1st Ago, 2011

Canta e Cammina, come un pellegrino, sui sentieri della tua esistenza

E per ospite un eremita, Padre Luciano Proietti del romitorio molisano di S.Egidio, che dice:”Tutta la vita è un cammino verso un’altra Patria”.

di  Sergio Andreatta                              

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“Pensieri, salmi, itinerari, canti, celebrazioni, foto, ricordi… che certamente non possono evaporare” tutto questo e altro ancora, scrive il presentatore D. A. Scotti, si trova in Canta e Cammina” *. Questo Libro del pellegrino è a cura di Padre Luciano Proietti, il francescano che vive eremita, ormai da dodici anni,  nel ripristinato romitorio di S. Egidio dopo esser stato a  San Giovanni Rotondo e a Medjugorje. Ci troviamo nel sole del M. Gonfalone, a 1125 m. s.l.m., in una dimensione spaziale che promana immediata l’idea del metafisico in ogni stagione per i vasti prati e le sparse, rarissime, umili costruzioni di pietra, solo piccoli rifugi di fortuna per i pastori soprattutto di bovini. Come una tormentata spina dorsale di pietra grigia la Morgia Quadra, dove alle Tre Marie uno speco ospita le meditazioni più intense del frate, incombe sull’orizzonte del mattino, quasi a caratterizzare la tormentata ascesi dello spirito verso il cielo. Negli itinerari italiani di coltivazione dell’anima questo piccolo Eremo di proprietà del Comune di Frosolone, grazie alla presenza di questo monaco francescano, si è guadagnato ultimamente un posto come centro di spiritualità e di esercizio spirituale. Con il frate la sera del venerdì partiamo per il versante laziale del P.N.A.M., per Picinisco, con l’idea di una visita al Santuario della Madonna del Canneto, 1025 m. s.l.m., in comune di Settefrati. La mattina di sabato 30 luglio,  dall’alto della casa di Picinisco osservando la fresca bellezza della Val di Comino, decidiamo di portarci prima a Sora, alla Badia di San Domenico. Ricorre il millenario della fondazione da parte del monaco benedettino Domenico da Foligno sul luogo della domus culta nativa ciceroniana, alla confluenza tra il Fibreno e il Liri. Il pensiero altalena tra cultura e spiritualità. L’iscrizione sulla lapide alla sinistra della facciata apre alla prima, l’alto interno dell’austera chiesa in penombra e la buia cripta alla seconda. Sale con sorprendente agilità i gradini dell’imponente presbiterio l’anziano eremita per inginocchiarsi in preghiera davanti al Santissimo. La luce del mattino avanzato filtra potente e fluida da un’antica finestra, quasi flutto di Spirito Santo. Ora siamo nella cripta sottostante, dietro l’altare dove in un’urna sono raccolte le ossa di San Domenico, l’abate benedettino molto venerato fino in Abruzzo, a Cocullo dove paganesimo (Festa dei serpari il primo giovedì di maggio) e cristianesimo, lì più che altrove, s’intrecciano ancora nei sentimenti di uno strato della popolazione che sfila in processione ornata collo, braccia e testa da temibili colubri. Padre Luciano, già autore dell’Elogio della vita solitaria (Vita di S. Egidio), appoggia le sue mani sull’umile urna, si raccoglie e prega. Prega in profondità come si trovasse nel suo deserto nascosto, nella più assoluta e totale astrazione da ogni disturbo, anche da quello neanche tanto sommessamente provocato da un  gruppetto  di giovani riuniti scherzosamente intorno a una tastiera. Sulla strada per il Santuario della Madonna del Canneto si sfiora, evitandolo, il controverso e fenomenale sito del Bambino Gesù di Gallinaro e si fa sosta al monumento, bello in alto, di Don Bosco e di Domenico Savio. “Non c’è due senza tre!” sussurro io alludendo scopertamente alla ricerca di santità che è conclamata nel frate. Così il canto di “Laudato si’, Signore mio gli sgorga spontaneo ed effusivo come in un feedback  o più come sorgente miracolosa dal cuore, le braccia ben aperte e gli occhi eterei innalzati al cielo. Diventato suo amico chissà come e perché, vessato dai molti dubbi quotidiani sulla fede che spesso torna per interrogarmi e per indurmi a credere in ciò che mi sembra falso all’intelletto, io mi sento diminuito; mia moglie invece lo segue  sottovoce nel suo canto. Si scende – curve e controcurve – nel verde filtrato dal sole. Al Canneto il frate rimane folgorato dai potenti richiami della natura, belli, selvaggi e religiosi, più che dall’architettura in sé, cementizia e assai discutibile, del santuario diocesano. Una struttura nuova (1978 – 1983)realizzata venticinque anni fa, insieme alla adiacente Casa, per ampliare l’accoglienza al maggior numero possibile dei pellegrini, soprattutto d’agosto (dal 18 al 23) quando le Compagnie confluiscono qui dalle contrade più remote delle tre Regioni confinanti. E’ anche attratto dalla storia delle donne eremite tra cui l’ultima, Santa Lanni di Picinisco, che avrebbe (1941) rinforzato l’antico culto a S. Anna, madre di Maria.  