Le forme di bullismo vanno combattute in ogni situazione educativa. Occorre che assumano un atteggiamento chiaro e diretto non soltanto gli insegnanti ma soprattutto i genitori.
No, non voglio fare qui, pur essendo per formazione uno psico-pedagogista con qualche libro edito, il teorico sul bullismo in classe, sul bullismo precoce, sul bullismo al femminile che, pure, monta a ritmi vertiginosi ormai in tutte le scuole di stato. Non voglio farlo. Sarebbe fin troppo facile coinvolgere alcuni genitori nella questione, come responsabili nella determinazione dei comportamenti irresponsabili dei loro figli. Noi conosciamo le dinamiche dello sviluppo emotivo e gli stadi dello sviluppo razionale di una personalità, conosciamo dal punto di vista sociologico e sociometrico i contesti familiari nella loro valenza di cura educativa ma anche nella loro carenza. Conosciamo e apprezziamo le qualità di molti genitori ma anche le deficienze educative di molti altri. Sarebbe troppo facile e sbrigativo concludere che i genitori non sanno più dire e imporre “i no che aiutano a crescere” ai loro figli… No molto necessari. Che gli stessi, quando non se ne servono solo per il concorso al bilancio familiare che sa dare una pensione di anzianità, si comportano abbastanza male, nel loro egoismo, perfino con i propri genitori ormai anziani e spesso bisognosi di attenzioni. Una ricerca di questi giorni, condotta con il contributo di 1000 badanti che si sono prestate all’intervista, dimostra inconfutabilmente dall’interno delle nostre case e conferma che i nostri ragazzi sono i più maleducati, se non del mondo, certamente d’Europa; che i genitori non li sanno educare e che si comporterebbero male anche con i rispettivi propri genitori. Li caratterizzerebbe un’oscillazione comportamentale continua tra lassismo e iperprotettività, un abito tra l’egoistico e l’arrogante. Genitori sbagliati, insomma, questo lo sconfortante panorama familiare italiano. Certo il mestiere di genitore è impegnativo ed è anche improbabile che qualcuno te lo possa facilmente insegnare. Lo devi imparare da solo, un po’ al giorno con molta fatica, per tentativi ed errori, col problem solving educativo per cui cerchi di risolvere la precarietà delle situazioni al meglio delle tue possibilità culturali e affettivo-relazionali. Questa mattina sono entrato, ancora una volta, in una classe V della primaria del Circolo didattico che dirigo. Una classe particolare dove regna una sorta di indisciplina diffusa. Dopo quattro anni una delle ins.ti migliori e più professionalizzate del Circolo, senza far torto alle altre, ha abbandonato alla fine della quarta questi alunni al loro destino chiedendo il trasferimento. E’ stato uno shock per i loro genitori che avevano tanto brigato in prima per poter entrare in quella classe ritenuta di figli di vip, con quella maestra di alta qualità. Troppo sbagliato e anche troppo comodo per esorcizzare i propri limiti senza quella garanzia di corrispondenza educativa con la scuola che si rende sempre necessaria. Non so ancora se quel messaggio importante di distacco sia riuscito a comunicare qualcosa a qualcuno. Non mi sembra. Nove casi di bullismo in sette giorni, tra le quinte e le quarte ex-elementari, tra i maschi e tra le femmine. Mai successo prima. Che cosa sta accadendo, allora, che non avessimo previsto già dieci anni fa quando abbiamo impostato il primo Piano dell’Offerta Formativa sulla significatività del motto “Per Regola e Progetto”? Avevamo inteso collocare, già allora, le dinamiche della crescita personale in una coerente progettualità ma anche in un contesto di forte legalità, quella legalità che oggi sembra sfuggirci. Che cosa sta accadendo alle famiglie?
Sergio Andreatta, dirigente scolastico, autore del saggio ”Bambini una volta”.