L’affondamento dell’Arandora Star e le dimenticanze della storia
Una vergognosa pagina della politica e della storia inglese della II Guerra Mondiale.
di: Sergio Andreatta
“La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di…” l’enfatica pronuncia di queste parole da parte del duce Benito Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia il 10 giugno del 1940, aveva posto quasi tutti gli italiani in Gran Bretagna in uno stato di assoluto spiazzamento. Erano oltre ventimila gli italiani oriundi di varie regioni, tra cui alcuni parenti di mia moglie che, non avendo sentore di quello che stava per accadere, non avevano fatto in tempo a rientrare tempestivamente in Italia (a differenza di altri rientrati a Roma da Londra come Giovanni, Albino (poi ufficiale dell’esercito sul fronte greco-albanese, morto a Ripi il 30 maggio del ’44 durante l’ultimo bombardamento di quel paese dove la sua famiglia piciniscana si trovava sfollata) Antonio Antonelli (poi funzionario agli Affari Riservati del Viminale), la moglie Maria Carmine Mancini (zia Mariuccia), la sorella Rosina e mia suocera Olga Mancini, soltanto da alcuni mesi andata sposa al forestale Emilio Pirri) e vennero inseriti in una “black list”, in quanto ritenuti pericolosi fascisti e potenziali spie, quindi fermati, richiusi e sorvegliati a vista. Alcune centinaia di questi, oriundi di varie parti tra cui da Bardi (PR), da Barga (LU) oggi definita dalla rivista QuiTouring “la città più scozzese d’Italia“, ma anche dal Cassinate (FR), numerosi dalla Val di Comino e da Picinisco in particolare furono convogliati a Liverpool e fatti imbarcare sul transatlantico Arandora Star.
In tutto furono imbarcati 815 prigionieri italiani, 478 tedeschi e austriaci, 174 uomini di equipaggio e 200 guardie. Il governo inglese aveva deciso così, di allontanarli dal suolo inglese e di traghettarli in Canada con la scusa di proteggerli, ma in realtà soltanto perchè li riteneva potenzialmente molto pericolosi. Ma quella nave da crociera, anziché venire contrassegnata con le protettive insegne della Croce Rossa internazionale, venne dipinta stranamente di grigio, attribuendole sembianze di nave militare, e sui ponti vennero anche installati in bella vista due cannoni. Così, più minacciosamente mascherato, il transatlantico partì all’alba del 1 luglio. Ma, soltanto ventiquattro ore dopo, non lontano dalle coste dell’Irlanda il comandante di un sommergibile tedesco, tale Gunther Prien, lo incrociò e non avendo dubbi di identificazione sulla fattispecie, aveva scorto infatti una nave militare, decise di colpirla con l’ultimo siluro ancora a sua disposizione. Quando si dice il destino… L’Arandora Star centrata affondò in soli venti minuti con il suo prezioso carico di vite umane tra cui 446 italiani. Molti cercarono una disperata via di salvezza tentando di buttarsi a mare ma trovarono l’opposizione del filo spinato disteso che separava i diversi settori diventando un ostacolo insuperabile, una trappola mortale soprattutto per coloro che erano stati sistemati nella stiva e nel dormitorio allestito nella grande sala da ballo. Un lampo a blow-up dei propri cari che si lasciano, neanche il tempo di raccomandarsi l’anima a Dio, un urlo strozzato in gola… Annegati! La immane tragedia si sarebbe consumata in pochi minuti. Un incrociatore canadese, il St Laurent, che si trovava a navigare in quelle stesse rotte riuscì a portare i primi soccorsi ai naufraghi, a trarre in salvo centinaia di persone, a riportare indietro a Liverpool i superstiti che, impietosamente, verranno di nuovo imbarcati per il Canada e l’Australia… Se davvero l’ “historia”, presupponendo uno sviluppo sostenibile della sua saggezza educativa, fosse “magistra vitae”, come ha scritto Cicerone nel “De oratore”, certi errori non si sarebbero più dovuti replicare nella linea diacronica della civiltà e, invece, come un adolescente forte di pulsioni ma debole di pensiero razionale, volto più al suo personale futuro che al passato della sua nazione, la storia torna sempre a presentare il conto e correndo e ricorrendo in percorsi già battuti, in situazioni che si erano già presentate, s’imbatte fatalmente negli stessi errori dimostrando di non sapersi sottrarre alla spirale, come un canoista destinato dalle correnti più forti di lui al salto nelle imminenti cascate… Erano le 6,58 del 2 luglio 1940 quando la Arandora Star, con migliaia di persone a bordo, veniva silurata al largo di Plymouth da un sommergibile tedesco. Una delle tante tragedie di mare della II Guerra mondiale, si potrebbe pensare, se non fosse che l’episodio, salvo vivere nei soli dolorosi racconti dei superstiti andati in diaspora per il mondo, non fosse stato destinato a rimanere nascosto per molti decenni in seguito, quasi per una sorta di damnatio memoriae decretata dai vincitori e, colpevolmente, dagli stessi storici; se non fosse che a commetterlo fosse stato il lodato e lineare governo inglese presieduto da Winston Churchill. Una quindicina d’anni fa si tenne a Latina, esattamente all’I.P.A.A. “San