2nd Giu, 2007

Gabriele Casale, Eucalyptus (Mostra di pittura)

Il venticinquenne talento pontino, che si è formato al Liceo Scientifico “E.Majorana” di Latina, proseguendo poi i suoi studi artistici all’Accademia delle Belle Arti di Roma, dove ha conseguito il diploma di laurea in pittura, espone per la prima volta dall’1 al 10 giugno 2007 nello Spazio espositivo “La Libellula”, in Via Serchio 2 a Latina. Suo mentore il grande Marko Ivan Rupnik.

Al primo impatto visivo si prova una certa sorpresa, se non un certo sconcerto.”Ma dov’è la mostra?” si sarà anche chiesto qualcuno. Sì, perché gli oltre trenta acquerelli e china su carta, di varie misure, ben organizzati in questo grande e anche improprio spazio espositivo di periferia, sembrano offrirsi a te soltanto come un… aperitivo, un primo approccio, un passaggio a qualcos’altro che sembra stare in un’altra stanza… Una propedeutica a… Il tema è uno: monotono, monocorde se in silenzio sai anche stare, cogliendone le note; ma è tanti nello stesso tempo, perché tante possono essere le decifrazioni, le piste di lettura. Non ti devi, così, fermare a quello che vedi ma spingerti oltre a quello che senti. Solo scarne immagini di eucalyptus, di uno, di due, di tre, di tanti: piantati come colonne lignee, quindi effimere, su un suolo bruno da sembrare bruciato fino a diventare in questa terra pontina, dove dal 1936 quando furono messi a dimora come primi frangivento figurano come una delle presenze caratteristiche più significative, quasi delle simboliche cattedrali neocistercensi. Sullo sfondo sembra esserci una vaga e neanche tanto lontana evocazione all’Abbazia di Fossanova. Mi dice Gabriele: “Sono stato impressionato, la prima volta, dal tronco di un eucalyptus bruciato, mi è nato qualcosa dentro, l’ho elaborato a partire dal luglio 2006. Mi sono staccato poi dalla fisicità, i tronchi possono sembrare tagli…”. Le sue parole mi fanno sovvenire Fontana con i suoi drammatici ma cesarei tagli sulla tela, le sue rotture ma qui il discorso è, però, diverso anche se non disgiunto da uno spirito di avvertita ribellione. I suoi quadri in un velo di triste pessimismo mi fanno anche ricordare, ed è per me naturale, il mio primo libro di poesie con lo stesso titolo di “Eucalyptus” (*) quando nel 1980 mossi dalle stesse sensazioni, non so se prima degli alberi o prima mie, io che fin da piccolo avevo trovato, anche il giorno della tragica morte di mio padre proprio cinquant’anni fa, il mio rifugio e la mia consolazione (“Io ti consolerò” è il vero, etimologico significato di eucalyptus) nel più alto ramo di una pianta nel podere di Borgo Bainsizza. I tronchi di Casale, i mozziconi di tronchi perché si interrompono sempre sul fusto senza mai arrivare a una chioma, mi sembra possano rappresentare nell’elezione del suo linguaggio, un sofferto ideale di cambiamento e di affermazione di sé, non soltanto artistica. “L’albero è la coscienza e la memoria del luogo e rappresenta nella sua verticalità un movimento ascensionale che parte dalle viscere della terra” dice Casale. Nelle sue parole si ravvisa un anelito interiore, spirituale; lo si coglie nel grande tronco di eucalyptus, il maggiore rispetto a tutti gli altri, adagiato sul pavimento e che solo esso si protende verso un tentativo atipico di chioma che si realizza in una croce. Una croce, perché bisogna anche sapere che Gabriele Casale lavora e vive nella comunità artistica, che è anche religiosa, di padre Marko Rupnik nel Centro Aletti di Roma. Marko Rupnik, di cui abbiamo anche scritto in altri articoli, è uno dei più grandi mosaicisti viventi, autore della Redemptoris Mater, la Cappella di Giovanni Paolo II nel Palazzo Apostolico del Vaticano, e di altre insigni opere sparse per tutto il mondo. E’ il grande artista slavo che insegue la luce e spesso la cattura con l’uso di materiali, i più svariati e impensabili. Di lui è molto noto il rapporto con la sacralità sontuosa del mondo artistico orientale, con i suoi simboli preziosi, leggeri, colorati, decorativi e, soprattutto, con le filosofie orientali che in questa sacralità carica e profonda si condesano. Nelle preziose e raffinate installazioni musive di Rupnik si coagulano memorie e allusività simboliche inseguenti, oltre la luce rappresentata dall’uso abbondante dell’oro, i ritmi musicali della quotidianità dell’esistenza… Apre la presentazione Vincenzo Scozzarella. Ma non sa dire molto il critico e storico d’arte, forse lui stesso sorpreso da questa straordinaria e per certi versi indecifrabile performance, quasi pauroso anche di compromettersi ma richiama, comunque, opportunamente al silenzio della visione abbandonando ogni criticità superflua… Se non c’è un percorso silente che accompagni quest’arte, un percorso quasi… monastico, in effetti, difficilmente se ne apprezzerebbe oggi il giusto valore. Valore che viene, invece, ben messo in luce da Rupnik: “…Ogni vero artista si riconosce dal suo inizio, perché un vero talento si fa sentire. E’ come l’acqua che non si riesce a trattenere, un fuoco che non si può spegnere. E quando si fa sentire non si può giudicare con i criteri della maturità dell’opera creata, ma si giudica soprattutto secondo la forza con cui si presenta… Casale è tra quelli che amano un realismo visivo quasi estremo”. E ricorda certe correnti artistiche di super-realismo e iper-realismo, cui sembra ispirarsi, che operarono nell’ambito culturale anglosassone americano. Casale è attento alla realtà che rielabora, che fa esistere come artista: “… in un inscindibile legame con la luce”. Cioè proprio come lui, il suo maestro. “… la vita non è possibile pensarla senza la luce. Luce, vita ed esistenza”... L’albero viene dalla terra e Casale viene attratto esattamente da quello spazio in cui la terra diventa albero, ossia dove l’albero affonda nella terra. Poi l’albero è un tronco potente che si innalza, una colonna…”. Ed ecco ancora un suo riferimento alla tecnica pittorica usata dall’artista pontino:”…le chiazze di colori, quasi a richiamare la seconda generazione di impressionisti, fanno vedere la serie di tronchi che si innalzano dalla terra e diventano inabitati di luce. I tronchi come colonne di luce… nella maggioranza dei casi il tronco nella parte superiore del quadro si perde nello sfondo, in questa luce che si unisce con il cielo e viceversa. La terra e il cielo, oppure l’oscurità della terra e la luce, l’albero come luogo di incontro, l’albero come organismo di unità…” E Rupnik conclude: “Casale dunque entra nella pittura odierna agganciandosi a delle correnti americane segnate da una certa moda, ma lui immediatamente fa vedere che questo gli serviva come ponte per lo sbarco”. Certo per un primo sbarco. La sua giovane età fa pensare, infatti, a una ricerca-azione personale, ad un percorso pittorico che è appena agli inizi, a chiome ancora da disegnare nel bosco degli incompiuti eucalyptus pontini. © – Sergio AndreattaRiproduzione riservata.

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