20th Lug, 2007

Teresa Arcari Capocci, opera prima

Alla presentazione interviene l’autrice, proveniente da Londra, il sindaco ing. Giancarlo Ferrera e il prof. Luigi Gulia di Sora per la prefazione. La pubblicazione è curata dal Centro di Studi Sorani “Vincenzo Patriarca”.Una scrittrice per caso, che mai avresti immaginato. Una scrittrice naïf che scrive come parla, genuinamente, della sua vita “seguendo unicamente l’onda dei pensieri e dei ricordi”.
Teresa Arcari Capocci, che riunisce in sé due tra i più nobili e antichi cognomi di Picinisco in Ciociaria, è una signora anziana, minuta, vacillante perfino nel passo. Una signora nata in Scozia, a Clydebank, il 4 settembre 1914. Per tanti anni l’ho accompagnata con lo sguardo, assistendola e quasi proteggendola, mentre saliva davanti a casa mia uscendo dalla stanza che ogni estate puntualmente prendeva al Cotton Club, dopo che la sua casa al Rione era stata danneggiata dal terremoto del 1984. E l’incoraggiamento dell’antico motto scritto sulla sua facciata:”Post phata resurgo”, per casa Arcari non è ancora oggi valso nulla, purtroppo. Ma la classicità ben poco ha a che fare, in ogni caso, con i terremoti. Una casa dove, pure, una domenica mattina mi avrebbe condotto dentro a vedere…
E così, sopravvivendo anche alla violenza dei terremoti e all’inagibilità perdurante della casa, puntuale ad ogni agosto, Teresa Arcari è ancora qui, nell’alta Val di Comino, per non privarsi di tutta le smeraldine bellezze del luogo avito, per non recidere le radici di matrice finché può, per rincontrare le persone care, per rievocare insieme con le parole quelle, ogni giorno di più, che svaniscono sbiadendo perfino dalla memoria collettiva di un paese ormai sempre più piccolo: Picinisco, appunto!
Ogni giorno dal suo soggiorno temporaneo la signora Teresa rampa lentamente verso la piazza del paese, Piazza Ernesto Capocci.
Abbiamo parlato insieme, qualche volta, delle sue aspirazioni letterarie, soprattutto mia moglie, Rosamaria Pirri, docente di lingua e letteratura inglese, capace di farmi cogliere certi passaggi un po’ oscuri del suo discorso. Ho avuto fra le mani le sue pagine bilingui, anche se è l’inglese la lingua che Teresa Arcari meglio padroneggia e che ha prevalentemente usato.
Cercava, così, qualcuno che, in vista di una sua edizione italiana, gliele traducesse. Poi, consigliata, si è rivolta a mons. Dionigi Antonelli che l’ha indirizzata al Centro Studi, dal prof. Gulia e da sua moglie Maria Antonietta Tersigni che curerà l’edizione.
Esperienze esistenziali di “Vita”, tipiche di tanti emigranti italiani e piciniscani, partiti già nei primi anni successivi all’Unità d’Italia e fin verso i nostri anni ’60. Da qui per la Scozia, l’Inghilterra, il Galles, l’Irlanda, il Canada, il Belgio.
Non trovi in queste pagine semplici, e niente affatto velleitarie, la letterarietà costruita e premiata di una Melania Mazzucco o di altri noti scrittori contemporanei, ma trovi, comunque, una mappa di solchi profondi della sua vita e della sua rielaborazione mentale ed affettiva tra i tanti dati che non ha voluto scartare.
Il viaggio fisico non vale e non rappresenta mai molto di significativo in sé, e spesso neanche nulla di particolarmente interessante, oltre la descrizione, spesso epidermica e vacua, del nuovo approdo.
Certi libri si accostano sterilmente alle guide turistiche, lontani dalle valenze dei diari di viaggio, senza neanche l’utilità spesso della precisa descrizione. Ma ogni viaggio acquista significato soltanto nella rielaborazione personale, nella soggettività colta più che nell’oggettività esistente, nell’interpretazione accettabilmente anche svisante. Partire per l’Inghilterra dalle Serre, frazione di Picinisco dove nella vicina Casa Cervi dimorò, come ospite, il grande scrittore D.L.Lawrence che qui completò la scrittura di “The lost girl”, partendo “con un atto di umiltà” come scrisse Guido Piovene che pure, nel suo “Viaggio in Italia”, ebbe anche ad interessarsi di personaggi della mia famiglia originaria di Paderno del Grappa.
Partire e ritornare nelle persone e nelle vicende non dimenticate, nei gesti, nelle espressioni, nelle sonorità in questo caso del dialetto napoletano, nelle nostalgie, in quello che si voleva e non si è potuto, fosse pure un giovane amore mai catturato (“carpe diem”) o lasciato, ahimè, perdutamente sfuggire con rammarico. L’amore che si traduceva in allegre serenate sotto la sua finestra. Renato e Giancarlo riposano nel cimitero di Villa Latina “sotto l’ombra della montagna, due giovani, poco distanti l’uno dall’altro, che mi hanno veramente amata”. “Se veramente ami una persona, la lasci libera. / Godi della sua desiderata libertà” scrive nell’unica sua poesia inclusa nell’ultima pagina del libro.
Vivere, emigrare, scrivere: lo hanno già fatto altre donne di ascendenza piciniscana, pioniere del lavoro ad Edimburgo, per un saggio curato dalla Regione Lazio circa vent’anni fa. Ma quella era sociologia del lavoro. Qui emozioni…
Qui prevale, nella sua letterarietà incerta, tutto il valore della memoria autobiografica con il viaggio che ancora una volta diventa metafora di tutt’altro, di un doversi prima sottrarre al bisogno evadendo dal microcosmo del genius loci, fino a diventare alla fine un naturale desiderio e la ricerca di ritorno alla meta sulle balze delle capre, a quel suo villaggio “situato su una collina bruciata dal sole” cui la Arcari si “sente legata come una calamita, con tutti i suoi ricordi…”.
Un viaggiare a ritroso, diverso da quello, culturalmente estraneo e pure qui rappresentato, l’anno scorso per il premio letterario, con “L’infinito viaggiare”, il libro di Claudio Magris.
Diceva Guy de Maupassant ‘, in “Al sole”, che “il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce dalla realtà per penetrare in una realtà inesplorata che sembra un sogno”. E’ la via non oggettiva dell’interpretazione sempre, dei suoi filtri particolari, anche quando si parla del triste fenomeno dell’emigrazione di tanta gente ciociara, andata in cerca di fortune e mai più ritornata. Anche quando si parla delle laceranti ferite inferte dalla guerra penetrata fin dentro le case del paese con la sua Linea Gustav, fin sopra la bombardata torre del Castello medioevale. Morirono persone, soldati amici o nemici diventati, poco conta. Le grosse pietre annerite sono ancora lì, croste di una ferita che neanche l’opulento benessere consumista potrà mai più rimarginare. Pietre simbolo storico, ormai, di un’aberrazione…
Per la presentazione di questa opera prima, non più di memorie di viaggio che di “memorie di emigrazione, guerra e liberazione”, che si inserisce nel filone documentario più ampio di questa suggestiva e tormentata terra di Comino, soprattutto per conoscere e intervistare direttamente l’esile e cortese autrice si può salire in questi giorni estivi al fresco di Picinisco, se non si è già intervenuti la sera del 20 alla presentazione nella nuova Casa Comunale della Cultura in Piazza Rione, prima della sua storica acquisizione al patrimonio comunale già casa paterna dell’ex ministro della Repubblica italiana Adriano Bompiani.

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