25th Apr, 2008

Pax tibi, Marce. Pace a Te, Latina

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Quando, tra il 1932-’33, 30mila veneti approdano in treno nell’ “America in Piscinara”, nell’Agro Pontino appena redento dalle paludi e dalla malaria, per prendere possesso dei poderi assegnati dall’O.N.C., continuano a portarsi nel loro cuore, attraverso la devozione al loro santo e alla loro madonna (noi Andreatta quella del Còvolo e di M.Bèrico), anche il culto delle loro radici culturali e paesane. Veneti tradizionalmente cattolici. Per i veneziani e le genti venete il 25 aprile rimane ancora oggi una festa molto importante, radicata da secoli nella loro storia. S.Marco è il Patrono della Serenissima Repubblica, il protettore della Città e delle sue virtù politiche. I pionieri della bonifica integrale, i coloni veneti, vogliono e ottengono che sia così anche a Littoria (magari con i padovani più legati a S.Antonio) dove rappresentano ormai la maggioranza dei nuovi residenti tra i 1.812 della città e quelli più numerosi dei Borghi. Per non dover recidere traumaticamente il cordone ombelicale di una loro antropologia culturale, di una tradizione millenaria, di una devozione profonda. Protegga, quindi, S.Marco la nostra Città pontina e le… virtù politiche, se ci sono, dei suoi amministratori. Se, invece, non ci sono le ispiri ex novo

 

Un’antichissima tradizione vuole il giovane Marco, testimone della cattura di Gesù nell’orto degli ulivi, discepolo e scrivano vicino a Pietro. Lo segue, passando come vuole la storia lungo la nostra Via Appia del Forum Appii e delle Tres Tabernae (ecco, un altro forte legame col territorio pontino!) fino a Roma dove, tra il 50 e il 60, scrive il Vangelo che Pietro gli detta. La Via Appia, regina viarum, del “Quo vadis, domine?”. Dopo qualche anno nella capitale dell’impero a suo fianco, Pietro lo invia a settentrione come missionario di una lieta novella senza confine. La tradizione lo vuole ad Aquileia, dove converte Ermagora, divenuto in seguito primo Vescovo della città. Successivamente, mentre naviga nell’Adriatico viene sorpreso da un fortunale che lo sbatte sulle isole Rialtine (il cuore di quella che sarà, qualche secolo dopo, Venexia). Addormentatosi sogna un angelo messaggero: «Pax tibi Marce evangelista meus», un angelo che sembra dirgli che in quelle isole avrebbe trovato riposo alla fine dei suoi giorni.

Ma su indicazione di Pietro, Marco si sposta per divenire il primo vescovo della Chiesa di Alessandria d’Egitto, in seguito luogo della sua passione. I sacerdoti pagani del culto di Serapide  reagiscono, infatti, invidiosi della sua crescente popolarità durante la reggenza dell’Imperatore Traiano (53-117). I suoi nemici, come è toccato all’amico don Andrea Santoro, lo aggrediscono durante un momento di preghiera. Legato, picchiato, torturato, schernito, lapidato viene trascinato a Bucali, sede della prima chiesa da lui fondata, e incarcerato. Il giorno seguente, un 25 aprile probabilmente dell’anno ‘72, è trascinato per le vie del paese, picchiato e, finalmente, ucciso. Fallito il tentativo di bruciarlo per lo scoppio di un violento uragano il corpo del martire viene raccolto dai suoi seguaci e nascosto in una grotta. Soltanto nel  V secolo, in tempi più sicuri, viene trasferito nella chiesa costruita al canopo di Alessandria.