Il francescano avverte ora l’impellente urgenza della preghiera, tira fuori di tasca una corona ed inizia a sgranare un rosario intorno al placido laghetto e lungo il corso del Melfa fino alla sorgente di Capo d’acqua che, per tradizione popolare, sarebbe il luogo della miracolosa apparizione alla pastorella Silvana. La preghiera  si libera effusiva in spirali tra gente che sta già organizzando i suoi primi affari sulle bancarelle, la impregna e su di essa impegna anche noi. E mi accorgo camminando nella splendida giornata di essermici accostato con il cuore, vincendo ogni mia superstite ritrosia. Siamo ora sulla riva del fiume indubbiamente più suggestiva, quella piciniscana, tra enormi massi muschiati e faggi secolari che si elevano sublimi come le più alte colonne mai osservate di un tempio cistercense. Ci sovrasta la corona delle Mainarde con la Torretta Paradiso… Qui sotto doveva esserci un antico monastero, ce lo suggerisce qualche malandato e ormai quasi inintelligibile rudere. Siamo in terra di elezione benedettina, tra l’Abbazia di Montecassino e quella, non meno famosa all’epoca, di San Vincenzo al Volturno distrutta nel IX secolo dai saraceni. Due grandi poli spirituali uniti dallo stesso cordone ombelicale e dal sentiero, ai 1.967 metri di altezza, di Passo dei Monaci. Iniziamo a ritroso, ai piedi de La Meta (2.242 m.), l’ultima parte del Percorso dei Santi, quello che provenendo ora da Picinisco (un tempo da Borgo Castellone per Ponte Lanfranco) attraverso un impervio sentiero nei boschi costeggiante il fiume Melfa, da otto secoli conduce ogni anno migliaia e migliaia di pellegrini oranti alla statua lignea della Madonna bruna. Perpetuazione rievocativa di flussi pellegrinali antichissimi di almeno 2500 anni fa, quando altri devoti si recavano per tributi e richiesta di grazie dalla  volsca dea Mefite i cui scampati ruderi templari si trovano a 12 m. di profondità sotto una sedimentazione alluvionale.  Sotto i balconi di casa mia a Picinisco scorre in salita la fiumana, non più esangue come una generazione fa, composta dai membri delle variopinte Compagnie. Le guidano sempre un crocefisso portato in alto da un giovane, alcuni alfieri – di solito musicanti di fisarmonica o tromba – lo stendardo della compagnia che con fierezza indica la provenienza dal paese lontano, due folte teorie di fedeli a sequela sui lati della strada. Cantano tutti, e fino ad alcuni anni fa nei vari dialetti stretti,: “Evviva Maria, dell’ermo Canneto, un popolo lieto, Evviva gridò…”. Cantano i camminanti verso Pescocalascio, come D.H. Lawrence  nel suo libro “La Ragazza perduta” (The lost girl) chiama Picinisco dove sosteranno per la notte pronti a partire alle prime luci dell’alba.  Perchè cammiare è vivere un’esperienza che aiuta a stare bene insieme, a crescere, a formarsi. Il cammino non è solo lo spazio fisico che si percorre ma la riscoperta di noi stessi, degli altri, della natura, di Dio, della delicatezza affettuosa di sua Madre. Il cammino sembra fatto per ritrovare il tempo oggi perduto dei nostri tempi e dei nostri ritmi biologici, per puntare faticosamente ad una meta che pur si prefigura oppure no… Anche non avessi eletti sentimenti religiosi qui è la natura prorompente, l’atmosfera conservata dal Parco Nazionale che ti parla. Basta porsi in un silenzio eremitico. Cristallina scorre tra pittoreschi balzi l’acqua pura del fiume, scende dalla sorgente benedetta e va a raccogliersi nell’imbuto del lago di Grottacampanaro, poi disegnando emozionanti gore e cascate precipita a Picinisco, all’antica Centrale idroelettrica della Radisca e, passando per Borgo Castellone fino all’orrido delle Gole di Casalvieri va a confluire nel Liri e nel Garigliano. Quel mùrmure, amico degli instancabili passi del pellegrino di ogni età e di ogni secolo, è anch’esso, nella diacronia delle eterogenee culture religiose, una preghiera incessante che nel pànta rèi dello scorrimento di ogni vita si dirige verso un fine? Ritorniamo sulla Vandra, la panoramica ma malagevole strada di unione col Molise (S.S. 627, Sora-Atina-Isernia). Si intercalano preghiere, deserti e qualche esplosiva osservazione dell’eremita. In un pomeriggio di mezza estate – nel tratto tra S. Biagio Saracinisco e Scapoli – incontriamo sì e no cinque macchine in tutto tanto da fargli così osservare: ”Con questa viabilità ora capisco finalmente perché il mio Molise sia rimasto quella regione-cenerentola d’Italia che è”… Làsciati vincere “dal sottile intreccio delle emozioni e delle certezze, allora potrai capire che non è mai triste l’anima del viaggiatore solitario, il quale più che danzare sulla scia turbinosa del vento, impara a cantare a Lui… per finire ogni giornata addormentandosi, abbandonandosi a Lui, sotto le luci tremolanti delle stelle” (Domenico Angelo Scotti, Presentazione, pag.4). © – Sergio Andreatta, Riproduzione riservata

* Canta e Cammina, “Il Libro del pellegrino” a cura di Luciano Proietti, Eremo di S. Egidio, Frosolone, 2011, ppgg. 197.

Ha scritto Paolo Rumiz recentemente (A piedi): “Non esiste felicità più perfetta di quella del camminatore

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