Il Giorno della memoria 2012
Vincere l’indifferenza e contrastare ogni rigurgito di negazionismo basato sull’ignoranza dei fatti e sulla malafede nutrita da malate ideologie.
di Sergio Andreatta (590)
Il 27 gennaio di ogni anno non si celebri una vuota ritualità, si pensi con spirito di partecipazione alla Shoah che non è un mito costruito ad arte. Non si tratta di un mero problema storiografico ma di una dimensione politica e del nostro agire etico. Si tratta della fiducia che noi stessi riponiamo nella libertà ma anche di una questione di inquitudine che persiste nelle nostre anime. Per questo l’anziana etnologa francese Germain Tillion ha ritenuto di dover ripubblicare oggi, aggiornandolo per la terza volta, il suo libro “Ravensbrück“, “a la recherche de la verité“, introducendo la sua esperienza personale, il suo arresto, la sua deportazione, la sua sopravvivenza a differenza della madre uccisa, perchè la verità non vacilli e non venga sopraffatta sotto gli ignobili colpi di falsari le cui idee non dilagano soltanto in internet ma si diffondono anche nelle aule scolastiche e universitarie.
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A Terezín
Terezín, in tedesco Theresienstadt, è il nome di una piccola città nella regione di “Ústí nad Labem” della Repubblica Ceca, a circa 60 km a nord di Praga.
La località è nota, soprattutto, per la presenza, durante la seconda guerra mondiale di un campo di concentramento e per essere stato il luogo di prigionia e morte di Gavrilo Princip, il famoso rivoluzionario bosniaco, autore nel 1914 dell’attentato di Sarajevo al duca d’Asburgo che avrebbe scatenato lo scoppio della I Guerra Mondiale. Nel campo di Terezin furono imprigionati circa 144.000 ebrei, dei quali 33.000 morirono, soprattutto, a causa delle inumane condizioni.
Essendo un campo di transito circa 88.000 prigionieri furono deportati verso il campo di concentramento di Auschwitz e altri campi di sterminio. Quando il 9 maggio 1945 le forze sovietiche arrivarono a liberare la città dall’occupazione nazista si poterono contare 17.247 sopravvissuti.
Parte della fortificazione separata dal ghetto, la “piccola fortezza” (in ceco: Malá pevnost, in tedesco: Kleine festung), venne utilizzata come prigione dalla Gestapo a partire dal 1940. Circa 90.000 persone furono qui imprigionate, 2.600 morirono.
Oggi un Museo mantiene viva a Terezín la fiamma della pietà e della memoria contro ogni superstite rigurgito criminale di negazionismo. Molti italiani ogni anno, tra cui numerosi insegnanti con le loro classi, si recano a visitare questi luoghi di dolore e di morte. In questi giorni anche Francesco Profumo, il nostro ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, si è portato con una delegazione a Terezin per commemorare il Giorno della Memoria e si è profondamente commosso. In questo fine settimana molti sindaci italiani, anche ex-fascisti, si sono mossi dai loro municipi e dalle loro città verso i lugubri luoghi della memoria. Ogni persona per bene spera che questo non avvenga annualmente come per una sorta di macabro rito turistico. Per la scuola non credo possa esserci più incisivo insegnamento di questo memoriale per tentare di costruire l’amore alla vita e l’educazione al sublime rispetto di tutte le pari dignità delle persone senza distinzioni di sesso, razza, lingua e religione. Per un mondo, finalmente, di pace come solo i bambini, nella loro purezza, se lo sanno immaginare. Molte insegnanti delle scuole primarie del IV Circolo didattico di Latina da me diretto hanno variamente ricordato la significatività della data e promosso una riflessione morale a tutto campo su quegli avvenimenti da noi mai troppo lontani.
(Continua)
I bambini concentrati a Terezín erano 15.000, in quanto campo di transito era infatti previsto uno spazio per bambini, ne sono sopravvissuti meno di 100. Quattromila disegni e sessantasei poesie sono tutto quello che ci resta di loro.
La poesia pubblicata porta la data del 1941, non si conosce il nome di chi l’abbia scritta, ma il messaggio che ci affida è, malgrado tutto, di fiducia nella vita e ne canta la bellezza.
L’autore s’identifica con il volo libero dell’uccello come un’altra bambina, autrice di un disegno, si identificava in una farfalla. Speranze inconsce di poter trascendere, con l’anima, quella immane incombente tragedia che stava per sopraffarli tutti.
Vedrai che è bello vivere
Chi s’aggrappa al nido
non sa che cos’è il mondo,
non sa quello che tutti gli uccelli sanno
e non sa perché voglia cantare
il creato e la sua bellezza.
Quando all’alba il raggio del sole
illumina la terra
e l’erba scintilla di perle dorate,
quando l’aurora scompare
e i merli fischiano tra le siepi,
allora capisco come è bello vivere.
Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza
quando cammini tra la natura
per intrecciare ghirlande coi tuoi ricordi:
anche se le lacrime ti cadono lungo la strada,
vedrai che è bello vivere.