1st Apr, 2007

Nino Andreatta, la dignità della (nella) politica

Di fronte alla morte “Non si è mai preparati” riesce appena a sussurrare il figlio Filippo, anche se la morte del papà, Nino, era stata preceduta da una lunga agonia… Durante quei sette anni la moglie Giana, senza lamentarsi, aveva confidato:”Mi mancano tanto le sue parole, le sue risposte. Ma ogni momento della sua vita, anche questo, è prezioso. Sia per me che per lui”…

Si trovano in natura alcune piante dallo sviluppo incredibile. Nella loro crescita secolare sono andate a dar vita e a formare boschi. A chi si addentri in essi possono dare anche l’idea di una poligenesi, di tante piante con diversa origine, sia pure della stessa specie, ormai distinte e diverse tra loro. Ma “E’ solo un’impressione” ci dicono i botanici quasi unici a sapere che le loro radici sono in realtà intricate e interdipendenti, unite e derivate le une dalle altre. Questo lo si potrebbe riscontrare scientificamente ora con un semplice esame del dna. E’ accaduto, così, anche per l’albero genealogico di tante famiglie italiane attraverso i secoli. E’ accaduto anche per la mia famiglia Andreatta, “ca’ granda”, di antica e certa origine tridentina, seppur di più arretrate ascendenze germaniche. La troviamo insediata, varie arti e mestieri, a Pergine Valsugana già nell’alto medioevo per irradiarsi nel succedere e moltiplicarsi delle generazioni nel suo circondario, scendere a Trento e, poi, lungo la Valsugana fino al Veneto nei dintorni di Bassano. Ancora oggi le capitali degli Andreatta sono sostanzialmente due Pergine-Trento e Paderno d’Asolo, con primo epicentrale insediamento nella pedemontana del Grappa a Fietta (“Flècta” già nel XVI secolo), dove per diffusione il cognome “Andreatta” è divenuto, grazie alla generosa prolificità delle famiglie, una sorta di “cognome di villaggio”. Tutti gli Andreatta del mondo, nella loro diaspora migratoria iniziata per necessità nella seconda metà dell’ottocento (dopo il 1870), della Slovenia, dell’Argentina, del Brasile, del Venezuela, degli Stati Uniti, dell’Australia, della Svizzera, delle varie destinazioni italiane e pure noi, scesi da Paderno del Grappa nelle Paludi Pontine nel 1933 ai tempi della Bonifica integrale voluta da Mussolini, ci riconosciamo in questa comune, monogenetica origine. E contrariamente alla moglie di Loth gli Andreatta, notoriamente persone di carattere, possono ancora oggi guardare indietro, richiamarsi a quelle “raìs intrigàe”, alla loro diacronica e varia storia familiare, senza la paura di dover rimanere di… sale. Io da Latina al Veneto e poi dal Veneto al Trentino per quei mille anni di storia anche da me in parte raccontata in “Una Storia, un Racconto”. Beniamino di questo metaforico bosco rappresenta fin qui, probabilmente, la pianta più alta e maestosa. E dico “Beniamino” ora, e non Nino, perché trovo che questo nome abbia una singolare e vitale solidarietà e familiarità con le piante. Quando gli mandai al Tesoro, dove allora era ministro, alcune suggestive pagine di questo scritto, un mix tra storia e fantasia, ne rimase colpito e anche molto divertito tanto da scrivermi di suo pugno una lettera…

