La deregulation educativa / di: Sergio Andreatta *
E’ comprensibile, ma fa lo stesso un certo effetto anche a noi tecnici della scuola, sentire oggi il concetto di “deregulation educativa” sulla bocca del card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI, dopo aver sentito Benedetto XVI dal balcone del Palazzo Apostolico preoccuparsi dell’“emergenza educativa” italiana e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano parlare di necessario “recupero di ruolo” da parte delle famiglie, ma anche degli educatori di professione, cioè eminentemente degli insegnanti. Questo stesso allarmante concetto, con questa stessa precisa definizione di “deregulation educativa”, io lo anticipavo già dieci anni fa illustrandolo davanti al Collegio dei Docenti, alle Assemblee dei genitori e all’interno dei miei articoli su “Scuola e Società” e in due saggi, tra cui nel libro “Bambini una volta”, precorrendo nella percepita diagnosi della sindrome i tempi che sarebbero poi divenuti, via via peggiori in una sorta di escalation simmetrica del declino pedagogico. Non si finisce mai di ripetere che i genitori più importanti e calibrati sul “progetto di vita” dei loro figli sono quelli autorevoli, quelli che sanno promuovere e favorire questo processo di identificazione nei loro cuccioli, non certo quelli che si rapportano soltanto come… i ludici compagni di giochi dei loro figli, quelli che non sanno mai pronunciare e coerentemente imporre loro quei “no che aiutano a crescere”. E gli insegnanti più bravi e incisivi, secondo una nota ricerca scientifica, risultano essere incontestabilmente quelli più severi, mai troppo amici; quelli che fanno percepire ai loro discenti tutto il peso e il valore della loro funzione pur nell’ “attimo fuggente”. Sono questi, è accertato, che riescono a spuntare poi i risultati migliori e più significativi. No, non voglio far venire sensi di colpa a nessuno, neanche a quei genitori del mio circolo didattico che, con rammarico, ho dovuto richiamare nei giorni scorsi a seguito di alcuni episodi di bullismo precoce cagionati in classe dai loro pargoli. Ma è, tuttavia, necessario che essi riflettano sul loro insostituibile ruolo e che capiscano che è diversa la funzione emotiva spesa in campo educativo da un genitore rispetto a quella professionale dell’insegnante più coinvolto nelle competenze preminenti dell’istruzione, sia pure in un clima di assicurato benessere psicofisico. E attenzione perché una “famiglia senza padri”, cioè una comunità domestica senza regole, si dimostra in realtà una famiglia “anaffettiva” cioè che non sa indispensabilmente proporre buona educazione alla relazione e alla convivenza civile. Genitori molto pericolosamente anaffettivi, invischiati nell’altalena dell’iperprotettività e del lassismo, tormentati dalla loro visione della vita tra blandizie e tendenze all’esorcismo capiscano che il no e il divieto hanno importanza fondamentale in certe tappe dello sviluppo della personalità infantile e adolescenziale. L’esaltazione dell’egocentrismo contiene in sè semi ambigui e pericolosi per il domani, tra cui i risvolti di una certa fragilità della psiche e l’indifferenza per gli altri e la legalità. Genitori ed educatori si interroghino, peraltro, su come possano essere o mantenersi efficacemente credibili oggi agli occhi di un ragazzo o su che cosa serva loro per diventarlo. Su come si acquisti autorevolezza, sull’insidia che ogni giorno di più fa crollare vertiginosamente il tasso della credibilità educativa e su dove ci possa, ahimè, condurre alla fine questa precarietà della nostra attuale civiltà pedagogica.
* Sergio Andreatta, psicopedagogista, decano (1979) dei dirigenti scolastici della provincia di Latina, autore dei saggi “La scuola integrata a tempo pieno”(1978) e “Bambini una volta”(1998).