14th Feb, 2008

Il bullismo come risposta

Le forme di bullismo vanno combattute in ogni situazione educativa. Occorre che assumano un atteggiamento chiaro e diretto non soltanto gli insegnanti ma soprattutto i genitori.

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No, non voglio fare qui, pur essendo per formazione uno psico-pedagogista con qualche libro edito, il teorico sul bullismo in classe, sul bullismo precoce, sul bullismo al femminile che, pure, monta a ritmi vertiginosi ormai in tutte le scuole di stato. Non voglio farlo. Sarebbe fin troppo facile coinvolgere alcuni genitori nella questione, come responsabili nella determinazione dei comportamenti irresponsabili dei loro figli. Noi conosciamo le dinamiche dello sviluppo emotivo e gli stadi dello sviluppo razionale di una personalità, conosciamo dal punto di vista sociologico e sociometrico i contesti familiari nella loro valenza di cura educativa ma anche nella loro carenza. Conosciamo e apprezziamo le qualità di molti genitori ma anche le deficienze educative di molti altri. Sarebbe troppo facile e sbrigativo concludere che i genitori non sanno più dire e imporre “i no che aiutano a crescere” ai loro figli… No molto necessari. Che gli stessi, quando non se ne servono solo per il  concorso al bilancio familiare che sa dare una pensione di anzianità, si comportano abbastanza male, nel loro egoismo, perfino con i propri genitori ormai anziani e spesso bisognosi di attenzioni. Una ricerca di questi giorni, condotta con il contributo di 1000 badanti che si sono prestate all’intervista, dimostra inconfutabilmente dall’interno delle nostre case e conferma che i nostri ragazzi sono i più maleducati, se non del mondo, certamente d’Europa; che i genitori non li sanno educare e che si comporterebbero male anche con i rispettivi propri genitori. Li caratterizzerebbe un’oscillazione comportamentale continua tra lassismo e iperprotettività, un abito tra l’egoistico e l’arrogante. Genitori sbagliati, insomma, questo lo sconfortante panorama familiare italiano. Certo il mestiere di genitore è impegnativo ed è anche improbabile che qualcuno te lo possa facilmente insegnare. Lo devi imparare da solo, un po’ al giorno con molta fatica, per tentativi ed errori, col problem solving educativo per cui cerchi di risolvere la precarietà delle situazioni al meglio delle tue possibilità culturali e affettivo-relazionali. Questa mattina sono entrato, ancora una volta, in una classe V della primaria del Circolo didattico che dirigo. Una classe particolare dove regna una sorta di indisciplina diffusa. Dopo quattro anni una delle ins.ti migliori e più professionalizzate del Circolo, senza far torto alle altre, ha abbandonato alla fine della quarta questi alunni al loro destino chiedendo il trasferimento. E’ stato uno shock per i loro genitori che avevano tanto brigato in prima per poter entrare in quella classe ritenuta di figli di vip, con quella maestra di alta qualità. Troppo sbagliato e anche troppo comodo per esorcizzare i propri limiti senza quella garanzia di corrispondenza educativa con la scuola che si rende sempre necessaria. Non so ancora se quel messaggio importante di distacco sia riuscito a comunicare qualcosa a qualcuno. Non mi sembra. Nove casi di bullismo in sette giorni, tra le quinte e le quarte ex-elementari, tra i maschi e tra le femmine. Mai successo prima. Che cosa sta accadendo, allora, che non avessimo previsto già dieci anni fa quando abbiamo impostato il primo Piano dell’Offerta Formativa sulla significatività del motto “Per Regola e Progetto”? Avevamo inteso collocare, già allora, le dinamiche della crescita personale in una coerente progettualità ma anche in un contesto di forte legalità, quella legalità che oggi sembra sfuggirci. Che cosa sta accadendo alle famiglie?

Sergio Andreatta, dirigente scolastico, autore del saggio ”Bambini una volta”.

Commenti

re: Bullismo a scuola

Da diverso tempo anche in Italia il fenomeno del bullismo viene riconosciuto come uno spiacevole aspetto della vita scolastica. E’ opportuno però fare una chiarificazione terminologica: bullismo è la traduzione letterale della parola inglese “bulling” che ha un significato un po’ diverso rispetto all’accezione italiana. Tradizionalmente, nel nostro Paese viene considerato “bullo” un individuo dotato di molto esibizionismo, piuttosto sbruffone, che ama fare il gradasso e che spesso tende a prevaricare, senza mai però raggiungere quelle caratteristiche di cattiveria e di sadismo che invece sono tipici del fenomeno del bullismo così come viene spesso osservato in ambito scolastico. E’ quindi da considerare impropria la traduzione del termine “bulling” con bullismo, anche se ormai tale errata traduzione è ampiamente diffusa nel nostro Paese.

re: Bullismo a scuola

Comunque lo si definisca, lo si rileva molto bene questo fenomeno di turbolenta arroganza, di prevaricazione della dignità e dei diritti degli altri. Lo si vede già nei piccoli prima esenti. In quella V elementare c’è una bambina che saluta col saluto fascista, un suo compagno (tra l’altro già oggetto di lettera di richiamo) che porta il tatuaggio della svastica in bella mostra sul dorso della mano. E della shoah, in memoria soltanto pochi giorni, nessuno sembra saperne nulla, eppure l’insegnante ne ha parlato. Non è un segnale gravemente indicativo, questo?

“La verità nessun uomo la conosce, … il massimo traguardo è l’opinione”, Senofane, VI sec. a.C.

Sono sostanzialmente d’accordo. Ne vogliamo parlare durante il Seminario di Fiuggi e ne facciamo oggetto di un gruppo di lavoro dal titolo stupido ma essenziale: le regole, che le scriviamo a fare se nessuno le applica e se chi le applica viene sanzionato?

Potremmo già parlarne durante il prossimo incontro con i gruppi dei presidi che riprenderò la prossima settimana.

Raffaele Sanzo
direttore generale USR del Lazio

Sì, Direttore Sanzo, parliamone intanto tra noi rappresentanti legali delle istituzioni scolastiche. Confrontiamoci a Fiuggi, ipotizziamo e troviamo le soluzioni. Quello che dice è molto importante. Non possiamo restare inerti… E non possono non coinvolgersi debitamente le famiglie. E’ impensabile che non si possa far nulla. A 60 anni, con 40 di servizio e quasi 30 di direzione, quindi una vita impegnata per la scuola, io non voglio andar in pensione alzando le mani in segno di resa. Mai! Uno psicopedagogista come me intravede sempre margini di recupero educativo. (E grazie del feed-back).
Sergio Andreatta
dirigente scolastico LTEE004006

Se anche Benedetto XVI ieri in Piazza S.Pietro, di fronte a 20.000 persone, studenti, genitori e insegnanti delle scuole cattoliche, ha ritenuto di dover parlare di “emergenza educativa” vuol dire che la questione non è soltanto attualissima ma anche, per qualche verso, grave.

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