30th Dic, 2011

Chi ha paura dell’autonomia di pensiero e di comportamento delle persone?

Chi ha paura dell’autonomia di pensiero e di comportamento delle persone?

Particolarmente in questa nostra età multimediale, qualificata da tante opportunità in più in classe e arricchita da tanti supporti tecnologici come le L.I.M., lo sviluppo del pensiero critico non è solo un valore aggiunto per lo sviluppo delle potenzialità della persona ma un obiettivo irrinunciabile da parte di ogni buona scuola.

di  Sergio Andreatta (586)

 

 

 

autonomia-pensiero__www.andreatta.it_(586)

Uno dei compiti più significativi che si assegna alla scuola è quello di insegnare a pensare. Un compito assolutamente importante al punto da essere da alcuni ritenuto controverso e perfino pericoloso. C’è, infatti, chi ha paura dell’autonomia di pensiero e di comportamento delle persone, del loro pensiero critico, della loro libertà intellettuale che può tradursi in libertà politica. Questo è il vero punto temibile: la libertà politica. (Continua)

Ma pensare (cogito, ergo sum) è essere, come scrive Renè Descartes. E “pensare è dire no” come scrive Alain nel suo libro “Il cittadino contro i poteri”. La scuola verrebbe essenzialmente meno al suo mandato, alla sua mission se, oltre a promuovere l’intelligenza emotiva, rinunciasse a sviluppare per tempo la criticità nel pensiero dei suoi alunni. Nell’apprendimento lo studente attiva naturalmente un processo di pensiero che lo induce ad elaborare ipotesi (problem solving) per risolvere i problemi. Solo questa è da intendersi, dal punto di vista scientifico, come conoscenza significativa. Non basta il solo insegnamento trasmissivo che “salva la buccia ma perde il cuore del sapere, il fuoco che lo alimenta, la sua bellezza” scrive Italo Fiorin in “Scuola e didattica” (n.2/2011 pag.6). Non basta il vuoto e sterile attivismo, che a volte pur si osserva a scuola, pieno di tante cose vuote ma privo di irrinunciabili significatività. Né bisogna mai fermarsi durante il “romanzo” di formazione ad una concezione meramente utilitaristica del sapere, alla immediata spendibilità (utilità pratica) di abilità e competenze né all’insegnamento verbalistico e nozionistico delle vecchie lezioni magistrali. Bisogna portarli a scoprire, a seguire il filo rosso della ricerca-azione, incamminarli fin dalla scuola dell’infanzia per i “campi di esperienza”, fino alla scoperta e all’uso della prima alfabetizzazione disciplinare (ambiti) nella scuola primaria e del I ciclo, fino a far via via acquisire un metodo di studio che tenga conto, attraverso l’emozione della scoperta, dell’epistemologia propria di ciascuna disciplina. © – Sergio Andreatta, psicopedagogista, dirigente scolastico, saggista. Riproduzione riservata

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