5th Mar, 2011

A difesa della scuola pubblica

Nella scuola pubblica italiana si apprendono e si vivono i valori di una società plurale e in cambiamento, si cresce liberi, consapevoli e pensanti. Ma se anche Berlusconi ora attacca gli insegnanti… non resta che mobilitarsi  in difesa della Costituzione e della istruzione pubblica.

(531) di  Sergio Andreatta

La frase di Silvio Berlusconi contro “la scuola di Stato dove ci sono insegnanti che vogliono inculcare negli alunni principi contrari a quelli che i genitori vogliono inculcare ai propri figli”, ha sorpreso, sconcertato e desolato, anche per l’acido tono usato, molti italiani non soltanto appartenenti all’ambito professionale cui è stata indirizzata. E seppure le stesse parole in qualche modo sottoscrivano l’esistenza di un’innegabile crisi educativa presente nel Paese – a chi imputabile è da vedere – esse sono sembrate a molti cittadini insensate e ingenerose verso la scuola pubblica italiana, un attacco alla sua laicità e al suo tradizionale e provato spirito di servizio. Esse potrebbero costituire un pregiudizio grave da parte di chi dovrebbe rappresentare lo Stato e il pubblico interesse; quasi un immotivato favore alla scuola privata cui potrebbero essere dirette ulteriori risorse (sotto forma di bonus alle famiglie), sottratte alla scuola pubblica, in cambio di voti. La deriva in favore della scuola privata sarebbe in realtà sostenuta da uno scandaloso circolo vizioso, da compiacenze, altalenanti lusinghe e captatio benevolentiae, parole di nutrimento, chissà, per un futuro voto di scambio in prossime campagne elettorali. E allora non possiamo non ricordarci del famoso discorso a difesa della scuola nazionale di Piero Calamandrei (Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a Difesa della Scuola Nazionale, Roma 11 febbraio 1950). Senza considerare che pubbliche sono da considerarsi, per consolidata giurisprudenza, tutte le scuole in qualche modo finanziate dallo Stato, comprese le divenute paritarie ex parificate o soltanto private. Tutte, infatti, sono istituzioni pubbliche, al servizio dei cittadini liberi di sceglierle. Ma il presidente del Consiglio, uno dei massimi e più qualificati rappresentanti dello Stato, è sembrato sorprendentemente disconoscere le parti in specie della nostra Costituzione. “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione (art. 33) ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Nei confronti delle scuole non statali (ma non per questo meno pubbliche, ripetiamo), “la legge nel fissare i diritti e gli obblighi… deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”. Quindi la piena libertà già assicurata dalla Costituzione alle scuole non statali dovrebbe essere, per l’attuale presidente del Consiglio, assurdamente negata alle scuole statali? Libertà da negare, forse, ai docenti (attori protagonisti della scuola)   non filogovernativi o, idealmente, non abbastanza compiacenti con i genitori in gran massa suoi elettori? Libertà da negare a chi non “inculchi” gli stessi valori e le stesse idee. Anche bruttissima in sè questa metafora del docente-inculcatore per il richiamo all’idea pedagogica superata di un Quintiliano e del suo vaso che da duemila anni si tenterebbe, invano, di riempire. “Inculcare” è il termine infelice usato dal presidente del Consiglio Berlusconi in occasione del suo incontro-comizio con i Cristiano riformisti. Ma inculcare (dal lat. in-culcare/in-calcare)  è un termine che sta per imprimere profondamente e quasi con forza nell’animo altrui quasi da con-vertire con una perseverante – e poco psicologica – opera di persuasione. I docenti in barba ad una sostanziale pluralità di pensiero e alla loro autonomia di metodo, dovrebbero, quindi, conformarsi al pensiero dominante  anziché educare alla criticità e all’indipendenza di giudizio? Dovrebbero subordinarsi alle abitudini maggioritarie dei genitori, anche se “genitori