19th Apr, 2011

Da Barbiana a Barbaiana l’involuzione della pedagogia

Da Barbiana a Barbaiana.

Non può finire così, in questa frazione comasca, la storia della  pedagogia italiana.

di Sergio Andreatta

 “… La vita sotto il sole, é forse solo un sogno?

Non é solo l’apparenza di un mondo davanti a un mondo,

quello che vedo, sento e odoro?

 C’é veramente il male?

E gente veramente cattiva?…

[Song of Childhood, Quando il bambino era bambino, scritta da Peter Handke per il film]

C’è gente veramente cattiva? E ci sono ragazzi veramente cattivi e dannati sulla terra? Cosa ci avrebbe risposto in merito don Lorenzo Milani autore della bella e indimenticabile esperienza di Barbiana e della Lettera a una professoressa

E cosa ci risponde, invece, don David Riboldi responsabile (2011) dell’Oratorio di Barbaiana (Lainate)? Due mondi antropologico-culturali diversi e due diversi modi d’intendere l’educazione…

Nel dicembre del ’54 don Lorenzo Milani, a punizione per le sue idee progressiste, viene nominato dalla Curia fiorentina Priore della chiesa di S. Andrea a Barbiana, una piccolissima parrocchia sul monte Giovi, nel territorio del comune di Vicchio del Mugello a 475 metri di altitudine in Valle della Sieve.

La sua è una parrocchia di montagna con pochi abitanti, sprovvista di luce e di acqua, una località irraggiungibile da automezzi perché non vi è ancora la strada ed è abitata solo dai cento contadini che resistono all’esodo verso la città. La sera di dicembre fa buio presto, è tutto intorno si respira un’aria di tristezza.

Don Lorenzo che non ha mai amato tanto le processioni e le feste ma che ha scelto di privilegiare i più poveri crea subito una scuola dove sono ammessi gli operai, per lo più comunisti. Ma è nel consumismo e nelle sue alienanti attrattive che egli individua la vera causa dell’allontanamento del povero dalla Chiesa e dai valori cristiani.

7 chilometri lo tagliano ora fuori dal mondo! Le lettere bisogna andarle a prendere addirittura a Vicchio. Ma già il giorno dopo il suo arrivo lassù egli  raggruppa attorno a sé in una scuoletta i ragazzi delle famiglie  con l’obiettivo di liberarli subito dalla passività e di renderli responsabili. In questa sua scelta il prete fonderà la sua pedagogia e la sua azione pastorale, in una scuola che apre all’otto del mattino e termina a buio, una scuola per pochi ragazzi, semianalfabeti, figli di pecorai e contadini, oppure orfani. Una scuola che non conosce vacanze e che rifiuta le metodologie e le tecniche, allora più in voga, dell’insegnamento nozionistico e trasmissivo.

Il suo libro “Lettera a una professoressa” è il risultato di un anno di attività a Barbiana, con un maestro ormai nel pieno della sua maturità, estremamente consapevole delle caratteristiche del contesto, del processo e degli obiettivi che si pone. Il maestro Lorenzo Milani trasforma il giornale in materia scolastica. Trasforma, in ricerca e produzione di materiale didattico, il lavoro d’équipe, da lui diretto, svolto con i ragazzi, gli abitanti e i numerosi visitatori. Una piccola-grande rivoluzione culturale, una didattica e una pedagogia inclusiva che rifiuta l’indifferenza, la passività negativa e motiva fortemente  e di continuo l’allievo. Qui l’educatore si obbliga ad un metodo formativo che aderisce al mondo dell’allievo.

Don Lorenzo Milani fu un educatore esigentissimo e l’esperienza di Barbiana, forse, non è ripetibile, se si considera il fatto che più che una scuola, lui aveva voluto creare, più che in premessa, in itinere una comunità, quasi una famiglia.

Tutti i suoi scritti, nel periodo in cui abitò Barbiana, nacquero essenzialmente per motivi pedagogici.

