Scuola italiana, l’anno che verrà.
di Sergio Andreatta
Il primo settembre chiama tutti a scuola, tutti esclusi gli alunni che per un’economia… turistica come è quella del Bel Paese potrebbero tornare a scuola, secondo un’ineffabile espressione della Gelmini, anche il 1 di ottobre. In Francia, dove le risorse turistiche e le possibilità di vacanza non sono minori, ma il clima è sicuramente più favorevole, ed anche in Israele, dove è invece decisamente più caldo, l’anno scolastico è già bell’e cominciato. Nel primo caso con grandi sovvertimenti per il taglio degli organici della primaria con quasi 12.000 maestri in meno non sostituiti dal turn-over e solo quattro giorni di funzionamento scolastico (mercoledì e sabato esclusi); con ossequioso rispetto della tradizione nel secondo. E da noi, dove si poteva sperare in un anno di tranquillità e di attesa, che cosa sta, invece, per accadere? Dopo la sbandierata e magnificata riforma della Moratti del 2003 ecco i tanti sussurri e gli incontrollati sussulti balneari in vista di una nuova manovra di riforma per il 2009. Ormai la politica della scuola non si concerta più con le categorie professionali e sindacali. Tutta perdita di tempo! Per le impostazioni nuove non si consultano più i pedagogisti, gli studiosi delle questioni, se non gli amicanti servi sciocchi della parte di turno. E così siamo già pronti a mandare al macero il significativo contributo di umanesimo integrale offerto da un Edgar Morin per le Indicazioni del Curricolo della scuola dell’infanzia e della scuola del primo ciclo prima ancora di averlo potuto sperimentare. Niente esperti, eppure quante chiacchiere fastidiose. Interviste, esternazioni, interventi a convegni estivi, con dissertazioni – da parte di presunti addetti ai lavori e non – su voto di condotta, maestro unico, docenti meridionali, culminato con il “botto finale”, come qualcuno ha scritto, del recente decreto legge. “L’emergenza educativa” c’è e si vede, la vedono perfino i ciechi tanto da sembrare perfino superflui, se non tardivi, i pur alti richiami del Presidente della Repubblica e del Papa. Noi esperti lo avevamo denunciato dieci anni fa. Avevamo firmato appelli, contrastato il fenomeno con significativi progetti. Ma noi eravamo le voci clamanti nel deserto. Quindici anni fa io organizzavo già nella scuola di cui sono dirigente, la Direzione didattica del IV Circolo di Latina, un primo convegno sull’insorgente bullismo, dieci anni fa contrassegnavamo il nostro P.O.F. con l’emblematico motto “Per Regola e Progetto” a proclamare che non bastava il dinamismo dei progetti, pur importantissimi per lo sviluppo del micro-sistema, ma che occorreva richiamare in tutti il rispetto delle regole della civile convivenza, della sempre più incrinata e minacciata legalità. Come noi tanti altri inascoltati antesignani. E ora che i buoi sono scappati dalla stalla si tenta, anche in malo modo e con misure improvvisate se non pure demagogiche, di ricondurceli dentro. Quasi a dimenticare che non dipende tanto, o soprattutto, dalla scuola se l’educazione dei ragazzi e dei giovani va alla deriva, quanto dalla famiglia stessa che non sa più e non ha voglia di impegnarsi ad educare, dalla società, dalla televisione commerciale che propone continui, suggestivi e amorali condizionamenti consumistici, dalle mode giovanili imposte da tecniche di persuasione neanche tanto occulte. E’ la caduta dei tempi, per Emile Cioran, e dei valori. Ed ecco così, dopo un dibattito giocato sotto l’ombrellone di una politica sempre più caratterizzata dall’uso furbesco dei media, dai colpi di flash di agenzia e dalle puntualizzazioni, il blitz di un decreto legge sulla scuola, proprio a poche ore dall’avvio dell’anno scolastico. Mentore primo il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che in una intervista su “La Padania” del 12 agosto aveva già parlato di ritorno al voto per la valutazione degli apprendimenti, di blocco delle adozione dei libri di testo per almeno un quinquennio, di maestro unico… Intenti positivi alcuni, meno altri. L’inesperta ma volitiva giovane ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini, per cui l’introduzione del team di tre docenti alle elementari “non corrispondeva a esigenze pedagogiche e formative“, passava immediatamente all’azione predisponendo il disegno di legge già varato dal governo il 1° agosto scorso e il decreto legge approvato in questi giorni. Niente confronto politico e sindacale, niente tempi lunghi propri dell’iter parlamentare delle leggi ordinarie. Insomma, nel segno dei tempi, la politica dei proclami vuole anche arrivare a provvedimenti rapidi e incisivi senza troppe mediazioni. Non mi meraviglio e non mi scandalizzo neanche più di tanto, anzi…perché, diciamocelo francamente, nel mondo della scuola erano via via entrati troppi interessi e privative in nome di presunte tutele. E il sindacalismo non è meno colpevole della politica nell’averci consegnato la scuola che abbiamo, nell’aver mortificato il merito e l’impegno, nel piattume della ricompensa a pioggia delle estenuanti contrattazioni integrative d’istituto imposta dalle RSU cui è impossibile per un dirigente scolastico controbattere. Questo governo i numeri parlamentari per imporre quello che vuole, nel bene e nel male, li ha tutti; ha perfino il confermato consenso dei suoi elettori non pentiti, come sembrerebbero assicurare i sondaggi puntualmente snocciolati, ma sono addirittura i suoi non sostenitori che, stufi delle intollerabili inerzie e dei paludosi esercizi sindacali, sembrano disposti