19th Giu, 2007

Latina. Vibrazioni celtiche a S. Chiara

In una tranquilla stradina di Latina, a pochi metri da Piazza Aldo Moro…
” Se anche tu sei tra quelli a cui piacciono questo genere di cose, questo è proprio il genere di cose che piacciono a te!” così c’è scritto nell’invito…
Poi, in mezzo ai più noti bardi dei Folkroad, si dà a suonare anch’egli il suo magico flauto…

Avvolti dagli incalzanti ritmi celtici dei “FolkRoad” e davanti ad un buon piatto tipico pensando alla costruzione della Chiesa che, come l’isola, non c’è.
No, non c’è la Chiesa.
Non c’è mai stata a Santa Chiara nei pressi di Piazza Moro, ma c’è una parrocchia latinense, grande di oltre 6.000 persone, senza contare i nuovi arrivi.
Al posto della Chiesa un capannone bianco col tetto in eternit di neanche 200 mq. ridossato al muro perimetrale del Monastero delle Clarisse.
Le monache si sono radunate qui abbandonando il cinquecentesco convento di Sezze ma arrivando, oltre che da lì, da altri ripari del Basso Lazio, riunendo la loro diaspora e per dare consistenza ad una piccola comunità.
Il terreno dove sorge la precaria Cappella è di loro proprietà.
Siamo quasi al centro di Latina, ad appena 6-700 metri dai Giardinetti, nel centro di un quartiere in espansione per via di nuovi palazzoni.
Sono oltre trent’anni che i fedeli hanno incominciato a raccogliere fondi, ad autotassarsi, a versare regolarmente e a propagandare il versamento dell’8 x 1000 con la speranza di vedere realizzato il loro più intimo sogno, quello di una chiesa e di un oratorio.
Anche il proverbio irlandese che sta, come segna-posto sul mio tavolo, dice:”Praise the ripe field not the green corn“, loda il grano maturo non il campo verde ma qui, da più di trent’anni ormai, siamo sempre e solo ancora al grano verde…
Un po’ di storia vede la nascita di questa Parrocchia della periferia est del capoluogo nel decreto emesso il 16 ottobre 1969 dal Vescovo mons. Arrigo Pintonello.
Così fu il bisogno di uno spazio al chiuso per i riti dell’assemblea ad accelerare la costruzione di questa precaria cappella al Piccarello, sul terreno di proprietà della Provincia Romana dei Frati Minori.
E venne, anche, nominato amministratore parrocchiale della nascente realtà ecclesiale P. Emilio (Antonio) Vincenzi.
Il riconoscimento agli effetti civili, da parte del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, doveva arrivare con il decreto n. 971 del 19 dicembre 1983.
A Padre Emilio, sostenuto dall’impegno generoso dei parrocchiani, venne riconosciuto il 1 agosto 1984 l’incarico di I parroco di S. Chiara.
Quello del parroco, oggi, è un mandato esaltante ma faticosissimo, da spendere senza pause nel servizio pastorale, da irradiare sulle aspettative crescenti e spesso esigenti di gente, talvolta criticona.
L’incremento della popolazione, dopo una generazione, faceva sì che la ristrettezza delle strutture parrocchiali fosse diventato il più grave e sentito di tutti i problemi del quartiere.
P. Emilio si preoccupò, così, di far elaborare un progetto da alcuni tecnici… ma moltissimo altro restava ancora da fare perchè il terreno, dove come prima risposta al bisogno era sorta quella cappella terzomondiale, non era abbastanza esteso da poter ospitare allo stesso tempo sia la nuova Chiesa sia il Monastero delle Clarisse.
Nel frattempo la cura della comunità passava nel 1987, per decreto del Vescovo Domenico Pecile, dalle mani dei Frati a quelle di un parroco diocesano, il vicentino don Gianni Paoletto.
Con il suo fervore di “curato di campagna” egli riuscirà in breve tempo a rinnovare e rianimare tutti i settori della languente vita pastorale di S.Chiara dedicandosi con più energia alla comunità ma anche alla ricerca, ormai assolutamente prioritaria, di un terreno dove poter costruire un centro parrocchiale degno di tal nome.
E anche il progetto-chiesa per incarico di don Gianni, nominato vicario foraneo, venne completamente rifatto nel 1998 ad opera dello studio dell’ingegner Benito Vittorio Ortu.
Intanto si prospettò la necessità dell’acquisto immediato, con parte dei fondi raccolti, degli attuali locali oratoriali, messi all’improvviso in vendita dal proprietario.
Serviva quel minimo di sicurezza necessaria a un’organizzazione pastorale e, soprattutto, alla catechesi dei ragazzi.
E siamo così arrivati agli ultimi anni della vita della Parrocchia di S.Chiara con la titolarità assunta dall’attuale parroco, il beneventano don Daniele Della Penna.
Il nuovo vescovo, Mons. Giuseppe Petrocchi, non poteva che osservare, intanto con interesse, la linfa viva di una nuova animazione spirituale e non poteva non recepire sempre più l’emergente bisogno, anche a lui rappresentato, di una nuova sistemazione mentre già qualcuno, al contrario, veniva ventilando l’ipotesi di una opportuna soppressione a favore delle parrocchie viciniori.
Poi le esigenze finanziarie della nuova megacuria vescovile in costruzione a Via Sezze lo portava, però, a chiedere in prestito alla Comunità parrocchiale e al Consiglio pastorale la gran parte di quanto faticosamente raccolto nei trent’anni precedenti.
Le coraggiose rimostranze di alcuni parrocchiani inducevano in seguito il monsignore ad un ripensamento e alla restituzione di quelle messi.
Intanto in data 16/12/2004, con deliberazione del Consiglio Comunale di Latina n. 150, veniva assegnato un terreno di mq. 9.826, in diritto di superficie e a titolo gratuito, ai fini della costruzione delle opere pastorali e della nuova chiesa.
Il 16 settembre 2005, alla presenza del notaio dott. Nasoni, veniva firmato da don Daniele, previa autorizzazione dell’Ordinario diocesano, e dall’arch. Ventura Monti l’atto di concessione dello stesso terreno.
E’ di questi giorni, infine, esattamente del 4 u.s., la presentazione del progetto al Comune di Latina ai fini della concessione edilizia.
Un comitato ‘Pro Costruenda Chiesa’ molto attivo, affiancato dall’impegno del Consiglio Affari Economici si sta dando, quindi, molto da fare per incrementare in tutti i modi possibili la raccolta di nuovi fondi, partecipando ogni mese al “Mercatino della Memoria” in Corso della Repubblica con un proprio stand, promuovendo le donazioni e le iniziative socioculturali come quella del 1st Irish Evening di domenica sera…
E l’appuntamento, non a caso, è stato con l’Irlanda che “Mille e più anni or sono quest’isola, scivolata in mezzo all’Atlantico, tagliata fuori dal fitto delle terre, era il cuore ardente d’Europa“, come scrisse nel suo “Diario d’Irlanda” Heinrich Boll.
In realtà è il parroco stesso, don Daniele della Penna, che fa rivivere in tutti i presenti i molti cuori dell’Irlanda, le sensazioni forti di questa terra vissute per prima nella sua stessa anima, i ritmi musicali, i paesaggi, le pietre del tempo morto e di quello vivo, il vociare popolare e sconnesso del pub, il gusto di una pinta di birra tracannata col dovuto… ritegno irlandese.
Il parroco, che via via dopo aver trascinato missioni di giovani pontini in quelle coste e per quelle plaghe restituendoli ricaricati alle loro famiglie, si esalta quando sale sul palco per ricordarci i fascini e le suggestioni di una terra neanche tanto lontana…
… Sad I am to journey from the hills of Ireland
sad to leave it’s shores,
sweet country of the bee-haunted hills,
island of many horses.

