Ed ecco svelate le trame che hanno portato alla soppressione dal 1 sett. 2007 di un qualificato servizio pro-infanzia ammalata. Eppure il Progetto di Sergio Andreatta, funzionante dal 1994, era perfino entrato nella letteratura di settore.
Tutta la stampa regionale e on-line nazionale si è interessata alla chiusura della Scuola in Ospedale al Goretti di Latina. Non poteva non farlo. Come autore del progetto nel 1993 e direttore della Scuola in funzione da tredici anni sono stato intervistato da alcuni giornalisti. Tra gli altri una giornalista de “Il Caffè”, free-press da 60.000 copie, che aveva intervistato prima il dr. Mario Esposito, medico allocato da Fazzone ai tempi del direttore generale Battigaglia alla AUSL di Latina, in quanto primo artefice della decisione di dare il “ben servito” alla Scuola. Il dr. M. Esposito di Fondi, è stato nella sua linearità il vero “deus ex machina” contrario da sempre a questa tipologia di Scuola. Con coerenza, se vogliamo, lo ha dimostrato durante tutti gli incontri alla AUSL per l’elaborazione di un Protocollo d’Intesa. I tre concetti contrari da lui espressi alla free-lance M.Celletti sono stati:” 1) “La presenza della scuola è pericolosa”; 2) “La Scuola è l’ultimo pensiero”; 3) “Lo studio a che serve?”. A questi assunti “provocatori” non varrebbe manco la pena di replicare e tuttavia… 1) Se è pericolosa la presenza delle due qualificate insegnanti della “Scuola in Ospedale” quanto può esserlo, oso chiedergli, la presenza e il via vai di tutte le altre persone, senza la stessa formazione professionale e idoneità fisica, che ruotano a tourbillon nel reparto? Parlo dei volontari, degli operatori del servizio civile, degli altri?… 2) “La scuola come ultimo pensiero”, certo può esserlo nella circostanza essendo il primo obiettivo la cura e se uno non sa e non fa che pensare a quella limitata “scuola di cattedre e lezioni” della sua frequenza giovanile… Ma, per fortuna, vigono ben altri orizzonti culturali e pedagogici oggi! 3)”Lo studio a che serve?” Esposito sembrerebbe volersi assimilare ai teorici della “descolarizzazione” degli anni ’60. Ma alla base della loro idea di distruzione-superamento c’era, lì, l’ipotesi epistemologica di un “kàos” di rigenerazione. Per altri versi, ma con ben altri intenti, anche Maria Montessori, la più sublime sintesi italiana di tutti i tempi tra medicina e pedagogia, sosteneva che “educazione è provocazione”… In ospedale si va, è certo, per curarsi ma è scientificamente dimostrato che un buon sostegno psico-emotivo offerto al bambino ammalato lo aiuta a “guarire meglio e prima” secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. La stessa durata della vita, sostengono le ricerche, risulta essere influenzata dal grado di cultura di una persona… La bozza di Protocollo che il IV Circolo didattico di Latina, nella mia persona, allora proponeva era a valenza “interistituzionale” e “multiculturale”, tendeva cioè a valorizzare le pari dignità prevedendo i contributi di tutte le agenzie già operanti e si rivolgeva a tutti i bambini dei diversi stati e culture senza distinzioni. Un protocollo articolato sulla falsariga di quelli tutt’ora vigenti in tutti gli ospedali d’Italia. “Niet!”, era la risposta. Sono state opposte tergiversazioni e “niet”, in conclusione, veramente immotivati e incomprensibili ad un buon senso clinico e psicopedagogico, da parte della AUSL rappresentata nell’occasione dal dr. Mario Esposito in qualità di “regista” e dal direttore sanitario aziendale dr. Carlo Saitto.
La presidente dell’A.Ge. di Latina di allora, sig.ra Maria Teresa Bonucci, che partecipava al tavolo dei lavori ponendosi “dall’altra parte” rispetto a noi del mondo della scuola, ora si è dichiarata disposta a raccontare tutto quel tormentato back-ground. Tutto ci veniva osteggiato, anche la nostra disponibilità a modificare flessibilmente gli orari d’intervento della Scuola con l’aumento della compresenza temporale delle due insegnanti da spendere in altri reparti (oncoematologia, ecc…) dietro il previo assenso, già dato, di altri primari. Niet! “La “politica”, ci è stato opposto dai due dioscuri, la fa l’Azienda! Non la fanno i primari…”, sembrando anche voler ergere così uno scudo preferenziale a tutela dell’iniziativa dell’A.Ge. Ma qualsiasi organismo, specie pubblico, che si rispetti non deve mai essere in mano soltanto a due amministratori, pur eccellenti, ma deve quanto meno poter rispondere del suo operato ad un Consiglio elettivo e alla Comunità “politica” che l’ha previsto e lo finanzia. Ma non accade alla AUSL, perchè?
