ritrovato questo pomeriggio grazie alle ali di un colombo. Occhi e pittura non stranamente legate insieme…
Ho interpretato l’accaduto nell’unico modo possibile, come un messaggio non-verbale, quasi un tuo volermi dire:”Non ti scordar di me!”.
No, non mancherò, grande amico, di portarti quel fiore che adornava sempre il balcone e profumava la tua piccola casa di Via Garibaldi. Non dimenticherò di proporti qualche verso.

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