sbagliati”, come direbbe A. Berge, perché lassisti e iperprotettivi nella loro incerta e precaria, se non inesistente, valenza educativa? Ma la scuola pubblica che è laica, e non confessionale, ha una sua precisa mission che è quella di educare e far crescere persone libere, consapevoli e pensanti mentre molti degli stessi genitori, più che i docenti, insieme con una miscela micidiale di concause come l’influenza condizionante dei media, dei social network del gruppo di pari della strada, delle mode sono dentro gli scenari-origine dell’attuale emergenza educativa. Docenti (sono più di 800mila in Italia) sempre più scomodi  e da lasciare, allora, nella loro solitudine di soli contro tutto e da tenere magari anche a morso con  stipendi mortificanti della loro dignità e svilenti la loro autorità. E come potrebbero migliorare la situazione e l’azione a contrasto della decadenza e a efficace decondizionamento degli input negativi le altre agenzie educative, tra cui si deve annoverare anche l’opera della stessa Chiesa? In quanto al riconoscere qualità educative alla politica di questi tempi sembrerebbe davvero paradossale. In questo contesto la scuola pubblica governa i processi dell’educazione e dell’istruzione per come può farlo, in molti casi anche con risultati d’eccellenza, ma sicuramente nel rispetto della Carta costituzionale che  consente due modelli d’istruzione alternativi ma non affatto concorrenziali, e ad esclusione, tra loro. E benché l’opzione sembri chiaramente programmata a favore della scuola di Stato e non viceversa, ogni cittadino è ben libero, per fortuna, di rivolgersi all’agenzia che riscuote maggiormente la sua fiducia. Certo se la scuola pubblica non venisse continuamente depotenziata da continui tagli di risorse (132mila posti in meno nel triennio) e mortificazioni morali probabilmente riuscirebbe meglio nel suo intento pur definito dai Programmi ministeriali (di cui il governo ha responsabilità diretta) ma anche nel rispetto della libertà d’insegnamento. Inaccettabile poi, se non addirittura più grave, il tentativo  del premier di emendare la sua prima affermazione aggiungendo quest’altra: “… bisogna riconoscere alle famiglie cattoliche che mandano i figli alla scuola pubblica il diritto a non vedere insegnati ai loro figli valori diversi da quelli in cui credono…”. Insomma per lui la pluralità e la multiculturalità non dovrebbero esistere nè la pari dignità di cui all’art. 3 della Costituzione? Non è un pò ghettizante quest’idea di educazione dove ognuno forma i suoi adepti senza “contaminazioni“? Forse che nella scuola pubblica, che è per sua natura laica e democratica, dovrebbero operare soltanto insegnanti di IRC e affini? Se  mi si parla , invece, non di principi ma di pratiche sarei d’accordo sul fatto che ci vorrebbe meno indifferenza sulla produttività di un insegnante. Non deve essere più così inverificabile l’operato di un insegnante. E se un insegnante non raggiungesse i traguardi prescritti sarebbe facile desumerlo anche dalle stesse prove INVALSI o da altre ancora da introdurre. Gli stessi dirigenti scolastici, che amministrano fino a un centinaio di persone tra docenti e ATA, sono qualificati e in grado – essi stessi monitorati – di valutarne ancor prima l’operatività nel loro contesto sociale e operativo.  Perché se sui valori personali e professionali la libertà non può essere assolutamente intaccata né barattata, se bisogna garantire libertà di metodo (e “tutto è raggiungibile dipende dal metodo”, scrisse J. Bruner), sui processi educativi e sui risultati dell’istruzione non ci devono essere troppe contrattazioni da fare né dilazioni da permettere. Ma non si lancino, neanche indirettamente, spot a favore di una regressione nostalgica ai tempi dell’era fascista quando si estromettevano dal sistema quanti, pur valenti nel loro magistero, non accettavano per motivi ideali o di religione, di sottoporsi al giuramento governativo.

