10th Ago, 2007

Sapere i sapori dell’enogastronomia paesana

Prima di andar via chiedi un piatto di “òrapi”, una gustosa insalatina di montagna colta sui prati a 1800 metri del Passo dei Monaci là dove i benedettini di Montecassino, che hanno dato il nome, transitavano in direzione dell’Abbazia di San Vincenzo al Volturno. Prima della notte dei desideri, sotto le cadenti perseidi di questa sera, quando ogni giovane innamorato chiede col cuore ciò che con la bocca ancora non osa, si è svolta in giornata a Picinisco la festa patronale di San Lorenzo come in altri numerosi paesi della Ciociaria, come a Supino e ad Amaseno dove ribolle nell’ampolla, similmente che a Napoli per San Gennaro, il sangue del santo levita e martire. Nella chiesa madre durante la funzione del mattino è stata svelata sull’altar maggiore la restaurata pala “Assunta e S.Lorenzo”. Restauro conservativo, salvo il più danneggiato volto della Madonna quasi del tutto filologicamente ricostruito. Sotto i gazebo della piazza, intanto, si mescolano i profumi dei formaggi. Sapori arcaici cui è consentito accostarsi, ritualità quasi magiche, elementi che affiorano da una tradizione pastorale antica fino ad arrivare ai Sanniti, certamente al Medioevo, certamente d’altri tempi, quando di capi ovini se ne censivano, ancora solo cinquant’anni fa, più di 40.000 a fronte degli attuali 5.000. Su queste balze sempreverdi dove si usa più frequentemente il pecorino, al posto del parmigiano, per insaporire le portate; qui dove, assoggettandosi ad un rigoroso disciplinare, su consiglio dell’Arsial e della Slow Food si tenta di conquistare la DOP per la filiera del latte di capra e pecora, ma anche l’IGP del vino bianco per il vitigno antico del maturano. E queste sere dell’ormai celebre “Pastorizia in Festival” (8-9-10 agosto) che tra poco si conclude ritorna in Piazzetta Capocci il cibo inteso come ritorno alla genuinità, come segno di festa, ma anche come elemento rituale di celebrazione di una cittadinanza originaria e dell’amicizia con gli altri. Questi significati sono colti, si vede ad occhio nudo, prima ancora che dal consumo dei piatti, dalla robusta teoria delle persone che si mettono in fila per arrivare ai vari sapori emanati dalla sagna coi fagioli alle ricotte fresche o meglio ancora calde, ai vini tipici. La forza della gastronomia valliva, interna, appenninica, non può ovviamente puntare sui sapori del mare, ma su quelli più discreti e meno possenti dell’economia agricolo-pastorale. Non che il pecorino piciniscano, famoso in tutto il mondo, non sia di sapore deciso e possente, tutt’altro.
Lo è la marzolina di capra, bianca, aromatizzata o ammorchiata. Un prodotto che stava scomparendo e che si va riscoprendo, grazie ad alcuni pastori “testardi” come li ha benevolmente definiti il sindaco Giancarlo Ferrera, per come lo facevano in casa le nonne di queste valli, anche di lacrime per vie delle emorragiche emigrazioni. Le nonne quando cucinavano la pasta fatta in casa, con l’acqua di cottura lavavano questo formaggio che una volta asciutto veniva cosparso con un impasto di olio di oliva, vino, aceto e aromatizzato con rametti di serpillo. L’ammorchiatura consiste in una maturazione del prodotto in una camicia di timo serpillo e olio. I più eletti pastori piciniscani, de Le Fontitune (fonti del tuono o fondi di luna nell’ostico vernacolo, chissà?) e delle Serre non hanno mai smesso di usare il caglio vegetale ricavato dalla pianta di cardo. Col suo territorio aspro e di difficile conquista, con la maggiore estensione all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, tra i comuni del versante laziale e la seconda in assoluto dopo Pescasseroli, Picinisco, benché anch’essa aggredita dalle mode culinarie imposte dai battenti spot televisivi, non si è allontanata molto dall’antica tradizione culinaria, mantenendone i legami. Chiunque possa continua a coltivare il suo orticello, benché non siamo più fortunatamente in guerra. I prodotti ortofrutticoli con quest’aria e quest’acqua assumono un sapore particolare, come gli stessi fiori assumono qui quel colore vivido del tutto particolare che non hanno mai nel mio parco di Borgo Bainsizza. E le pregiate carni bovine e ovine hanno un gusto non rintracciabile altrove per via dei verdi pascoli di alta quota. Sali ai 1450 m. del Barracone a Prati di Mezzo e ancora qui scopri che agnello e capretto la fanno da padroni tra i secondi serviti dalla famiglia degli Scapaticci di Colleposta, perpetuando una consuetudine antica quanto questa terra di pastori discendenti dai sanniti della tribù riferita alla “cultura di Alfedena”. Prima di andar via chiedi un piatto di “orapi” una gustosa insalatina di montagna che Luigi Moscatiello è andato a cogliere sui prati a 1800 metri del Passo dei Monaci, là dove i benedettini che hanno dato il nome transitavano prima di scendere nel versante molisano verso la comunità abbaziale, poi distrutta, di San Vincenzo al Volturno.

Lascia un Commento

Devi essere loggato per lasciare un Commento.

Categorie