ad aprire una linea di credito su alcune questioni di fondo. E così le misure anti-bullismo con la reintroduzione dell’educazione civica, allargata all’educazione stradale, e allo studio obbligatorio della Costituzione Italiana e le norme sul voto con il “5 in condotta” entreranno in vigore subito. Tornano i voti nella scuola primaria e secondaria di primo grado dove erano stati soppressi nel lontano 1977 con la legge n. 577 sulla spinta del clima antimeritocratico tipico del post-sessantotto. Dovrebbero tornare, e questo insisto a chiederlo io, le note di qualifica (le richiamate “pagelle”) per gli insegnanti e la possibilità di una carriera diversa per merito distinto. Basta con lo scandaloso clima buonista e consenziente del “siamo tutti uguali”, senza distinzioni tra chi lavora e chi no, tra chi tira la carretta e chi ci sale soltanto sopra per risparmiarsi ogni fatica di camminare. Giusto mi sembra il blocco imposto dei prezzi dei libri di testo e, perfino, la reintroduzione, fino al primo ciclo, di una divisa scolastica. Nel regolamento scolastico della mia istituzione questo c’è già dal 1994 (non il grembiule, però, ma una comoda tuta col logo) e tutti gli 800 alunni la portano con innegabili riscontrati benefici. Mentre sulla reintroduzione dal 2009, sia pure con gradualità cominciando dalle sole classi I, del maestro unico nella scuola primaria io avrei le mie motivate perplessità, così pure sulla riduzione dell’orario delle lezioni a 24/27 ore settimanali. Questi ultimi due provvedimenti, seppure io non ami venerare i feticci che pure esistono numerosi e intoccabili anche all’interno della scuola italiana, mi sembrerebbero ispirati soltanto da logiche tremontiane di austerity. Nel mio circolo didattico, già solo per questo, si andrebbero a perdere 4-5 posti di lavoro al primo anno di messa a regime e così successivamente per almeno altri due anni. Un drastico ridimensionamento, un impoverimento di qualificate risorse umane e professionali di ben 12-15 operatori, tra docenti, assistenti amministrativi e collaboratori scolastici prospettato in un triennio e poi chissà (moltiplicando x 4.000 si può disporre già di un primo dato a valenza nazionale)… E gli esuberi che fine farebbero, gli insegnanti a tempo indeterminato ritornerebbero a fare i supplenti itineranti o sarebbero destinati ad altre amministrazioni? E sicuramente, oltre il discapito di varie disfunzioni che si potranno registrare sul livello delle qualità, i soldi così recuperati non andrebbero ad adeguare a livello europeo gli stipendi, ora da fame, dei fortunati che rimarrebbero in carriera. Ma è un discorso più ampio della sola funzionalità del sistema che coinvolge la solidarietà verso tutti gli operatori, oltre i docenti gli ATA, e che mi preoccupa fortemente e a cui i sindacati della scuola hanno già annunciato di opporsi, in particolare la Flc-Cgil che ha già annunciato di voler “fare muro” contro il ritorno del maestro unico. Si dice che il maestro unico sia il maestro degli anni Cinquanta e Sessanta (ricordate l’Alberto Sordi maestro nel film “Bravissimo”o quello di “Scuola elementare” di ALberto Lattuada?) e che pensare di reintrodurlo nella scuola di oggi sia grottesco, oltre che deflagrante per le consolidate migliori qualità della scuola primaria. Si evoca la pluralità, la contitolarità degli insegnanti, il miglioramento dei risultati e la riduzione degli atteggiamenti magistrali selettivi. Soltanto commenti e giustificabili difese di parte, secondo me, e non, certo, verità apodittiche. Mi sembra infatti impossibile che, per una linea dettata dall’emendamento degli sprechi evidenti (es. contemporaneità), non possa esistere nessun altra forma di buona organizzazione alternativa ai pur apprezzati moduli di tre docenti (team) introdotti dalla L. n. 148 del 1990 e che io ho sperimentato per primo a Sezze I Circolo, introdotto ante-litteram, valorizzato e valutato positivamente. Me, secondo l’OCSE, per il miglior risultato della scuola primaria lo stato italiano investirebbe più risorse della media europea (con 6.835 dollari per alunno contro 6.252). Insomma pare proprio che a spendere di più si spenda meglio nè si può, quindi, attribuire il senso e il valore di una religione immutabile ad un’organizzazione. Vorrebbe dire inchinarsi ai feticci esistenti (idola tribus). Peraltro, e lo sappiamo tutti nell’ambiente, i risultati analizzati dalle indagini internazionali promosse dalla IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement) con l’OCSE-PISA ci descrivono una scuola primaria italiana che funziona bene, come anche la scuola dell’infanzia di cui ricorre proprio quest’anno il suo quarantennale (1968-2008). Successi quasi unici nel panorama scolastico italiano. E, allora, verrebbe consapevolmente da chiedersi perché l’attuale politica (L.n.133/2008) non si accontenti di apportare soltanto i miglioramenti necessari all’ottimizzazione del servizio pubblico del I settore ma
voglia andare oltre fino ad uno stravolgimento così sbrigativo e radicale del sistema? In realtà già da cinque anni in molte scuole primarie italiane convivono con i team altri moduli organizzativi, ad es.diadici con un insegnante prevalente, che hanno garantito lo stesso buoni risultati di significativo apprendimento agli alunni sia pure nella continuazione di gravi squilibri esistenti tra scuole del Nord, di un ottimo Centro non secondo ad esso, e di un Sud mappato dalle indagini INVALSI a pelle di ghepardo, con poche isole di eccellenza e tanta mediocrità vasta e diffusa. © – Sergio Andreatta