Perchè questa sorta di immune extraterritorialità?… L’A.Ge. (Associazione dei Genitori) di Latina… questa apprezzata Associazione nell’occasione continuava a porsi con un atteggiamento assai poco interistituzionalmente costruttivo, tutta arroccata a difendere le sue privative. Contrariamente la Scuola, non volendo entrare nelle dinamiche interne dell’associazione e nel familismo che pure governa l’A.Ge. di Latina da sempre, continuava fermamente ad esigere il rispetto della propria autonomia istituzionale riconosciuta, perfino, dal Tit.V della Costituzione. Avrebbe voluto, quindi, che l’A.Ge., con cui pure abbiamo utilmente cooperato per otto anni, non interferisse con ostinatezza in quella faticosa ricerca di una bozza di protocollo, che avrebbe dovuto essere bilaterale tra la AUSL e la Scuola. L’A.Ge. di Latina, al contrario, si è sempre voluta intromettere nelle riunioni dirette intervenendo per bloccare, adducendo proprie ragioni, il Protocollo generale. L’A.Ge. pretendeva e pretende fortissimamente di porre al centro del Protocollo l’ormai “suo” (essendosene appropriata nel frattempo con un atto unilaterale davanti al notaio) “Progetto Andrea” (di cui pure come psicopedagogista io ne ero stato il responsabile nazionale). Per noi Scuola, invece, la centralità poteva essere rappresentata soltanto dal “bambino e dai suoi bisogni espressi nella fragilità del momento di malattia”e non da questa o quella organizzazione. Questo l’oggetto della insanabile contesa! Mentre da quelle trattative per un’intesa, se doveva essere interistituzionale allargata, venivano tenuti fuori, non si capiva bene perché, i Cavalieri di Malta neanche convocati dalla direzione dell’AUSL benché attivamente presenti in pediatria dal 1998…
“Allora, la Scuola in Ospedale, non si tocca! Punto e basta!!!” aveva dovuto dichiarare alla fine il dr. Benito Battigaglia dopo un primo tentativo di buttarla fuori operato da Esposito già nel 2005. Pochi sanno, poi, che la “Scuola in Ospedale” non dipende assolutamente dalla AUSL e che non le costa una sola lira del suo bilancio, ma dipende dalla Direzione didattica per conto dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio. Pochi sanno, o preferiscono non sapere, che il direttore generale dell’U.S.R., dr.Bruno Pagnani, con una lettera ufficiale alla AUSL di Latina, indecentemente ignorata, ha sostenuto e chiesto con forza il mantenimento della Scuola in Ospedale. Sono state fatte, però, prevalere formali e pretestuose idee di impostazione di un nuovo, pur indefinito, “setting” per tentare prima di ridimensionare le finalità e l’operatività della Scuola e poi di relegarla nella marginalità logistica di un IV piano, in una stanza lontana da pediatria e priva di tutto. E’ stata rifiutata dalla AUSL, l’autunno scorso, l’offerta del Ministero per la cablatura gratuita dell’aula. Mentre noi volevamo, attraverso i due PC dati in comodato alle insegnanti, sviluppare il collegamento con le scuole di provenienza e la famiglia. Trovata soltanto opposizione. La coppia Saitto-Esposito è andata, perfino, sostenendo che la Scuola non doveva più operare sui bambini (solo questo è invece il suo target!) ma avrebbe dovuto provvedere, d’ora in avanti, alla formazione degli operatori del volontariato e del servizio civile. Fingevano di non capire i Saitto e gli Esposito che il solo fatto che la scuola operasse “fuori dalla scuola” in ambiente interno all’ospedale non implicava la sua perdita di autonomia istituzionale ma semplicemente che suggeriva di modulare i suoi interventi sulle primarie necessità della salute del bambino ammalato e dell’organizzazione della giornata ospedaliera. Il vero senso del difficile negoziato per un protocollo veniva di continuo artatamente travisato. E così, alla fine, si son visti traditi i diritti dei bambini perché, anche nella brevità della loro degenza al Goretti, basterebbe la sola percezione del tempo che i bambini hanno, che non è assimilabile a quella degli adulti, per giustificare il diritto ad una pedagogia rogersiana di “aiuto e facilitazione”. Tre-quattro giorni da certi bambini possono essere senso-percepiti come la durata di una vita! Perché non aiutarli, allora, con la delicata azione di una Scuola che si mette a servizio per sostenerli nel momento della loro maggiore fragilità psicologica per la malattia? Una scuola che diventa “domiciliare” e continua ad operare, anche dopo l’ospedale, tra le pareti di casa, se necessario. La responsabilità dell’AUSL di Latina è stata ed è grave e lo diverrebbe ancor di più se anche con Coiro e Lazzaro, subentrati a Petti e Saitto, si dovesse mantenere quell’impostazione di ostinato rifiuto.
Sergio Andreatta
dirigente scolastico del M.P.I.,
psicopedagogista, autore del “Progetto sociopsicopedagogico di aiuto al bambino ammalato”,
autore del saggio “Bambini una volta” (1998),
direttore de “La Scuola in Ospedale S.Maria Goretti” di Latina.