A Picinisco il “Pastorizia in Festival 2008”
VII Edizione
L’allevamento di greggi, particolarmente ovini e caprini, e lo sfruttamento dei suoi prodotti. Un mondo, una vita, una cultura della civiltà del lavoro fondata sulla conduzione al pascolo (pasturare), sulla custodia e all’allevamento dei capi, sulla lavorazione casearia artigianale del latte per farne formaggi, mozzarelle, marzoline e ricotte. Allungato, robusto, muscoloso è il cane da pastore tedesco, canis familiaris matris optimae, insieme al nero pastore belga a pelo lungo e al pastore scozzese (l’elegante collie molto usato a Picinisco) a essere considerato l’amico più fedele del pastore piciniscano, il suo più valido aiuto per la sorveglianza delle greggi. Gente forte, robusta, scontrosa, individualista dalla pelle abbronzata, dall’odore forte non proprio di acqua di colonia, pastori che vagano tutto il giorno per le balze verdi fin sopra i 1500 metri di Prati di Mezzo. Gente de Le Fontitune e di Valle Porcina (Crolla, Pia, Andreucci) o delle Serre (Pacitti) che ha saputo esportare il suo apprezzato modo di fare in Scozia, via via imponendosi, diventando padroni, sapendo investire bene i propri ricavi in altri settori, dalla ristorazione al campo edile, fino a potersi permettere di vivere oggi di rendita dentro belle ville costruite in paese per far vedere a tutti di essere arrivati, a dimostrazione che il lavoro duro e umile di due o tre generazioni paga. E basta guardare ai macchinoni targati orgogliosamente con il proprio cognome o assistere, sia pure tangenzialmente, ai loro matrimoni da “sciupio vistoso” tutti rigorosamente in San Lorenzo. Non sono soltanto diventati i padroni del gregge del sir, sembrano nella loro sgrammaticata parlata anglo-piciniscana, nel loro vestire vistoso, sembrano essere diventati ritornando alle loro radici gli invidiati padroni del paese. Coloro che hanno fatto fortuna e che ora possono, per un mese, spendere con sfoggio più di tutti gli altri che nell’incertezza non hanno avuto il coraggio di emigrare, quand’era l’ora, dalla povera ma bella Valle di Comino. E perfino i loro morti sono diversi perchè trovano riposo a Santa Maria dentro sontuose cappelle private anziché nei più popolari loculi della gente comune. I loro collaterali rimasti in paese ne hanno in mano l’economia, potendo decidere anche della politica amministrativa del comune. Senza il loro voto non si elegge un sindaco. Se solo avessero una mentalità più cooperativa il loro pecorino, asservito ad un rigoroso disciplinare comune di lavorazione, sarebbe davvero diventato il più famoso del mondo come ancora riporta un depliant turistico dell’A.P.T. di Frosinone. Ma non basta un Dop sulla carta, serve una cultura davvero meno individualistica. “Determinante per la sopravvivenza della pastorizia piciniscana, dice il sindaco ing. Giancarlo Ferrera, è stato senza dubbio il successo secolare del suo pecorino, che tuttora riscontra i favori incondizionati del mercato: una voluminosa documentazione, prodotta dall’Arsial a suffragio della istanza di riconoscimento del marchio Dop, racconta la storia di questo formaggio conosciuto e ricercato già nel ‘700. Naturalmente, prosegue il sindaco, il Festival si avvale parecchio di questo prodotto locale e della sua caratteristica di alimento biologico ante litteram, forte di una filiera rigorosamente naturale: dagli alti pascoli all’aperto alla mungitura, dalla lavorazione manuale dei latticini alla stagionatura, il pecorino di Picinisco segue ancora le fasi immutate di un a tradizione consolidata”.
Da sette anni per celebrare il loro lavoro si festeggia a Picinisco “Il Pastorizia in festival”, cioè un festival di musica e cultura popolare come ce ne sono pure altri in Italia, come sui Monti Lepini a Bassiano e Carpineto Romano. È come un viaggio culturale che riprende attraverso la rivisitazione dei territori della memoria più antica delle pedemontane delle Mainarde, alla ricerca dei ponti tra passato e futuro, tra tradizione e contemporaneità, dando vita a incontri di linguaggi, ad una conferenza sulle transumanze, a concerti in piazza di musica popolare e folklorica nei bagliori del crepuscolo. Un’occasione per molti per scoprire un prezioso territorio, quello della Valle di Comino, ricco di straordinarie bellezze ambientali (non bisogna dimenticarsi mai che siano sul versante laziale del P.N.A.L.M. di cui Picinisco è una delle capitali), artistiche e storiche risalenti ai Sanniti e ai Romani (Varrë Romana, campo Tri-volte, L’Antica), in un impianto urbanistico medioevale e rinascimentale che vede aperte soltanto per l’occasione botteghe artigianali ormai scomparse.
Non è ancora aperto, invece, il Museo della Pastorizia che una politica dalla vista corta ha voluto collocare nella decentrata frazione contadina de L’Antica anziché nello stesso capoluogo e pure con un’architettura di… avanguardia, culturalmente decontestualizzata, disegnata soltanto per… la patinata rivista su cui, per la goduria della progettista con studio a Ponte Melfa, parebbe destinata a rimanere… per un paio di fotografie. Ohibòoo! Un museo dalle pareti tinte di nero come certe pecore, come il pecorino di Picinisco che nero, pure, non è. E’ che dire di quella copertura, una sorta di tunnel sulla sinistra, trapuntata da una finestra sghemba a triangolo scaleno. No, non ci siamo! Non c’è il dovuto rispetto al continuum ambientale, ad esempio con la Chiesetta a latere di Santa Giusta del 1650. Ma si sa, gli architetti se non rompono un equilibrio non si vedono, meglio non esistono. Giustificate, quindi, tutte le proteste che spontaneamente mi manifestano gli abitanti della frazione sul crinale di una deliziosa collinetta al confine con il comune di Settefrati… Come sono da ritenersi giustificate le osservazioni, non ingrate ma al contrario civili e democratiche, verso quegli amministratori, nè saggi nè indipendenti, che nella decisione dell’ubicazione si sono lasciati, forse, impaniare dal condizionamento delle clientele elettorali…
Il Programma musicale vede esibirsi dal 9 agosto “I Tamburi della Sila” e i “The Shepherd”; il 10 agosto gli “Haakbus” e i “Neilos” per note che vanno a scandire il cammino dei pastori sul passo delle stagioni, transumanze dal mare alla montagna e dalla montagna al mare “in una danza ritmata da pioggia e sole, nuvole e vento in cui la vita era segnata dalla natura e dai suoi rigidi ritmi” (Cfr.: Brochure). Un’indimenticabile esperienza che, unita al XXXV Giubileo straordinario per San Lorenzo, consiglio a tutti di venire fin quassù a provare. © – Sergio Andreatta
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