Dall’altro lato oggi abbiamo il giovane don David Riboldi che fuori dell’Oratorio di Barbaiana, distante anni luce dalla scuola di Barbiana, scrive in premessa al “Nuovo Regolamento”: “Non riusciamo ad educare tutti” e dispone, quindi, che alcuni, cioè gli “altri”, stiano fuori” dagli spazi e dalle attività oratoriali. Egli “altri” sarebbero alcuni ragazzi figli dell’attuale società non sempre sensibile ai temi educativi, di famiglie non esemplari, ragazzi di strada, forse caratteriali. Gli “altri” cioè quelli che non riusciamo facilmente ad integrare, a ricondurre dentro certe nostre regole, ad educare” secondo i nostri principi e che quindi per questo “debbono stare fuori dell’oratorio”. Gli altri “il mio inferno” per usare una nota citazione di J.P. Sârtre (L’ Être e le neant). Da un lato l’inesperto, appena ventinovenne, pretino della provincia di Como ha la coscienza dei suoi limiti e questo non è necessariamente un male, dall’altro pensa ad una soluzione “comoda”, ad una strategia non impegnante per sottrarsi ad alcuni problemi educativi ma con ciò riducendo la portata e la significatività della sua missione pastorale, escludendo i ragazzi più ribelli, decidendo di cacciarli dal suo oratorio. Come psicopedagogista ed educatore Sergio Andreatta non può non rilevare un’evidente distonia con il compito dell’educatore e del buon pastore. Gesù, come nella parabola da lui stesso raccontata, avrebbe lasciato il gregge per mettersi alla ricerca della pecorella smarrita e ricondurla all’ovile. Ragazzi difficili, per altri versi in gamba probabilmente, piccoli boss in erba, forse, per i quali varrebbe ancora spendersi senza rassegnazione per aiutarli, per provare a decondizionarli, a tirarli fuori dal turbine esistenziale cui paiono dover essere ineluttabilmente destinati. Invece in questo atteggiamento di rifiuto e di esclusione, sullo sfondo di due mondi paralleli e non comunicanti, non si coglie una sequenza di esiti propositivi, se non un programmato desiderio di tutela dei “buoni”, ma piuttosto un senso di igienica separazione che induce, in un clima di escalation simmetrica, ad ulteriori ostracismi incrociati. Incomprensioni, arroganze e dispetti tra due mondi contrapposti, anche poco rispettosi poi, e non solo per feed-back, verso la tonaca. Penso a come avrebbero altrimenti agito in quel contesto, turbolento ma cristianamente e pedagogicamente stimolante, quel Lorenzo Milani, un Filippo Neri, un Francesco di Sales, un Giovanni Bosco, un Luigi Orione e tanti altri apostoli laici della gioventù. Sento l’eco di qualcosa che non torna, di una disequità stridente. Perchè quando un prete, tra l’altro ancora molto giovane e con tanta strada ancora da percorrere, crea con i suoi atti delle scomunicanti preclusioni senza lottare e getta arrendevolmente la spugna senza riuscire ad inventarsi ancora qualcosa di utile per chi non riesce a stare, sempre e al meglio, dentro le sue regole, avvertiamo che succede qualcosa di molto triste, se non grave. Il suo gesto, oltre a dividere la comunità locale,  in un mondo diventato ormai “villaggio globale” va a colpire anche la sensibilità di chi ha solo letto la notizia su un quotidiano (Corriere della Sera, 26.03.2011, pag. 27). Come gioca la sua difficile scommessa, come ha scritto un mio maestro (Raffaele Laporta), questo giovane prete? Come dimostra di saper capire e di accogliere questi ragazzi problematici? Come interpreta i loro messaggi, come aiuta i loro genitori ad arricchire il rapporto con i propri figli? Ha scritto una volta Gianni Rodari:“So bene che il futuro non sarà quasi mai bello come una fiaba. Ma non è questo che conta. Intanto, bisogna che il bambino (o il ragazzo) faccia provvista di ottimismo e di fiducia, per sfidare la vita. E poi non trascuriamo il valore educativo dell’utopia. Se non sperassimo, a dispetto di tutto, in un mondo migliore, chi ce lo farebbe fare di andare dal dentista?”  (La citazione è tratta da uno dei 23 pannelli della Mostra “Il bel Gianni”, a cura della figlia di Rodari e del Coordinamento dei docenti democratici, attualmente allestita nella biblioteca del IV Circolo didattico di Latina). Da una parte, quindi, a Barbaiana la crisi generazionale di una “gioventù irrimediabilmente bruciata” e, come risposta di normalizzazione, la reazione neoautoritaria del pretino, il suo aut-aut e il tentativo ultimo di “omologazione dall’alto” di valori, comportamenti e modelli culturali, non sentiti e non facilmente standardizzabili e, quindi, in sé escludenti; dall’altro, a Barbiana con don Lorenzo Milani, l’accoglienza progressiva e l’inclusione  che hanno fatto sviluppare nell’umanesimo la capacità di riflessione critica e di compiuta esposizione del pensiero, una buona e vicina relazione educatore/ragazzo, la creatività, la proposta di conoscenze e di competenze impiegate nell’aiuto e nella facilitazione per ridurre le distanze tra i livelli di partenza culturalmente deprivati  e quelli di un’utopia di arrivo. © – Sergio AndreattaRiproduzione riservata

 

 

 

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