Beniamino Andreatta, da tutti e non solo da amici e colleghi, chiamato comunemente Nino, si è spento nei giorni scorsi a Bologna dove era ricoverato presso il reparto di rianimazione dell’Ospedale Sant’Orsola. Era ricoverato lì da dopo il malore che lo aveva colpito il 15 dicembre 1999 nel banco della Camera dei deputati, durante le votazioni della Finanziaria.
Figlio di Nino, già seguace di Cesare Battisti allo scoppio della Grande Guerra e poi, durante la seconda, deportato in Germania per non aver voluto sottostare al giuramento repubblichino di Salò, nasce a Trento l’11 agosto 1928. Da giovane frequenta prima il liceo classico Prati di Trento e poi la Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Padova. Qui si laurea ricevendo, nel 1950, il premio come miglior laureato dell’anno. Si indirizza successivamente verso gli studi di economia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e, come visiting, presso quella di Cambridge dove si specializza. All’Università e all’Economia arriva, quindi, dopo gli studi in Giurisprudenza. Nel 1961, dopo il matrimonio con la triestina Giana Petronio incontrata alla Cattolica di Milano, va in India per lavorare nella Plannig Commission del governo Nehru per conto del MIT. E nel 1962, a soli 34 anni, diventa già professore ordinario. Solo pochi anni e con Bobbio e Alberoni tiene a battesimo proprio a Trento la prima facoltà di sociologia in Italia. Qui dove frequenta un turbolento Renato Curcio, quando scoppia la contestazione studentesca del ’68, Nino sostiene aspri confronti con gli studenti più estremisti. E senza farsi intimidire, con tutta la sua imponenza fisica, sale un giorno su una cattedra tentando di spiegare ai rivoltosi le ragioni della loro “regressione antropologica”. Naturalmente, dato il clima, si può immaginare con quale risultato. La Sociologia era ed è anche una mia passione. Nell’anno accademico 1967/’68, dopo la maturità all’Alessandro Manzoni di Latina come migliore studente dell’anno e aver vinto una borsa di studio per l’Università avrei voluto iscrivermi a Sociologia a Trento, unica lontana sede possibile, ma un contratto da istitutore in un Centro Medico-Psico-Pedagogico dell’E.N.A.O.L.I. mi costringe alla condizione di studente-lavoratore e così finisco coll’iscrivermi a Pedagogia ad indirizzo psicologico alla Sapienza di Roma dove mi sarei laureato con 110 e lode discutendo una tesi, anche pubblicata, di argomento sociologico dibattuto per la prima volta in Italia:”Vecchia e Società, contributi di sociopsicopedagogia”. Durante il corso di studi ho conosciuto il sociologo Franco Ferrarotti e ho potuto esplorare e conoscere meglio anche il pensiero socioeconomico di Nino Andreatta. Quella sua ispirazione ideale che partiva dal suo concittadino Alcide De Gasperi e passava per Dossetti e La Pira, quella sua dottrina economica sullo stato sociale partendo e superando Keynes. Ed è così che mi convinco sempre di più nella mia appartenenza politica a quel “centro che guarda a sinistra”.
Spirito innovatore, nel 1975, Nino fonda a Cosenza con Paolo Sylos Labini l’Università di Arcavacata, di cui diventa rettore, sul modello dei campus americani; una vera e propria scommessa su un Mezzogiorno da far evolvere e non più soltanto da continuare ad assistere.
A metà degli anni Sessanta era avvenuto il suo incontro con la politica, quando era diventato consigliere economico di Aldo Moro. Insieme a un gruppo di professori tra cui Siro Lombardini, Giuliano Amato, Giorgio Ruffolo, Franco Momigliano e Alessandro Pizzorno, si attiva per progettare le basi degli indirizzi economici del centro-sinistra.
Nel 1974 Nino, che già fa parte del gruppo di intellettuali che si raccoglie intorno al “Mulino”, fonda a Bologna “Prometeia” per lo sviluppo degli studi econometrici e poi, a Roma alla fine del 1976, l’AREL, un’associazione dove si incontrano politici, imprenditori, studiosi per trattare concretamente sui principali temi del paese. E’ qui che vengono elaborate, spesso in anticipo sui tempi, le soluzioni legislative alle questioni. Varie e diverse sono le iniziative e tra queste, come protagonista a quei tempi, non va dimenticato per una valutazione a tutto tondo della sua personalità l’Istituto di Scienze religiose, voluto da don Giuseppe Rossetti, di cui è Presidente.
Diventa ministro per la prima volta nel 1979, al Bilancio nel primo governo Cossiga con cui assume poi nel 1980 gli Incarichi speciali. E’ ministro del Tesoro con i governi Forlani (ottobre 1980), nel primo di Spadolini (giugno 1981) e anche nel secondo (agosto 1982). Come ministro del Tesoro compie gesti coraggiosi e memorabili: realizza quello che viene ricordato come “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia; nomina, con criteri rigidamente legati alla professionalità e sganciati dai partiti, i dirigenti di importanti istituti di credito depennando con un vigoroso e deciso tratto di penna tutti coloro che erano stati implicati nelle liste della P2. Da cattolico impegnato in politica, ma senza compromessi, mette in liquidazione il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, respingendo come indebite le forti pressioni dei molti che avrebbero voluto ancora una volta un salvataggio a carico dei contribuenti. Poi, quando riferisce in Parlamento sulle responsabilità, non attenua quelle dello IOR, la banca vaticana governata come la peggiore delle banche svizzere dal noto Card. Marcinkus che soleva abitualmente dire che: “La Chiesa non va avanti con le sole Ave Maria!”.
Indubitabilmente cattolico, Nino, ma anche bandiera emblematica e significativa di quella laicità dello Stato, così tanto messa in discussione e incrinata proprio in questi giorni del 2007. Di lui si ricorda, in proposito, una frase degna di essere incisa in un’epigrafe:” Ciascuno attinge alla sapienza e cerca di tradurla in azioni senza la sacrilega intenzione di coinvolgere Dio”. Nel governo Spadolini diventa protagonista di quella che è passata alla storia come la “lite delle comari”: un colorito e continuato scontro con il ministro socialista delle Finanze Formica, definito “il commercialista di Bari” per la sua incompetenza, che alla fine fa cadere il governo. Così nel luglio del 1982 cade il primo governo della storia della Repubblica non retto da un DC. E Nino non partecipa, poi, ai successivi governi di Bettino Craxi e di Giulio Andreotti molto scettico e in polemica nei confronti degli indirizzi economici da essi adottati.
Nel prosieguo degli anni ’80 Nino va a ricoprire l’incarico di Presidente della Commissione Bilancio del Senato, dove conduce una battaglia, spesso solitaria, contro “il partito della spesa e del disavanzo” che trova molti sostenitori anche nel suo partito…
Il 18.12.1982 Romano Prodi è a Latina. Lo incontro in veste di presidente dell’IRI, dopo esser stato già quasi vent’anni prima (dal 1964) assistente universitario di Nino. Ora è qui invitato per il 50° della inaugurazione della “Città nuova” (la fondazione con la posa della prima pietra di Littoria era stata in realtà il 30.06.1932). In un palazzo di vetro al Piccarello c’è una importante mostra sull’antica Satricum dei Volsci, sulla Mater Matuta, anche con reperti rari ad opera della prima campagna di scavi condotta dagli olandesi a fine ottocento provenienti dal Museo di Valle Giulia di Roma. Ci sono convegni e dibattiti e lui è chiamato a presiederne uno. E’ abbastanza sorpreso di incontrare un Andreatta a Latina, anche se riscontra una vaga rassomiglianza tra me più giovane e Nino, più imponente e pacioso. Vorrebbe il mio impegno in politica ma io, già da quattro anni direttore didattico a Sezze, ho una forte remora che mi deriva dal sacrificio di mio padre Giulio morto per la politica, nel ’57, quando io avevo solo nove anni.
E lo avevo espresso anche a Nino, a Terracina, una volta in cui era stato ospite di Moro…
Nino è da sempre un convinto europeista e come tale aveva approfondito nel tempo i legami con la CDU di Helmut Kohl diventando vicepresidente del PPE. E torna Ministro nel 1993, quando Tangentopoli spazza via, uno dopo l’altro, molti degli esponenti della marcia classe politica dirigente e si evidenzia un urgentissimo bisogno di volti, se non tutti nuovi, almeno non toccati dal sospetto di mancanza di integrità. E la integrità morale di Nino Andreatta non è mai stata sfiorata da niente e da nessuno. Torna prima al Bilancio nel Governo Amato (dove chiude la Cassa per il Mezzogiorno), poi agli Esteri nel governo di Ciampi dove esprime l’intuizione e avanza la proposta di una riforma dell’ONU, progetto fatto proprio pure dal governo Berlusconi e che è alla base del recente successo italiano. Rigorista in economia e anticomunista in politica si sente più che altro una particolare propensione di educatore, protettore e valorizzatore di giovani di talento. Nel 1993 chiamerà a segretario generale dell’Arel (Agenzia di Ricerche e Legislazione) il promettente Enrico Letta che poi porrà anche a capo della sua segreteria di ministro degli Esteri del governo Ciampi.
Con l’avvento di Silvio Berlusconi che Nino più volte interpreta come la più grave “anomalia della politica italiana”, diventa, dall’opposizione, il capogruppo alla Camera dei deputati per il Partito Popolare. Ma è costretto alla difesa di posizione all’interno del suo stesso partito quando ingaggia un duello, costringendolo alla caduta, con Rocco Buttiglione tutto interessato, invece, a schierare il partito a destra. Dopo la caduta del primo Governo Berlusconi, Nino Andreatta è l’artefice della “svolta” che porterà all’ideazione e alla nascita dell’Ulivo e sostanzialmente alla sua scelta del pupillo Romano Prodi come leader dell’Unione. Nino coltiva “la dignità della politica” tanto da aver già scritto in una relazione a un convegno della Democrazia cristiana dell’84: “Certo, vi è una politica che vive in un’algebra degli interessi – e molti scienziati politici, tutta la scuola delle scelte pubbliche tende ad illustrare così la politica -, in una preoccupazione della raccolta del voto elettorale, per cui il ciclo politico si sovrappone al ciclo economico, le operazioni di politica economica sono calcolate in relazione alle scadenze elettorali. Vi è, però anche, io credo, una visione alta e grande della politica, la visione che abbiamo imparato nella frequentazione personale con Aldo Moro, una visione della politica che ci fa uscire dal privato di interessi ristretti”. Questa visione “alta” della politica e della sua autonomia dagli interessi aveva portato Nino a dire, in un’intervista del ’91: “Credo che la divisione tra politica ed economia sia più importante della divisione dei poteri elaborata da Montesquieu”. Un senso delle distinzioni che Nino estende a più campi, e che è anche alla base della sua laicità di cattolico impegnato.
Dopo la vittoria alle elezioni politiche, nel primo Governo Prodi, è chiamato come ministro della Difesa. Compie all’interno la riforma degli Stati Maggiori e promuove all’esterno la Missione Alba, la prima a guida italiana. Con questa fine linea politica promuove tutte le azioni e le alleanze più utili alla realizzazione di una difesa europea. Ha, intanto, avviato l’abolizione della leva e la nuova fase del servizio civile.
Dopo la caduta del governo Prodi, nel 1998, fonda “Carta 14 giugno”, un’associazione ulivista che si propone di allargare le basi democratiche del consenso e favorire la riduzione del potere dei partiti. E’questa un’idea insistente e insistita di Nino, coltivata fin dagli anni della Democrazia Cristiana e delle Partecipazioni Statali. Col suo carattere forte incontra, qualche volta, ostacoli sul suo cammino ma raramente, se non ne viene convinto da buone ragioni, retrocede. Viene, così, fortemente osteggiato dallo stesso PPI durante la campagna elettorale per le europee del 1999, quando auspica l’incontro tra popolari e democratici, l’embrione di fatto della Margherita. Il 15 dicembre 1999, nel corso di una estenuante seduta parlamentare per l’approvazione della Finanziaria, viene colto al suo banco da un grave malore e finisce in coma profondo come conseguenza di un’ischemia cerebrale.
In quella circostanza il presidente del consiglio Giuliano Amato ebbe a dire: «Di intelligenze così ne nasce una in un secolo».
Ma pur nella grave malattia e avendo perso la parola la sua silente presenza nella politica italiana non è venuta meno in questi anni. Egli resta ancora per molti il punto fisso attorno a cui ruotano un mondo, un progetto, un gruppo. E le stesse primarie dell’Ulivo che si sono tenute per la prima volta in Italia sono venute a realizzare una sua precisa idea…