Whenever I wander overseas eastwards,
having turned my back on Ireland,
carrying a broken heart with me,
that heart that loved no sod but Ireland …
Poi, in mezzo ai noti bardi dei Folkroad, si dà a suonare anch’egli il suo flauto riscuotendo i meritati applausi di tanta gente sorpresa di vederlo insufflare.
Così ora anche la sua pancia sembra ridere…
Come ridono i palloncini verdi solleticati dai bambini piccoli prima di tentare il loro breve volo verso l’alto.
Ridono le vibrazioni dell’arpa celtica di Veronica Feppi o le sonorità scorrevoli del violino di Valentina Ottaviani, della chitarra di Antonio Colaruotolo, dell’organetto di Vincenzo Zenobi.
Ogni tanto esplode in un virtuosismo la batteria di non ricordo più quale musicista (Orazio Fanfani, ora mi ritorna in mente).
C’è tanta bella gente pagante ai tavoli, questa sera, che non c’è più neanche un solo posto vuoto. Occorrono di continuo altre sedie, altri tavoli che si aggiungono.
Il menù è quello tipico, come la bevanda servita da un notevole mastro birraio.
E c’è anche l’apple-pie.
Bella… pesca, penso, per la costruzione della nuova chiesa, se davvero la si vorrà fare.
Sulle pareti del cortiletto è stata allestita una mostra “La mia Irlanda” con tante bellissime e curiose foto scattate dai seguaci del sacerdote in quel paese.
Mostra ricca di didascalie e pagine d’introduzione, ben curata.
E c’è anche un giovane-antico guerriero, rivivente in costume, che si aggira sornione tra la gente menando fendenti con la sua spada, improvvisandosi maestro di un’improbabile scuola marziale per bambini di oltre otto anni.
Intanto sul palco, sotto i due simmetrici tricolori che si danno la mano, la famosa (anche per la partecipazione musicale a qualche film americano famoso) band etnica pontina diretta dai fratelli Marcello e Piermario De Dominicis sciorina un repertorio facile e gradevole, non fosse che per la lingua che diventa, in alcuni casi, un ostico e intraducibile slang che però nessuno si sforzerà di… comprendere.
In questi casi basta e avanza la sola musica, il ritmo che esorcizza ogni diffidenza e spinge tutti in t-shirt verde Irlanda o no, e specialmente i gioiosi bambini, a tumultuose gighe.
“…, no matter how tall your grand father was“, così per un attimo nessuno si preoccuperà più di quanto fossero alti i suoi nonni ma di quanto possa crescere ancora questa nostra comunità.

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