Poi nell’828 due leggendari mercanti veneziani, Buono da Malamocco e Rustico da Torcello animati dal desiderio di proteggere le sue reliquie minacciate dai saraceni, le trasferiscono avventurosamente a Venezia, dove giungono il 31 gennaio dopo aver superato i severi controlli degli islamici (si narra di come i due astuti veneziani nascondessero il prezioso tesoro sotto una partita di carne di maiale), l’arenarsi su una secca ed una spaventosa tempesta. Le reliquie vengono accolte in città con tutti gli onori dal doge Giustiniano Partecipazio e deposte provvisoriamente in una cappella, il luogo ove oggi si trova il tesoro di San Marco. Inizia subito il fervore della fabbrica per la Basilica che termina nell’832 dove, come scrisse Dante Alighieri: «Cielo e mare vi posero mano»…

San Marco è scelto come Patrono principale della Basilica e della Serenissima, in sostituzione del precedente San Teodoro, il Santo Militare venerato fino all’XI secolo (le colonne tra il molo e la piazzetta sono ancora oggi sovrastate dal Leone di San Marco, che artiglia il Libro con la scritta “Pax tibi Marce evangelista meus”, e dalla statua del guerriero Teodoro che uccide il drago (Foto di Sergio Andreatta).

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La Basilica marciana viene ufficialmente consacrata il 25 aprile del 1094, giorno in cui sembrano accadere fatti davvero prodigiosi. Narrano le cronache del tempo come la cerimonia di consacrazione venisse preceduta da settimane di digiuni, penitenze e preghiere per chiedere la grazia del ritrovamento delle reliquie dell’Evangelista, che, nel frattempo, erano andate perdute.

E alla fine di una intensa Santa Messa celebrata dal Vescovo ecco spezzarsi una sezione marmorea della navata di destra e comparire all’improvviso la teca contenente le sacre reliquie. Da allora il Leone Alato viene riprodotto, nel significato più forte di un semplice marchio, in ogni angolo della Città, in ogni dominio della Serenissima, dall’Istria a Cipro, a Rodi ai fòndaci della Turchia. In questo simbolo si identifica la parte più imponente della sua storia. Il vessillo del “Leone di San Marco” dall’alto degli alberi della flotta serenissima incuterà rispetto e timore in mille leggendarie battaglie come a Lepanto, dove a difesa dell’Occidente ai veneziani si unirono tante altre forze della cristianità tra cui i marinai di Gaeta, di Terracina e il duca di Sermoneta. Il vessillo marciano darà senso di protezione, sicurezza alle vie di mare del Medio Oriente fino a quelle dell’Africa settentrionale. Il Leone alato continua ancora oggi a proteggere il Veneto contemporaneo. «Pax tibi, Marce, evangelista meus» è scritto sulle due colonne, una in cattedrale l’altra in piazza, donate a Latina dalla città di Venezia.

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S.Marco protegga questa nostra Latina cresciuta in fretta fino a 120mila abitanti (115.259 secondo Fonti Istat – 2007, senza contare le presenze neocomunitarie ed extracomunitarie) dove le tradizioni, più che a far ritrovare i veneti-pontini, sembrano sfarinarli rapidamente in una torta multietnica sempre più  mescolante, anello dopo anello, la loro catena generazionale… A sera vado in S.Marco per il pontificale. Ci sono poche persone oltre i politici rappresentati dal sindaco Vincenzo Zaccheo.

   

 

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E anche il vescovo mons. Giuseppe Petrocchi entrando in corteo nella cattedrale deve aver pensato che in questa città giovane e di giovani è più forte, ormai, il richiamo del weekend.  Nel relativismo diffuso ognuno cerca la sua liberazione, gli corre dietro in una giornata che, pure, storicamente deve ricordare agli Italiani il 1945 quando il nostro Paese, con l’aiuto “sine qua non” degli Americani, seppe liberarsi dalla tragica oppressione nazifascista e via via (Referendum del 2 giugno 1946, Assemblea Costituente e Costituzione Repubblicana dal 1 gennaio 1948) introdursi in un moderno sistema istituzionale di Stato democratico che non aveva mai avuto prima.  © – Sergio Andreatta, oriundo veneto di Paderno del Grappa

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