Moltissimi hanno ricordato pubblicamente in questi giorni di lutto per la famiglia Andreatta (la moglie Giana, i figli Tomaso, Filippo, Eleonora, Erika) il profilo, il versatile genio scientifico e politico di Nino, la sua inventiva e anche qualche episodio curioso della sua ricca aneddotica. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che gli aveva fatto visita a Bologna soltanto pochi giorni fa, appena appresa la notizia della sua morte, ha espresso alla famiglia i propri sentimenti di profonda commozione e partecipazione:«…Nino Andreatta ha impersonato un eccezionale senso dello Stato e dell’interesse pubblico, che lo ha guidato nell’esercizio di tutte le sue responsabilità politiche e nella sua alta missione di ricerca che dall’economia spaziava ai temi della politica estera e della difesa. Resta l’esempio della sua vivissima intelligenza e cultura, della sua indipendenza di giudizio, della sua incoercibile moralità».
Il suo allievo prediletto, il presidente del consiglio dei ministri Romano Prodi, che gli aveva fatto visita prima di partire per il Sud America, è stato raggiunto dalla ferale notizia durante la visita di stato a San Paolo del Brasile e ha subito detto:« «Ero andato a trovarlo, e i medici mi avevano detto che la sua lunga sofferenza stava finendo. Quindi, purtroppo, ero preparato a questa notizia. E’ stato il mio maestro, un amico profondo, ma soprattutto un uomo che mi ha dato degli insegnamenti morali fortissimi. Un uomo che univa un rigore profondo a una generosità assoluta… Per me è stato maestro d’università, maestro in politica, ma soprattutto maestro di vita». Nino era uno che non si poteva inquadrare in una corrente politica; per questo gli stessi capi Dc ne diffidavano. “Quando cominciò l’avventura dell’Ulivo, lui ebbe un ruolo fondamentale: nel convincere gli altri che l’uomo giusto ero io; e nel convincere me. Si fidava della sinistra, sempre però con un forte senso della propria identità” aggiunge ancora Prodi. Quindi s’imbarca su un aereo per un volo di quattordici ore che non farà mancare la sua commossa partecipazione alle esequie. E un altro suo amico, Giovanni Bazoli:”…I valori del cattolicesimo informavano le sue scelte e i suoi comportamenti privati e pubblici ma aveva anche il coraggio dell’indipendenza, e lo dimostrò più volte… All’Italia mancano il suo disinteresse assoluto e il suo spessore morale».

