Il Vescovo Luca Brandolini ricorda a Picinisco il significato e l’importanza del diaconato
Non era né vescovo né sacerdote ma soltanto un diacono che assisteva il vescovo nei suoi uffici e nelle funzioni liturgiche. Siamo nell’antica Roma imperiale di 1750 anni fa. Si ricorda, così, quest’anno il martirio del protodiacono Lorenzo, avvenuto a Roma nel 258 d.c. sotto l’imperatore Valeriano. L’evento si celebrerà con particolare solennità il 10 agosto prossimo in molte parti dell’Italia e del mondo. In provincia di Frosinone anche ad Amaseno (Diocesi di Frosinone), dove la tradizione vuole custodita un ampolla con il sangue del santo che ad ogni ritorno di ricorrenza si comporta chimicamente (liquefazione) come quella di S.Gennaro a Napoli e a Picinisco (Diocesi di Sora) dove già nel XIII venne eretta un’importante chiesa matrice. E a Picinisco c’è questa anteprima di oggi. Davanti alle reliquie poste sull’altare e ad una statua lignea secentesca restaurata e che andrà in “peregrinatio” nelle case il Vescovo Luca Brandolini di Sora, ricorda l’ufficio antico del diaconato. In tre passi neotestamentari (Filippesi 1:1; 1 Timoteo 3:8,12) i diaconi (dal greco, diákonos, “servitore”) compaiono sempre in stretto collegamento con i vescovi. Nella Chiesa antica, il diacono era l’assistente del vescovo, responsabile soltanto davanti a lui, che l’aveva ordinato, dei servizi di carità che rendeva continuando a vivere nella sua famiglia e in società. “Il diaconato ebbe inizio quando sette uomini, tra cui il protomartire S.Stefano, furono ordinati dagli apostoli perché servissero alla “mensa del vescovo” (Atti degli Apostoli 6:1-7) e assicurassero assistenza alle vedove, agli orfani e ai poveri”. Seguendo questa tradizione, il numero dei diaconi che assistevano un vescovo fu a lungo limitato simbolicamente a sette; a Roma i sette diaconi si occupavano delle proprietà della diocesi e finirono con l’esercitare anche un potere amministrativo notevole. Nel Medioevo, tuttavia, il diaconato perse questa funzione e questa preminenza, divenendo solo uno degli ordini maggiori, un gradino sulla via del sacerdozio. Recentemente, anche a seguito della crisi di vocazioni sacerdotali, la Chiesa cattolica ha inteso ripristinare parte della dignità di questo antico ufficio creando diaconi permanenti, che dedicano molto tempo all’aiuto del vescovo (sono ben 17 nella Diocesi di Sora) e dei ministri in una parrocchia ma che vivono, poi, e si guadagnano da vivere con il normale esercizio della loro professione. L’atto liturgico posto principalmente in relazione con il diacono, il più visibile, è la lettura del Vangelo durante la celebrazione dell’Eucaristia ma, in realtà, il diacono svolge oggi funzioni di sostegno molto importanti e meno visibili alla gente. “I miei occhi, le mie orecchie, le mie mani…(mentre pronuncia queste parole osservo le mani tremanti per il parckinson di questo straordinario presule), ecco che cos’è un diacono. Là dove non arrivo io perché non posso materialmente arrivarci, lì arriva il mio diacono” dice con convinto e convincente fervore il Vescovo Brandolini. In realtà la sua è una bellissima figura (detto da me che sono uno spirito laico, provengo da tutt’altra parte della Regione e sono oggi qui presente per caso), come trovo bellissima ancora una volta la sua omelia dalla parte dei poveri, degli emigranti, degli ammalati ( e qui ricorda il libro sulla storia degli “ospitali”, l’ultimo e non ancora edito, scritto dal concelebrante mons. Dionigi Antonelli),
di chi ha bisogno e di cui la Chiesa di oggi come dell’antichità deve tornare ad occuparsi con più forte e vibrante impegno. Sono tante le povertà di oggi che elenca, evocando con cuore la dignità degli immigranti, i tanti i bisogni di una spiritualità moderna. Un vescovo anziano, fragile e dalla parte dei deboli, dei fragili che nel giorno della Festa della Repubblica Italiana, in Chiesa, (quasi a voler chiedere scusa per una usurpazione del religioso sul civile almeno in questa circostanza) ricorda, amando ricordarle, le espressioni del Capo dello Stato italiano, Giorgio Napolitano, per il rispetto delle dignità di tutti, contro il “pericolo di una regressione civile”.
A non essere intolleranti verso gli altri, memori delle emigrazioni di tanti uomini e donne di questa Valle di Comino verso i paesi dell’estero. In conclusione il parroco, l’abate don Antonio Molle anche rettore del Santuario del Canneto, ha ricordato, così, di essere appena rientrato dalla Scozia, da Glasgow, insieme con il sindaco ing. Giancarlo Ferrera dove si erano portati per stringere ulteriori vincoli con la comunità degli affermati oriundi piciniscani e da dove è potuto tornare con una generosa borsa di solidarietà a favore delle molte opere della parrocchia.
© Sergio Andreatta, Latina, www.andreatta.it