LE DIMISSIONI DEL PAPA
“… ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro…”
di Sergio Andreatta (649)
“Sento l’età, non ho più le forze”
Sergio Andreatta, Le dimissioni di papa Benedetto XVI.
Può dimettersi un Papa? Evidentemente, sì. Poco fa, a mezzogiorno meno un quarto, precisamente alle 11,46′, padre Federico Lombardi responsabile della Sala Stampa vaticana, ha comunicato le dimissioni da vescovo di Roma e dal soglio petrino di Papa Benedetto XVI, il tedesco Joseph Aloisius Ratzinger,
265° papa. Un atto rivoluzionario dopo quasi otto anni di pontificato (19 aprile 2005 – 28 febbraio 2013) del successore di Giovanni Paolo II. Le dimissioni, anche abdicazione per gli aspetti temporali del regno, decorreranno dalla fine di questo mese (28 febbraio, alle ore 20 di Roma). La decisione è stata comunicata dalla stesso papa, con una Sua dichiarazione in latino, durante l’odierno Concistoro in occasione della Madonna di Lourdes, che in Vaticano è giorno di festività a tutti gli effetti.
Una notizia shock che, grazie ai media, si è sparsa fulminea e clamorosa nel mondo villaggio globale e che trova lontani, straordinari e rari precedenti, il più noto con Celestino V, oltre 700 anni fa, che cedette alle pressioni e alle mire politiche di un irrompente Bonifacio VIII, e che si fonda su una moderna interpretazione del diritto canonico (canone 332, II paragrafo) sulla libertà della manifestazione di volontà: “…, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro“. Questa libera e non coartata decisione storica, presa nel pieno delle sue facoltà da un papa che ammette: “Sento l’età, non ho più le forze“, non può che renderci ora orgogliosi di lui – il mezzo è il messaggio -, di questo teologo pontefice tedesco. La sua scelta di ritirarsi è un atto di modernità e rappresenta una via di uscita da certe usanze “faraoniche“, un esempio di smitizzazione del carisma personale, una indiretta critica al ruolo pontificale come struttura e potere, un tentativo di recupero della dimensione spirituale incentrata su Cristo guida della Chiesa. (Segue >>>)
Nella storia della Chiesa, esclusi altri sporadici casi che si perdono, però, nella notte dei tempi della storia romana e medievale più antica, si contano relativamente alle epoche più recenti solo quattro casi accertati di rinuncia “renuntiatio“: Benedetto IX (1 maggio 1045), Gregorio VI (20 dicembre 1046), Celestino V (“colui che fece per viltade il gran rifiuto” il 13 dicembre 1294) il caso più famoso, anche per via del celebre verso dantesco, Gregorio XII (4 luglio 1415). Una mossa, apparsa subito piena di umanità e di umiltà, che sarebbe senz’altro piaciuta al card. Martini. Gli sarebbe piaciuto, a lui che pure aveva sperimentato negli ultimi anni della sua esistenza terrena il senso della finitudine, constatare che un papa, anche teutonico, aveva toccato con mano la fragilità umana negli aspetti della salute e dell’adeguatezza al ruolo: “... Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino…“. Ma nell’interiore e personale via della riflessione e del discernimento di Benedetto XVI non deve aver influito soltanto una visione salutistica e antropologica del suo dovere o la senso-percepita insostenibilità di troppo pesanti carichi. Come non pensare, infatti, che una qualche influenza sulla sua decisione finale possa averla esercitata il peso degli scandali, lo scandalo della pedofilia dei preti non soltanto irlandesi, scandalo che persiste e ogni tanto affiora qua e là nel mondo o le convulse vicende finanziarie dello IOR o l’ultima, non del tutto chiarificata, congiura di palazzo con carteggi importanti trafugati e propalazione grave e tendenziosa di notizie secretate. E’ stata così via via minata da alcuni membri, anche prima fidati cardinali di Curia, la generosa e illimitata fiducia di un pastore, di un grande teologo ed ecclesiologo, più che del titubante politico. Uno stillicidio di contrarietà fino a far passare all’esterno, tanto da mettere in moto i giochi per la successione, l’idea che il papa sarebbe morto prima di Natale. Intrighi di palazzo, divisioni deturpanti. Il papa potrebbe aver avvertito salire intorno a sè la puzza del corto circuito e un insostenibile peso dell’essere e per questo – ancor più soffrendo – aver interiorizzato la consapevolezza di alcuni suoi limiti, di alcune sue incapacità (“… di amministrare bene il ministero a me affidato“) a fronteggiare con il feed-back giusto le emergenti situazioni del “... mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo...”. Averlo capito e aver deliberato in conseguenza, lo rende agli occhi miei e della prevalente umanità, anche solo per questo senza entrare nel merito dei suoi scritti e delle sue significative e dense encicliche un personaggio grande e da ammirare. Un papa italiano, escluso forse un Martini, non l’avrebbe mai fatto, ma grazie ai contesti di una cultura tedesca cattolico-protestante impregnata di pragmatismo, questo è stato possibile. A pensarci bene un vicario di Cristo – secondo le vecchie teorie conservatrici e/o conservative – non avrebbe mai dovuto dimettersi anche al di là del mancante necessario “... vigore sia del corpo, sia dell’animo...” ma persistere oltre, fino all’ultimo minuto della sua esistenza terrena, senza scendere dalla croce fino all’ultimo respiro, non tenendo in alcun conto i limiti e le intervenute inabilità (ingravescente aetate) per età (senectus morbus ipsa est) da parkinson, aterosclerosi, alzheimer etcc…
(Leggi tutto) >
Ma non è così, Benedetto XVI con questo gesto non si è riconosciuto attore protagonista di un copione da superuomo o da semidio, ma uomo soggetto a infermità e al senso del limite come nel destino di tutti, seppure la pietra su cui Cristo, a partire da Cefa duemila anni fa, ha fondato la sua Chiesa. Anche il ruolo e i simboli politici del papato sembrano diventare cangianti e perdere di metafisicità. Averlo compreso e attuato (forse da lui più facilmente in quanto proveniente, ripeto, da un contesto culturale pragmatico) non fa che aumentare, a mio avviso anche come interprete dell’umanesimo di questa sorta di neo-incarnazione, la sua grandezza. Dimissioni anche come schiaffo inferto ad un certo clero dogmatico e di status, regista o interprete di poteri puramente materiali, agli intrighi di palazzo, ai carrieristi curiali. La storia ci ha consegnato nei secoli troppi papi inabili in età avanzata, condizionati, manipolati (in altri casi anche fatti fuori fisicamente ) e sottomessi ai poteri forti dell’entourage curiale. Quello di oggi è uno straordinario precedente storico, davvero significativo in età moderna e degno di entrare in un repertorio di comportamenti e di essere magari riproposto in un futuro. In fondo anche i vescovi decadono all’età già avanzata di 75 anni e a 80 i cardinali non possono più essere eletti papi. Dalla decadenza della senescenza, dalle sue fragilità in prossimità della morte non si salva nessuno, neanche un papa. © – Sergio Andreatta, RIPRODUZIONE RISERVATA
LEGGI ANCHE IL MIO ARTICOLO
https://www.andreatta.it/?p=2810