4th Apr, 2007

Morin: Cultura, scuola, persona…

Dal perduto “umanesimo integrale” di J.Maritain a quello nuovo di Edgar Morin intervenuto a Roma alla presentazione del documento ispiratore del nuovo progetto di riforma “Cultura scuola persona…”. Necessario umanizzare i saperi per limitare la dispersione della conoscenza…

Da Maritain a Morin, alla ricerca delle migliori ispirazioni per un nuovo umanesimo da premettere alle Nuove Indicazioni per la Scuola dell’Infanzia e nella Scuola Primaria Italiana. Questo il pensiero del ministro G.Fioroni tradotto in ipotesi dal prof. Marco Ceruti, il preside della Facoltà di Filosofia all’Università di Bergamo nominato presidente della Commissione per l’elaborazione dei nuovi programmi…
L’umanesimo di Jacques Maritain risale al 1932 quando aveva pubblicato il suo capolavoro “Distinguere per unire (o i gradi del sapere)”; al 1936 quando aveva pubblicato l’opera sua più famosa “Umanesimo integrale” e al 1943 con “L’educazione al bivio”, un titolo ancora oggi profetico e che, come concetto, viene ripreso in un’intervista dallo stesso sociologo parigino.
La filosofìa maritainiana aveva sviluppato per prima, una decisa critica alla modernità dell’epoca pur apprezzandone certi aspetti, così tra le ” verità impazzite ” aveva saputo isolare e apprezzare certi suoi “guadagni storici”. Guadagni a condizione di abbandonare l’orizzonte dell’immanentismo che, secondo lui, andava a ridimensionare il valore di umanesimo. Dell’umanesimo corrente Maritain criticava, soprattutto, il carattere antropocentrico che era andato assumendo. Ed ecco, allora, la sua idea di un “Umanesimo integrale” (1936): un umanesimo per certi versi “antimoderno” come una filosofia cristiana che, ispirandosi a Tommaso d’Aquino, fosse capace di riaccogliere e assimilare le anime di verità che, comunque, anche nella caduta del tempo ancora si trovavano nella cultura moderna. Solo con una liberazione dalla loro caratterizzazione immanentistica (o antropocentrica), queste anime avrebbero potuto conciliarsi con le acquisizioni classiche, producendo un’inedita sintesi filosofica. E’ evidente qui un legame con la risorgente critica al relativismo dei giorni nostri. La posizione maritainiana si caratterizzò, allora, come una filosofia ultra-moderna, afferente slanci vitali per i tempi nuovi che uscivano dal tragico e funesto dopoguerra. L’idea di un “umanesimo integrale” era foriera di speranze; parlava di un umanesimo che voleva valorizzare tutto l’uomo nel rispetto dell’integrità multidimensionale della sua persona umana. Morin si aggancia laicamente a questa idea rifacendosi ora non a Tommaso d’Aquino ma a Platone e alla sua concezione di amore.
Ma gli esiti delle pedagogie di Maritain e di Morin sono abbastanza simili per il loro stretto nesso con la politica, nel senso che c’è (o ci dovrebbe essere) un circolo virtuoso tra scuola e democrazia, per cui una implica l’altra essendo entrambe, e vicendevolmente, finalizzate a rendere possibile all’uomo la conquista della libertà. E come “L’educazione al bivio”, prima parte di “Per una filosofia dell’educazione” (1959), rappresentava altrettanti momenti di quella idea di rifondazione della democrazia attraverso un ” risveglio umano “, così Morin con una tesi provocatoria sulla crisi della società e dell’istruzione parla di amore e va a ribadire che:”Nelle nostre aule manca la passione, non c’è anima!” Nella mia quarantennale esperienza di studioso di ricerca-azione pedagogica, di docente e dirigente scolastico, non mi sento di dargli torto: la scuola non tutta ma una gran parte è diventata priva di anima. E’ un’osservazione inconfutabile mentre ricorda lui “L’Emile di Rousseau diceva: voglio imparare a vivere”. A questa domanda come potrebbero rispondere certi docenti della nostra scuola 2007? E’ venuta meno l’idea di aiuto, che era anche di C.Rogers, di impegnarsi in una sfida dagli incerti destini. Il docente non si spende più come facevano certi epici maestri della periferia di Roma, come faceva don Milani a Barbiana. Colpa di che? Della crisi dei valori sociali e culturali? Colpa dell’attuale deriva socio-familiare? Di una minore passione professionale? Sono tanti i vulnus che hanno quasi ucciso la scuola italiana. In tanti hanno contribuito a smorzare, fino quasi a sopprimerla del tutto, quella energica dote di entusiasmo che, solo se c’è, rende un insegnante capace di praticare le vie della speranza. Apre al cammino dell’umanità esistenziale, prima ancora che al solo umanesimo filosofico. Abbiamo memoria di insegnanti capaci di un sapere unitario, profondo, interdisciplinare, quasi sapienziale mentre oggi la pratica metodologica più diffusa, ad ogni livello di scolarità, è quella di: “un sapere frammentato, come dice Morin, che uccide ogni curiosità”. Bisogna, invece, essenzialmente muovere dalla persona in crescita per puntare, poi, alla sua formazione integrale e armonica, riunendo in sintesi le molte dimensioni così della sua personalità come del sapere e dell’intelligenza. Oggi, ancor più di ieri, dice Morin, “l’educazione si trova al bivio” nel senso che è chiamata a rigettare quella metodologia pseudo-umanistica che oscilla tra permissivismo, lassismo e autoritarismo per una autentica ricerca di libertà come conquista personale… Una libertà che non poggi più, nell’attualità del melting pot delle culture e delle condizioni, in un pensiero esterno ma in una concezione dei valori intrinsechi propri dell’essere uomo, nella costituzione di umanità che giustifica in sè la diffusione e lo sviluppo di un umanesimo sempre nuovo e mai definitivamente raggiunto…