 

  

 

 

 

 

 

 

 Sergio Andreatta è un educatore, uno psicopedagogista, il decano dei dirigenti scolastici italiani, uno che non accetta lezioni grossolane, neppure se date da un Berlusconi che non conosce la materia. Ognuno faccia il suo mestiere, senza invadere il campo altrui. Nel settore scolastico pubblico (anche se il Ministero non è più ormai della Pubblica istruzione) dove opero da 44 anni (primaria) la scuola italiana (per valutazioni internazionali attendibili dell’OCSE-PISA) è stata, e forse lo è ancora, all’avanguardia secondo analisi comparative con gli altri sistemi d’istruzione primaria del mondo. Perché, allora, con le ultime riforme (Moratti – Gelmini) questo settore scolastico è stato smontato, più che solo razionalizzato? Come fa, e su quali ragionate e dimostrabili argomentazioni, la collega Valentina Aprea, già sottosegretario al MIUR, a sostenere il contrario? Perché sono state drasticamente ridotte le risorse umane, professionali e finanziarie? Perchè è stato drasticamente ridotto il fondo per lo sviluppo dell’autonomia scolastica previsto dalla L.n. 440/’97? Infatti con il varo dell’autonomia scolastica – Legge delega n. 59 del 1997 e L.C. del 18 ottobre 2001, n. 3 – è stata riconosciuta all’istituzione scolastica l’autonomia, elevata a rango di dignità costituzionale.  Delle tre enfatizzate “I” propagandate solo pochi anni fa che cosa è ancora attuale? L’Inglese, l’Informatica, l’Imprenditoria? Già alle elementari l’inglese risulta ridotto in ore e qualità. Gli specialisti (spesso laureati in lingua inglese) saranno presto dirottati su posti comuni e la lingua straniera verrà insegnata da maestri ordinari infarinati da corsetti di appena 400 ore o meno. Per l’informatica ci si avvale di pochi computer obsoleti, spesso neanche collegati in rete perchè mancano i soldi per sostenere gli abbonamenti. Per l’imprenditoria… da essa non arriva neanche un’attenzione per qualche significativo progetto da sponsorizzare. Perché non è mai stata inaugurata una buona politica del merito, premiale per i tanti lodevoli docenti che lavorano nella scuola pubblica? Perché l’edilizia scolastica spesso non è certificata a norma, confortevole, moderna, dotata di palestre e di nuove tecnologie? Nella confusione si dimentica anche spesso che la questione educativa coinvolge eminentemente e assolutamente prima di tutto le famiglie e i valori praticati al suo interno e condivisi dai suoi membri. La questione dell’istruzione è più tecnicamente un appannaggio degli insegnanti. Ma come li ha influenzati e li influenza, questi valori su cui un adolescente si identifica, una volgare e battente TV commerciale? E pochi sanno che in questo pianeta delle dignità alla deriva alcuni genitori si rifiutano perfino di sottoscrivere lo stesso Patto di corresponsabilità educativa che sarebbe poi l’impegno e il tentativo di un progetto condiviso e sinergico tra famiglia e scuola. Eppure tutti conoscono gli artt. 30 e 33 della Costituzione. Il primo “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio“; il secondo “l’arte e la scienza sono liberi e libero ne è l’insegnamento“. Troppo inascoltabile e offensivo, quindi, l’intervento dalla tribuna del premier. L’attacco alla scuola pubblica, malgrado qualche tardivo e maldestro tentativo di rimedio per chiamata in causa del fraintendimento degli altri e non della propria errata esternazione, è venuto dopo quello alla magistratura e prima di quello al Quirinale. E se l’ordinamento sociale, nel famoso apologo di Menenio Agrippa (493 a. C.), è paragonabile al corpo umano dove tutte le parti sono tra loro connesse, se collaborano insieme sopravvivono, se litigano e discordano insieme periscono (…”discordia pereunt, concordia valent“).  Quindi con questi continui e pretestuosi attacchi alla Costituzione nella sua tripartizione dei poteri si corre il rischio di far perire lo Stato nel senso che se ne indebolisce il concetto nella coscienza dei cittadini, se ne mina l’autorità. Bruttissimi segnali (nel segno e nel significante), comunque, proprio nel 150° anniversario della proclamazione dello Stato unitario italiano (14.03.1861) e dell’esaltazione simbolica del tricolore nazionale che ci accingiamo a festeggiare solennemente il prossimo 17 marzo. © – Sergio Andreatta, Riproduzione riservata.

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