L’eredità politica di Nino, il maestro dei giovani più promettenti di una generazione, l’inventore dell’Ulivo, il punto di riferimento di personaggi come Romano Prodi, Giovanni Bazoli, Arturo Parisi, Enrico Letta sarà ora raccolta dal figlio Filippo Andreatta, docente all’Università di Bologna dove insegna “Relazioni internazionali” e come esponente, non di secondo piano della stessa Margherita, dirige la Scuola del Partito Democratico che vogliamo implementare.
Per il nostro ramo familiare ha partecipato al funerale la cugina Maria Pia Andreatta, anche lei residente a Bologna.
Addio, grande Nino.
Riposa ora in pace nella tua amata Trento, non lontano da quelle valli perginesi delle prime comuni origini dove mi sono già raccolto in silenzio davanti alla tomba di un altro illustre Andreatta, il prof.Ciro scienziato con oltre 120 pubblicazioni di alto livello, che spaziano dalla mineralogia, alla petrografia, alla giacimentologia, alla cristallografia.
E se per te il quotidiano La Repubblica aveva coniato l’aggettivo “andreattiano” per indicarne il comportamento risoluto e innovativo, per lui la comunità scientifica internazionale aveva coniato il termine “andreattite” riferito ad un importante processo della mineralogia da lui scoperto per la prima volta.