Benedetto” di Borgo Piave, allora governato dall’amico e collega preside Mario Siciliano, un importante Convegno di studi storici promosso dal provveditore agli studi dott. Paolo Norcia, poi sovrintendente scolastico e direttore generale regionale del Lazio. Erano presenti alcuni dei più noti titolari di cattedra e pubblicisti di scienze storiche tra cui Ernesto Galli Della Loggia. Quasi al termine della giornata volendo, più che confutare, provocatoriamente indebolire la tesi diffusa dell’historia magistra vitae e, soprattutto, l’idea manichea di tutto il bene compreso da una parte (gli Alleati) e di tutto il male riconosciuto nell’altra (i nostri), mi misi a tirar fuori con dovizia di particolari l’episodio e la questione storiografica dell’Arandora Star. Fu grande la sorpresa suscitata in tutti e indubbio l’interesse fra gli storici presenti, di cui per carità di patria ora ometto i nomi, eppure nell’immediatezza dello scalpore nessun intervento, a ridimensionamento dell’integrità politica di Churchill, venne sollevato. L’assoluta ignoranza dei fatti non permetteva repliche. Qualche tempo dopo sulla pagina della cultura de Il Messaggero apparve, proprio a firma di uno di loro, un lungo articolo con una prima ricostruzione della storia a lungo dimenticata. Era la prima volta, forse, che il fatto riemergeva dall’oblio delle coscienze in cui era stato relegato per tanti anni. La storia scritta da qualcuno, sopraffatta spesso dalle interpretazioni per tesi precostituite dei vincitori, è come una tovaglia ricamata che cela le magagne dell’altare di marmo pregiato su cui si celebra la liturgia. A consegnarmi questa storia, del tutto casualmente alla fine degli anni sessanta, erano state le lapidi del cimitero di Picinisco, un piccolo comune della Val di Comino in provincia di Frosinone.
“X. Y. Morto nell’affondamento della nave Arandora Star – 2.07.1940”. Non una lapide, non due, non dieci, di più… Ne ho contate una ventina. Quale mistero si celava, dunque, dietro quelle incisioni sugli epitaffi? Nel tentativo di impossessarsi della sua storia tragica fatta di caduti in guerra il piccolo paese ciociaro, anche epicentrale sulla Linea Gustav, dedicava il 2 novembre 1969, sottoportico di Santa Maria, un’epigrafe di commemorazione collettiva ai suoi martiri, emigranti della Valle in suolo inglese e scozzese ma anche ad altri numerosi suoi cittadini vittime sacrificali dell’assurda guerra. Un altro ricordo, quasi trent’anni dopo agli inizi dell’estate del 1998, una piccola lapide (foto) con un significativo frammento poetico di Giuseppe Ungaretti, veniva posto al Parco Montano nel recinto del Monumento ai Caduti” presenti e testimoni i veterani dell’VIII Armata Britannica.
“Post fata resurgo“, le lapidi raccontano… Ora la memoria era tornata ben viva in tutte le famiglie, seppure non così scorticante e pungente come quando fu raccontata la prima volta dai pochi superstiti tornati al paese con le salme potute recuperare in mare.
“Ma nel mio cuore /
nessuna croce manca. /
E’ il mio cuore /
il paese più straziato. / (G.Ungaretti)
Qualche settimana fa il sindaco di Picinisco, l’ing. Giancarlo Ferrera, con l’abate don Antonio Molle si sono recati a Glasgow per essere accolti dalla numerosa comunità di paesani e di oriundi. Il sindaco di quella città, una signora di mezza età molto cortese, per ricordare i molteplici sacrifici degli emigranti valcominensi ha sostenuto il suo impegno nella costruzione, a perenne ricordo, di un parco cittadino. Proprio in questi giorni il vicesindaco di Picinisco, Riccardo Mancini, si trova a Liverpool insieme con il sindaco di Barga (Lucca), prof. Umberto Sereni, e di altri paesi per ravvivare la memoria e onorare il ricordo dei morti dell’affondamento dell’Arandora Star. Oltre 20 piciniscani con cognome Coppola Philip* e Paolo*, Crolla Alfonso* e Donato*, D’Ambrosio Francesco* e Silvestro*, De Marco Lorenzo*, Michele* e Pasquale*, il neanche ventenne Di Ciacca Aristide*
(foto sulla lapide cimiteriale) e Cesidio*, Frattaroli Giacinto, Gargaro Francesco, Mancini U(m)berto* e Vittorio*, Pacitti Gaetano, Pelosi Paul*, Perella Luigi*, Pompa Ferdinando*, Roffo Ernesto, Tuzi Pasquale, Valvona Enrico* (Dall’incrocio comparativo della Lista internazionale con la lista dei nomi incisa su lapide a cura dell’Amministrazione Comunale). Senza contare le vittime di Villa Latina (come un D’Annunzio) e di altri paesi valligiani dei dintorni. Gente italiana laboriosa di London, Edinburg, Glasgow, Swansea, Ayr, Hamilton, Cockenzie, in alcuni casi in Inghilterra da due generazioni… Una pagina di dolore ma anche di grande vergogna, con poche attenuanti, per la civile politica inglese. Una storia nostra, del nostro paese, della nostra anima ma anche dell’anima umana, come scriveva ne “La storia come pensiero e come azione” Benedetto Croce nativo di Pescasseroli ma con parenti da queste parti, ad Alvito. “Una storia del mondo”. © – Sergio Andreatta
* Incisi nell’epigrafe del sottoportico di Santa Maria (2 nov.1969).
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