“Cultura, scuola e persona”, dice Morin, non appaiono ma sono inscindibili ed è per questo che è stato contraddistinto proprio con questi tre termini il documento culturale di base delle prossime Indicazioni Nazionali.
“Voglio apprendere a vivere”come l’Emilio: questa frase rimarca l’importanza vitale della formazione sia da un punto di vista di umanità che di cittadinanza. “E’ necessaria un’alleanza educativa tra cultura umanistica e cultura scientifica per risolvere i problemi fondamentali dell’uomo ” dice E.Morin. La separazione fra le due culture (ricordate l’analoga questione degli anni ’60?) non può servire ad una adeguata maturazione morale e spirituale, ad esempio, di un adolescente.
Bisogna superare in questo percorso verso l’apprendimento significativo le difficoltà, che sono date in primo luogo dalla iper-specializzazione, che impediscono il necessario “dialogo” tra i saperi. “Dove andremo senza unità di saperi?” si chiede Morin, da sempre fautore di un progetto scientifico interdisciplinare. E bisogna anche provare, dice, ad unire l’oggettività scientifica alla soggettività sensopercettiva e viceversa. “In una stella possiamo analizzare le particelle, possiamo conoscere delle cose estremamente interessanti sul suo essere fisico ma, senza la soggettività umana che si esprime nella letteratura e nell’arte, rimarrebbe sterile”. Ne consegue che è necessario umanizzare i saperi per limitare la dispersione della conoscenza. Un insegnante che ama in primis quello che fa diventa capace di rivoluzionare le situazioni con la sua carica umana oltre che con le sue competenze professionali. Ma bisogna rimotivare questi docenti, trattando in modo eccellente i capaci e meritevoli, chi ottiene i risultati migliori. Inutile e paradossalmente deleterio continuare a trattare, tutti i docenti, tutti gli ATA economicamente allo stesso modo, a prescindere dalle loro prestazioni professionali.
Bisogna da un lato contestualizzare coraggiosamente la carriera dei docenti agli esiti, dall’altro contestualizzare i processi della conoscenza. Per implementare gli impegni professionali occore, secondo me, differenziare la retribuzione con una valutazione dell’operato mentre per riunire i saperi delle varie discipline? Serve un pensiero complesso che permetta di unire ciò che è separato. Più facile a dirsi che a farsi…
Serve un nuovo umanesimo, scrive Morin. Nuovo perché il primo umanesimo fu virtuale, non c’erano problemi che riguardassero tutta l’umanità, mentre oggi nel mondo globalizzato i problemi del fanatismo razziale e religioso e quello dell’inquinamento della biosfera accomunano tutta l’umanità: serve un umanesimo concreto. Serve riscoprire, aggiungo io, le comuni radici nella pluralità delle civiltà.
E “L’ecologia oggi è conoscenza” perché unisce le scienze alla civiltà umana afferma Morin, ridà unità alla natura prima studiata solamente nei suoi innumerevoli aspetti fisici e biologici. “Come apprendere a vivere?” La conoscenza non si ha con la frammentazione ma con l’unione. È necessaria una riforma, quindi, della conoscenza del pensiero, quel nuovo umanesimo globale che sappia affrontare i temi della persona e del pianeta. E, invece, i giovani oggi si sentono persi, non trovano le ragioni dell’essere. Durante la seconda guerra mondiale, come scrisse già Maritain, i ragazzi che dovevano resistere al nazismo divennero partigiani, contribuirono a liberare le loro vite e le loro nazioni. E oggi? Oggi i giovani sono chiamati ad affrontare un compito ancora più ampio: la salvezza del genere umano. “Hanno una missione grande davanti a loro e dobbiamo educarli ad apprendere e a maturare una conoscenza adeguata ad assolvere a questo compito fondamentale a cui sono chiamati”. Ma per fare questo occorrono insegnanti competenti nelle metodologie e nelle tecniche di comunicazione, oltre che saldi nei loro saperi disciplinari. L’apprendimento, proprio perchè “sociale” non si può ridurre ad una questione esclusiva tra l’alunno e il sapere, dove il primo incontra quasi spontaneamente il secondo. La caratteristica della scuola è quella di avere, invece, a disposizione quel terzo elemento che è l’insegnante la cui funzione non è mai neutrale come scriveva Vygostkij. Insegnanti che dovrebbero essere motivati e d’ora in avanti, lo ripeto con insistenza non immotivata, anche differentemente retribuiti in base alla valutazione degli esiti. Ma si avrà il coraggio, soprattutto sindacale, di procedere in tal senso?
“Io dico, conclude Morin, “che …con una coscienza globale è possibile anche una rinascita dell’Occidente”. Sì, con una coscienza globale pur nella differenziazione dei percorsi. E l’anziano sociologo parigino richiama ancora una volta la metafora di una farfalla che prima di esser tale è un verme, una crisalide e finalmente…
Con l’augurio, anche mio, che possa essere così anche per la nostra scuola italiana che, non a caso siamo a Pasqua 2007, ha bisogno di una risurrezione, di un miracolo perchè non si continui solo a parlare di una delle tante nuove utopie.
Sergio Andreatta, dirigente scolastico.

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