Commenti

Nino cattolico e laico “senza la sacrilega intenzione di coinvolgere sempre Dio”…
Mentre, in Italia, siamo arrivati oggi al punto da pensare che per essere buoni cattolici si debba essere necessariamente vassalli della C.E.I.
Non si pensa tanto al Vangelo, quanto alla… CEI!
E questa montante neo-teocrazia sembrerebbe sostenuta, in una evidente logica neo-temporale, da un concetto del “do ut des”.
Dove si rinviene qui la condizione della spiritualità?
In questa sorta di “nuovo mercato delle indulgenze” sostenuto proprio da quei leader di destra che pure non sembrano avere, nessuno escluso, una situazione coniugale regolare, per i canoni del cattolicesimo. Per non parlare del resto!
Leader praticanti del cinquecentesco principio del “pecca fortiter, sed crede fortius”.
Credessero almeno, senza farlo solo apparire!
Simulatio (ipocrisia) vincit, simulatio imperat!
Nino non si pose certo scrupoli superflui, allora, e trattò da laico di solidi principi, devoto allo Stato, trattò secondo coscienza la questione dello Ior del card. Marcinkus
Nino cattolico e laico “senza la sacrilega intenzione di coinvolgere sempre Dio” come dovremmo praticare anche noi…

In quanto all’altro illustre Andreatta citato nel pezzo (ma ce ne sono vari altri tra fondatori di città nelle loro migrazioni, ordinari all’Università, scrittori, artisti, giornalisti, direttori di istituzioni, senatori in altri Stati,…) il prof. Ciro di Pergine Valsugana, preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali della stessa Università di Bologna, visse solo 54 anni (1906-1060).
Ma portandovi sulla sua tomba al cimitero di Pergine, davanti al semplice loculo comune come tanti altri, sarete sorpresi da una lapide modesta, priva di riferimenti altisonanti.
Oh, grandezza dell’umiltà!

Sono molto contento di legere un poco della nostra stória , come ha scrito lei sono Andreatta Del Brasile,discendente di Angelo Andreata di Com. Levico Terme

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